Rita Levi Montalcini, una libera pensatrice

Rita Levi Montalcini, una libera pensatrice

Fin da piccola è sempre stata indipendente decidendo all’età di tre anni, che non si sarebbe mai sposata, non avrebbe fatto gestire la sua vita a un uomo com’era stabilito dalla società di allora. La medicina sarebbe stata la sua strada. Questa passione e la determinazione delle sue ricerche l’avrebbero portata alla scoperta del fattore di accrescimento della fibra nervosa e al Nobel

Rita Levi Montalcini

Rita Levi Montalcini

Rita Levi Montalcini nasce a Torino il 22 aprile 1909 in una famiglia ebrea. Il padre ingegnere e la madre artista fecero crescere i quattro figli in un ambiente culturale molto vivo. Già da piccola Rita non voleva seguire l’esempio della madre succube di un marito autoritario «L’esperienza del ruolo subalterno che spettava alla donna in una società interamente gestita dagli uomini, mi aveva convinto di non essere tagliata per fare la moglie» decise così di proseguire gli studi anche se il padre non era d’accordo: il fratello doveva andare all’università, mentre le sue tre figlie sarebbero state destinate a lavori più femminili o divenire mogli e madri. La malattia della governante Giovanna, a cui era molto legata, resero la scienziata ancora più motivata nel convincere il padre a farle proseguire gli studi in campo medico. Rita era certa ingenuamente di avere il tempo di laurearsi per riuscire a curare la donna, che morì pochi mesi dopo.

All’università ebbe la fortuna di essere allieva dell’istologo Giuseppe Levi http://www.scienzainrete.it/italia150/giuseppe-levi compagna di corso di due futuri Nobel Salvador Luria e Renato Dulbecco (premi Nobel per la medicina rispettivamente nel 1969 e nel 1975). In quell’occasione conobbe Rodolfo Amprino, allievo prediletto di Giuseppe Levi, che in seguito divenne suo grande amico.

Rita Levi Montalcini si laureò in Medicina e Chirurgia nel 1936 e successivamente si specializzò in neurologia e psichiatria. Un anno dopo la specializzazione a causa delle leggi razziali fu costretta a fuggire in Belgio. Nel dicembre del 1939 rientrò in Italia felice di riunirsi ai suoi cari, pensando come molti che il pericolo della guerra ormai fosse scampato.

Pochi mesi dopo, nel giugno, del 1940 la voce del Duce annunciava l’entrata in guerra dell’Italia dagli altoparlanti installati nelle principali piazze del paese. Rodolfo Amprino di ritorno dagli Stati Uniti un pomeriggio andando a trovare la Montalcini, la trovò sfiduciata: aveva abbandonato la ricerca. Amprino la spronò a mettere su un piccolo laboratorio. Come disse la stessa Montalcini: «in quel momento Rodolfo mi appariva nella veste di Ulisse, immortalato da Dante nel XXVI Canto dell’Inferno, quando incoraggia i compagni di viaggio a non perdersi d’animo e a proseguire la rotta». Fu così che trasformò la sua camera in un laboratorio: per un terzo era occupata dal letto, davanti alla finestra il tavolo operatorio in cui sezionava gli embrioni di pollo, accanto altri due tavoli con il microtomo (strumento con una lama affilatissima usato per il taglio) e il microscopio Zeiss (lo studio istologico). Alla parete un contenitore per i vetrini dove conservava le sezioni degli embrioni, l’incubatrice e il termostato per regolare la temperatura.

Furono anni difficili, in cui ebbe però il sostegno dall’amico Giuseppe Levi, anni che portarono la scienziata a concentrarsi sulle ricerche scientifiche che dettero risultati esaltanti. Intanto l’avanzata di Hitler in Russia continuava. La sera del 25 luglio 1943 la radio annunciò le dimissioni di Sua Maestà il Re e Imperatore da capo di stato, primo ministro e segretario di stato Mussolini e capo di stato Pietro Badoglio. La notizia fu accolta con gioia e inconsapevolezza da parte degli italiani, ancora l’Italia non era libera: infatti 10 settembre i tedeschi con i carri armati erano già a Torino assumendone il comando. La famiglia Montalcini, trasferitasi a Firenze, fu costretta a una vita clandestina e Rita riprese a lavorare come medico. Ma la sua passione era la ricerca e presto si rese conto che veniva coinvolta emotivamente dai casi sempre più numerosi di morti per l’epidemia di tifo addominale (gli antibiotici non erano ancora disponibili in Italia): la professione di medico non faceva per lei.

Con la fine dell’epidemia in primavera, si estinse anche il flagello del nazismo: il 25 aprile 1945 le truppe partigiane e quelle anglo-americane liberavano la pianura padana. Il 28 aprile Mussolini vestito da ufficiale tedesco tentò la fuga. Rita in quell’occasione ricorda una frase del padre quando anni prima aveva assistito a una sfilata a cavallo del Duce e tornando a casa commentò «farà la fine di Cola di Rienzo». Infatti il tribuno romano tentò di fuggire travestendosi, ma fu giustiziato dalla folla, la stessa che poco tempo prima lo aveva applaudito.

Nel 1947 Rita Levi Montalcini s’imbarcò con Renato Dulbecco a Genova sulla nave polacca Sobieski, diretta a St. Louis. Viktor Hamburger, scienziato tedesco e professore di embriologia si era interessato alle sue pubblicazioni su «Archive de Biologie» e l’aveva chiamata per collaborare alla Washington University. Doveva rimanere soltanto un semestre e invece restò quasi vent’anni.

Rientrò definitivamente a Roma nel 1961 e qui diresse fino al 1969 diresse il Centro di ricerche in Neurobiologia del CNR in collaborazione con la Washington University. Le sue scoperte sul fattore di crescita dei neuroni, la proteina NFG (Nerve Growth Factor), la portarono al Nobel che nel 1986 condivise con il biochimico Stanley Cohen, il biochimico con cui isolò la proteina. Montalcini e Hamburger osservarono che le cellule tumorali di topo trapiantate in un embrione di pollo di tre giorni, erano in grado di sintetizzare e rilasciare in circolo una sostanza capace di indurre una straordinaria crescita delle fibre nervose intorno all’innesto. L’attività dell’NGF è in grado di regolare la crescita, la sopravvivenza, la degenerazione del sistema nervoso e prevenire le malattie neurodegenerativa. Fino a quando la proteina è presente ad alti livelli non s’innescano le malattie degenerative. Alcune applicazioni terapeutiche di questa scoperta sono sul trattamento dei sintomi nei malati di Alzheimer. Recentemente l’uso della molecola in campo oftalmico ha dato risultati evidenti nel ripristino dei tessuti danneggiati dell’occhio.

Con l’amatissima gemella Paola creò nel 1992 la Fondazione Levi Montalcini Onlus a Roma. Viene nominata senatrice a vita il 1 agosto del 2001 e nel 2005 costituisce la Fondazione EBRI (European Brain Research Insitute) per promuovere attività di ricerca nel campo delle neuroscienze.

Muore il 30 dicembre 2012 a Roma all’età sorprendente di 103 anni. La ricordiamo con una frase «Io sono la mente, il corpo faccia quello che vuole».