Thomas Hunt Morgan, il signore delle mosche

Thomas Hunt Morgan, il signore delle mosche

Da forte oppositore delle teorie di Mendel e di Darwin a promotore della loro conciliazione. La storia di Thomas Hunt Morgan, primo genetista a ricevere il premio Nobel

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Agli inizi del secolo scorso, quando la biologia era basata sull’osservazione più che sulla sperimentazione e in genetica i principali argomenti di discussione erano le teorie di Mendel e Darwin, nessuno avrebbe immaginato che la chiave di volta sarebbe venuta dai moscerini della frutta (drosofile). Fu proprio grazie ai risultati degli esperimenti condotti su questi insetti, che l’americano Thomas Hunt Morgan si aggiudicò il premio Nobel.

Il forte interesse di Morgan per la genetica (all’epoca non ancora un vero e proprio campo di studi) lo portò ad avvicinarsi agli argomenti più discussi del tempo, cioè la teoria dell’evoluzione di Darwin («l’evoluzione avviene mediante il graduale accumulo di piccole variazioni») e le leggi di Mendel (rielaborate da Sutton nella teoria cromosomica). Morgan mostrò subito un forte scetticismo per entrambe, ritenendole poco scientifiche per l’assenza di osservazioni sperimentali in laboratorio: nessuno infatti aveva ancora dimostrato l’evoluzione o la creazione di una nuova specie in laboratorio, né osservato il cosiddetto fattore di Mendel (quell’unità che il monaco moravo indicava come responsabile dell’ereditarietà).

Dopo aver trascorso tredici anni come professore associato di Biologia presso il collegio femminile di Bryn Mawr, nel 1904 gli fu assegnata la cattedra di Zoologia Sperimentale alla Columbia University. Fu in questo stesso anno che Morgan conobbe Hugo De Vries e la sua teoria sul mutazionismo (anche detto saltazionismo), per la quale la varietà delle specie è generata da mutazioni, bruschi salti, all’interno del patrimonio genetico degli esseri viventi. Quello stesso anno decise quindi di studiare di persona il fenomeno delle mutazioni con lo scopo di confutare le leggi di Mendel.

Inizialmente Morgan condusse i suoi esperimenti su piccioni e topi, ma nel 1907 decise di utilizzare un organismo più semplice, con cicli vitali più veloci, per questo scelse di utilizzare le drosofile.

Morgan nella Fly Room

In questa stanza Morgan sottoponeva le drosofile a stress fisici e chimici per poterne osservare al microscopio eventuali mutazioni fenotipiche (osservazione citologica), come il colore degli occhi o la dimensione e la forma delle ali, perché la presenza di mutazioni fenotipiche rappresentava la spia di una avvenuta mutazione genetica.

Le mutazioni attese si presentarono in diverse forme ma la più vistosa (e quindi più facile da isolare) fu quella relativa al colore degli occhi. Un giorno infatti Morgan riuscì a osservare e a separare con fatica, per via delle dimensioni ridotte, l’unico esemplare (un maschio) dagli occhi bianchi da tutti gli altri con gli occhi rossi.

Drosophile a confronto

Le successive fasi di studio portarono alla scoperta che l’ereditarietà genetica è legata ai cromosomi e che più geni stanno su un solo cromosoma. Morgan aveva quindi dimostrato che i geni erano entità fisiche localizzate sui cromosomi. Questa scoperta, descritta nel libro “The Mechanism of Mendelian Heredity“, gli è valsa il premio Nobel per la medicina e la fisiologia, il primo assegnato a un genetista.

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Con questi risultati Morgan fu in grado far coincidere osservazione citologica e analisi genetica. Riuscì soprattutto a trovare un punto di incontro tra l’evoluzione e la teoria cromosomica, diventando il padre della genetica moderna.