Carlo Rubbia, un alieno in Parlamento

Carlo Rubbia, un alieno in Parlamento

Carlo Rubbia, Nobel per la Fisica nel 1984 è un senatore a vita deluso dalla politica, ma proiettato verso il futuro. E sogna di vedere l’uomo su Marte

«Credi in te, guarda sempre avanti.» Ecco il consiglio che Carlo Rubbia ricevette dai suoi genitori quando era solo un bambino. E il suo piglio curioso e fiero lo ha portato lontano: fino al premio Nobel.

Al momento della candidatura aveva cinquant’anni e da più di venti lavorava al CERN (Conseil européen pour la recherche nucléaire). Riportano le cronache che apprese la notizia dalla radio, mentre era su un taxi diretto all’aeroporto di Malpensa: quando il notiziario annunciò che il Nobel era andato a un italiano, il tassista commentò: «Ma chi è Carlo Rubbia?». «Sono io» rispose lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

crediti immagine: Corriere della Sera

Carlo Rubbia alla cerimonia per la consegna del Nobel crediti immagine: Corriere della Sera

Il suo primo incontro con il prestigioso premio era in realtà avvenuto molti anni addietro, quando ancora bambino, nel primo dopoguerra, era stato colpito da una grave forma di broncopolmonite, a quei tempi una malattia in molti casi mortale. Era riuscito a sopravvivere solo grazie alla penicillina, la cui scoperta era valsa ad Alexander Fleming il Nobel per la Medicina nel 1945.

La guerra fu l’altro evento che segnò l’infanzia di Rubbia: nato a Gorizia nel 1934, da padre ingegnere e madre maestra, poco prima dell’annessione della città alla Jugoslavia si trasferì dapprima a Venezia e infine a Udine. Arrivò poi il momento di iscriversi all’Università: affascinato fin da piccolo dalla tecnologia e dalla scienza, avrebbe voluto iscriversi a fisica, mentre la sua famiglia lo voleva ingegnere; i genitori allora proposero un compromesso: avrebbe potuto iscriversi a fisica solo se fosse stato ammesso alla Normale di Pisa. I posti in palio erano dieci, la prova d’ammissione molto difficile, e Rubbia si classificò undicesimo. Quando ormai era rassegnato a studiare ingegneria a Milano, uno dei primi dieci rifiutò il posto e Rubbia guadagnò l’ammissione, seppur con tre mesi di ritardo. Furono anni piuttosto duri, conclusi però con una tesi sui raggi cosmici che gli permise di lavorare con Marcello Conversi, allievo di Fermi e in seguito collega anche al CERN.

rubbia caricatura

Carlo Rubbia con la sua caricatura crediti immagine: http://www.mediatheque.lindau-nobel.org/

Una breve esperienza alla Columbia University, negli Stati Uniti, segnò l’avvio dei suoi studi sull’interazione debole, una forza che, all’interno del nucleo dell’atomo, è responsabile dei fenomeni di radioattività. Dal 1961 in poi, Rubbia perfezionò questi studi al CERN, insegnando contemporaneamente fisica a Harvard, dove pose le basi di nuovi esperimenti insieme a David Cline e Peter McIntyre. Nel 1976, con questi ultimi e Simon van der Meer, convinse l’allora direttore del CERN John Adams a modificare l’acceleratore Super Proton Synchrotron (SPS) in un collisionatore di protoni e antiprotoni. Questo segnò l’inizio degli esperimenti che porteranno al Nobel: all’inizio degli anni Ottanta, infatti, il team di ricerca scoprì finalmente i bosoni W+, W− e Z, mediatori dell’interazione debole, confermando anche la teoria dell’unificazione della forza elettromagnetica.

La notizia ricevuta a bordo del taxi non fu del tutto inaspettata per un uomo da sempre molto sicuro di sé come Rubbia. Di fatto, però, l’assegnazione di un Nobel gli imponeva anche delle ulteriori responsabilità, come riporta il giornalista Giorgio Dell’Arti: «Un premio Nobel deve sapere tutto e su tutti. Almeno questo si aspettano gli altri. Il messaggio che un evento del genere veicola […] È che agli occhi degli altri ti trasformi in James Bond. E invece non lo sei, tu sei rimasto lo stesso […] hai soltanto ricevuto un riconoscimento. E invece quello che dici, tutto ciò che fai assume un peso enorme. Così impari a trattenerti, a stare attento a come ti esprimi».

Dopo cinque anni di direzione del CERN, Rubbia tornò in Italia, dove, a causa della situazione politica, imparò a sue spese a misurare le parole. Abituato a eccellere in un settore difficile come quello della fisica, e a vivere e lavorare in contesti meritocratici come quelli svizzero e americano, si scontrò ben presto con una realtà molto diversa, in cui il merito era costantemente messo in secondo piano. Dal 1999 fu, tra alterne vicende, presidente dell’ENEA (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) fino alla polemica definitiva con il governo Berlusconi, che portò l’ente al commissariamento nel 2005. Con una lettera a «La Repubblica», lo scienziato spiegò come l’iniziale intento di far prevalere il sapere scientifico fosse poi naufragato in nome del profitto e degli interessi personali: «Si è spesso detto dell’esistenza di scontri tra me e il Cda: in realtà non ci può essere “scontro” tra un gruppo compatto di sette consiglieri di esplicita nomina ministeriale da una parte e uno scienziato senza connotazione politica dall’altra». Oggetto del contendere, la nomina del nuovo direttore generale: «Si è giunti al punto di chiedermi, avendo io presentato una rosa di cinque nominativi, di proporne invece una rosa di sei, indicandomi ovviamente anche quale dovesse essere il sesto nome: quello che già avevano deciso dovesse occupare la carica di direttore generale».

Questa brutta esperienza, però, non concluse i rapporti di Rubbia con la politica, che proseguono ancora oggi. Nel 2013, infatti, è stato nominato senatore a vita dal presidente Giorgio Napolitano e, per sua stessa ammissione, in Parlamento si sente spesso «un alieno venuto dal passato».

Rita Levi Montalcini, Nobel per la medicina 1986 e Carlo Rubbia, Nobel per la fisica 1984, durante la riunione dei Premi Nobel in Vaticano , 30 ottobre 1986. ANSA

Rita Levi Montalcini, Nobel per la medicina 1986 e Carlo Rubbia, Nobel per la fisica 1984, durante la riunione dei Premi Nobel in Vaticano , 30 ottobre 1986. ANSA

Ma ancora adesso, a ottantaquattro anni, Carlo Rubbia guarda avanti, quando si tratta di ricerca: i suoi più recenti studi sul nucleare riguardano infatti nuove fonti energetiche in grado di sostituire quelle non rinnovabili, oltre alla realizzazione di un motore in grado di portare l’uomo su Marte, riducendo i tempi del viaggio.

E a chi gli chiede se ha paura della morte, risponde così: «Le cose sono e continueranno a essere, resterà ciò che abbiamo costruito, l’amore che abbiamo saputo offrire, l’amore che abbiamo meritato. Vado avanti come se niente fosse, imparerò quello che ancora riuscirò a imparare, ballerò fino al giorno prima di sparire.»