Immunoterapia: un passo avanti nella lotta al cancro

Immunoterapia: un passo avanti nella lotta al cancro

Durante una conferenza a Washington, un gruppo internazionale di ricercatori ha presentato risultati che potrebbero rivoluzionare le terapie anti-tumorali grazie all’immunoterapia

Il nostro sistema immunitario potrebbe avere una nuova carta da giocare nella lotta al cancro: i linfociti T, un tipo di globuli bianchi. I risultati di una serie di ricerche, presentate durante l’incontro annuale dell’associazione americana per il progresso della scienza (AAAS), hanno infatti sottolineato l’efficacia di questi linfociti in terapie anti-tumorali sperimentali. L’incontro si è tenuto a Washington lo scorso 14 febbraio e i risultati sono stati presentati da un gruppo internazionale di ricercatori: Stanley Riddell, immunoterapista presso il centro di ricerca sul cancro Fred Hutchinson, Dirk Busch, immunologo dell’università tecnica di Monaco (TUM), e Chiara Bonini, un’ematologa italiana che ha condotto la sua ricerca presso l’istituto milanese San Raffaele.

I linfociti T fanno parte della famiglia dei globuli bianchi e hanno la funzione di combattere gli agenti patogeni che entrano nel nostro organismo, come virus, batteri e parassiti. In particolare, i linfociti sono la struttura portante del sistema immunitario in quanto agiscono in modo specifico su determinati antigeni. I premi Nobel per la medicina e la fisiologia del 1996, Peter Doherty e Rolf Zinkernagel, hanno individuato dei recettori, sulla superficie dei linfociti T, che permettono loro di legarsi direttamente agli antigeni dei patogeni o delle cellule infettate da patogeni. Da questi recettori partono le ricerche di Riddell, Busch e Bonini.

Stanley Riddell, Chiara Bonini e Dirk Busch alla conferenza dell’AAAS del 14 febbraio

Stanley Riddell, Chiara Bonini e Dirk Busch alla conferenza dell’AAAS del 14 febbraio. Credits: eurekalert

Le loro ricerche hanno portato allo sviluppo di una terapia sperimentale a base di linfociti T per la cura di alcuni tumori. La terapia si svolge in tre fasi principali e il suo obiettivo è la produzione di linfociti T che agiscano specificamente sulle cellule tumorali, attaccandole come se fossero patogeni di influenze o infezioni. In un primo momento, i linfociti T vengono estratti dal paziente. Successivamente, vengono modificati geneticamente in laboratorio, in modo da aumentare la loro interazione con le cellule tumorali e permettere loro di replicarsi e vivere a lungo nel corpo umano. A questo punto i linfociti geneticamente modificati vengono iniettati nuovamente nel paziente.

La terapia è stata somministrata a pazienti per i quali le cure tradizionali non hanno portato benefici e i risultati sembrano essere promettenti: il 94% dei pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta è guarito completamente e più dell’80% di persone affette da altri tipi di tumori del sangue ha tratto beneficio dalla terapia.

Durante la conferenza dell’AAAS i commenti dei ricercatori su questi risultati sono stati positivi. Stanley Riddell ha dichiarato: «Onestamente, è la prima volta nella storia della medicina in cui si ottengono risposte di questo tipo in pazienti in cui il cancro è a uno stadio così avanzato». E anche le parole dell’ematologa del San Raffaele, Chiara Bonini, sono state ottimistiche: «Per alcuni tipi di leucemie questa terapia sarà un prodotto commerciale già entro 4-5 anni. Per gli altri tumori ci vorrà più tempo. Ma non è irrealistico pensare che in un futuro più lontano una grossa fetta dei tumori, anche fino al 50% potrà essere combattuta così».

Tuttavia, la terapia presenta gravi effetti collaterali e i ricercatori che hanno presentato la ricerca sono perfettamente a conoscenza di questo problema. Riddell ha dichiarato che una diminuzione delle dosi di linfociti T somministrate ai pazienti potrebbe diminuire gli effetti collaterali. Quindi, nonostante questa terapia abbia ottenuto risultati promettenti, ci vorrà ancora un po’ di tempo affinché possa essere somministrata al di fuori di test clinici limitati.

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