Chandrasekhara Venkata Raman e il colore del mare

Chandrasekhara Venkata Raman e il colore del mare

La vita di Chandrasekhara Venkata Raman, primo fisico indiano a vincere il Nobel: ha studiato l’interazione della luce con la materia scoprendo l’effetto che porta il suo nome e ha fondato un istituto di ricerca a Bangalore

Assorbimentotrasmissioneriflessione. Sono i tre possibili scenari che si osservano quando la luce colpisce un oggetto. Più specificatamente, i fisici parlano di diffusione per descrivere i fenomeni che avvengono quando la materia non assorbe la luce con cui interagisce. Fenomeni che, tra l’altro, sono strettamente connessi alla nostra esperienza quotidiana: il motivo per cui il cielo appare blu, per esempio, sta nel fatto che i raggi del sole, che attraversano la nostra atmosfera e contengono fotoni con energie diverse (ovvero luce che contiene colori diversi) vengono diffusi in tutte le direzioni dalle molecole d’aria. A essere diffusi sono specialmente i fotoni con energie corrispondenti al blu e al violetto:  in sostanza, la luce solare contiene tutti i colori possibili, però quelli blu e violetto rimbalzano più degli altri contro le molecole di aria, sparpagliandosi in ogni direzione e conferendo al cielo il suo colore caratteristico. Al tramonto — o all’alba— invece, il sole è basso sull’orizzonte. La luce attraversa uno strato di aria più spesso e questo permette anche ai fotoni rossi, gialli e in misura minore verdi di essere diffusi in quantità sufficienti da essere visibili ad occhio nudo. Questo processo venne scoperto da John William Strutt Rayleigh e si chiama effetto Rayleigh (o diffusione elastica della luce).

Alla questione si interessò, nella prima metà del novecento, anche il fisico indiano Chandrasekhara Venkata Raman. Nell’estate del 1921, durante un viaggio in Europa ebbe modo di osservare per la prima volta il “meraviglioso blu opalescente del Mar Mediterraneo”, e si chiese perché, analogamente al caso del colore del cielo, un liquido trasparente come l’acqua apparisse in realtà colorato. Tornato a Calcutta iniziò una serie di esperimenti sulla diffusione della luce nei liquidi, cercando di comprendere se alla base di questo fenomeno potessero esserci meccanismi più complessi della sola diffusione elastica.  Detto fatto: nel 1928, insieme al collega K. S. Krishnan, Raman pubblicò un articolo sulla rivista Nature dal titolo Un nuovo tipo di radiazione secondaria, che gli sarebbe valso, due anni più tardi, l’assegnazione del premio Nobel per la fisica nel 1930. La scoperta prese il suo nome, effetto Raman, e rappresentò una vera e propria rivoluzione per la fisica della materia.

Ma in cosa consiste questa radiazione secondaria? La luce diffusa elasticamente costituisce più del novantanove percento della radiazione diffusa. Tuttavia, circa un milionesimo della luce diffusa dalla materia non ha la stessa energia che aveva prima di interagire. Un po’ come se i fotoni cambiassero colore. La conclusione a cui Raman e i suoi collaboratori giunsero è che alcuni fotoni possono scambiare energia con gli atomi che costituiscono la materia. Possono cederne un po’, oppure acquistarla, a seconda delle caratteristiche delle molecole con cui interagiscono. Oggi sappiamo che le molecole sono strutture tridimensionali complesse, costituite da atomi diversi legati fra loro da legami chimici. Possono ruotare, vibrare, avere una carica elettrica complessiva. Tutte queste caratteristiche si possono riassumere con il concetto dei livelli energetici di una molecola, che possono essere elettronici, vibrazionali o rotazionali. L’effetto Raman consiste nella diffusione della luce con energia maggiore o minore rispetto a quella iniziale, a seconda che la molecola ceda o riceva energia. Queste quantità di energia sono molto specifiche, e costituiscono una specie di firma del materiale che si vuole studiare. Le informazioni che si possono ottenere tramite l’effetto Raman sono numerose e precise. Ad esempio possiamo conoscere con precisione assoluta che tipo di atomi compongono un determinato cristallo, come si muovono l’uno rispetto all’altro, quali sono i legami chimici, quanto sono eccitate le sue molecole — essenziale per la misura di temperatura — oppure se con una variazione della temperatura causa un cambiamento del modo in cui le molecole sono disposte all’interno del materiale. Oggi i moderni spettrometri basati sull’effetto Raman sono strumenti essenziali per lo studio dei materiali, e vengono usati quotidianamente in tutto il mondo.

credits: nobelprize.org

Chi era l’uomo responsabile di una scoperta così importante? Chandrasekhar Venkata Raman nacque il 7 novembre 1888 nel piccolo villaggio di Tiruchirappalli, nella provincia di Madras nell’India meridionale. Il padre era un professore di matematica e fisica, il che permise al giovanissimo Raman di approfondire molto presto la sua passione per la scienza: ammesso al Precidency College di Madras nel 1902, all’età di 14 anni, si diplomò due anni dopo vincendo la medaglia d’oro per la fisica. Si laureò a 19 anni, nel 1907, con il massimo dei voti e note di merito. Tuttavia la sua carriera lavorativa, per volontà del padre, iniziò al Dipartimento Indiano per la Finanza di Calcutta. Nel tempo libero Raman riuscì comunque a dedicarsi alla fisica sperimentale, con i limitati mezzi dell’Associazione indiana per la coltivazione della scienza (Iacs) di Calcutta. Solo nel 1917 poté lasciare il lavoro d’ufficio per dedicarsi a tempo pieno alla ricerca, grazie alla neonata cattedra di fisica che gli venne assegnata all’università di Calcutta. Nel frattempo continuò la sua attività di ricerca allo Iacs dove cominciò gli esperimenti sulla diffusione della luce che lo portarono a scoprire l’effetto omonimo. Dopo quindici anni passati a Calcutta, divenne professore dell’Istituto Indiano della scienza di Bangalore, dove fondò  e diresse l’Istituto di ricerca Raman. Inoltre creò l’Indian Journal of Physics e promosse la nascita dell’Accademia delle Scienze Indiana, della quale fu presidente fin dall’inizio. I suoi contributi scientifici non si fermarono alla diffusione anelastica della luce: Raman si occupò anche di acustica su strumenti indiani tradizionali, diffrazione della luce tramite ultrasuoni e degli effetti dei raggi x sulle vibrazioni infrarosse nei cristalli. Il suo laboratorio riuscì a sviluppare un modello completo della struttura del diamante e studiare le proprietà ottiche di molte sostanze iridescenti come opali, perle, agate e feldspati perlacei. Fu il primo scienziato indiano a vincere il premio Nobel — e zio del secondo, Subrahmanyan Chandrasekhar,  premio Nobel per la fisica nel 1983 per il calcolo del limite di Chandrasekhar — in un periodo di grandi cambiamenti per la società indiana. L’India fu una colonia inglese dal 1858 con il governo di un viceré, poi sotto il diretto controllo della corona. Raman fu ammesso prima alla Royal Society nel 1924 e poi ricevette il cavalierato nel ‘29. In quegli anni Mohandas Karamchand Gandhi — detto Mahatma — aveva dato il via ad un esteso movimento di disobbedienza civile, che culminò con la dichiarazione di indipendenza indiana del 15 agosto 1947. La statura scientifica di Raman venne riconosciuta subito dal neonato stato indiano che lo nominò primo professore.

Raman morì il 21 novembre 1970, rimanendo fino a quel momento il direttore del suo istituto di ricerca a Bangalore. In India si celebra la giornata nazionale della scienza ogni 28 febbraio, giorno in cui Raman annunciò al mondo la sua scoperta più importante.