È morto Richard Edward Taylor, uno dei padri sperimentali dei quark

È morto Richard Edward Taylor, uno dei padri sperimentali dei quark

Fu tra gli ideatori di nuovi esperimenti che confermarono l’esistenza dei quark e segnarono una svolta nella fisica delle particelle. Nel 1990, ricevette il premio Nobel per la fisica assieme a Jerome Friedman ed Henry Kendall

Di cosa siamo fatti? O più in generale, di cos’è fatta la materia? Richard Edward Taylor, fisico canadese naturalizzato statunitense, è stato uno dei (tanti) scienziati che hanno provato a rispondere a questa non facile domanda. È morto il 22 febbraio scorso, a 88 anni, all’interno del campus dell’università di Stanford dov’era professore emerito e viveva. La notizia è stata diffusa dalla stessa università, senza specificare le cause della morte.

Per capire quali sono stati i contributi di Taylor al viaggio scientifico nell’infinitamente piccolo, bisogna tornare agli inizi del Novecento. Ernest Rutherford fu il primo a mostrare che gli atomi avevano un nucleo costituito da particelle con carica positiva: i protoni. Lo stesso Rutherford ipotizzò anche l’esistenza dei neutroni, particelle prive di carica che avrebbero dovuto tenere insieme i protoni. Il nucleo degli atomi era così formato da particelle positive, i protoni, e particelle neutre, i neutroni. Durante gli anni Cinquanta, Robert Hofstadter – premio Nobel nel 1961 e professore di Taylor a Stanford – avviò una serie di esperimenti di diffusione elastica, in cui i nuclei degli atomi venivano bombardati con elettroni, particelle di carica negativa. La misura delle traiettorie degli elettroni, deviati senza perdita di energia – diffusione elastica appunto – forniva informazioni sulla struttura dei nuclei e sulla dimensione dei protoni. Tuttavia, per conoscere meglio la struttura degli atomi servivano elettroni sempre più energetici: in poche parole serviva più potenza. Ed è qui che arriviamo a Richard Edward Taylor.

A sud-est del campus dell’università di Stanford si trova una struttura particolare. Ha l’aspetto di una sottile linea bianca che si allunga per almeno tre chilometri da est verso ovest, passando sotto la statale 280. Si tratta di Slac (Centro d’Accelerazione Lineare di Stanford), un acceleratore di particelle che permette di fare esperimenti che spaziano dalla fisica delle alte energie alla biologia, e che ogni anno attira scienziati da tutto il mondo. Alla fine degli anni Sessanta, Slac era il più potente acceleratore di particelle al mondo. Richard Edward Taylor è stato uno dei fisici che hanno contribuito alla sua costruzione. Si devono a lui l’ideazione e la costruzione del grande spettrometro: uno strumento in grado di rilevare le particelle nell’acceleratore in base alla loro massa, energia e momento e di tracciare le loro traiettorie.

Richard Edward Taylor nel 1967.
(Wikimedia Commons)

Nel 1963, a Slac sono cominciati gli esperimenti di diffusione anelastica profonda. In questo caso, la velocità degli elettroni era sufficiente a far sì che questi cedessero parte della loro energia ai nuclei e in qualche caso li distruggessero. I risultati sono stati sorprendenti. Gli elettroni venivano deviati ad angoli ben maggiori di quelli predetti dalla teoria che, ricordiamo, considerava protoni e neutroni come particelle indivisibili. Com’era possibile? La risposta è che i protoni non hanno una struttura uniforme, bensì sono a loro volta formati da sub-particelle: i quark. In realtà, qualcuno ci aveva già pensato: nel 1964, Murray Gell-Mann (Nobel nel 1969) e George Zweig avevano teorizzato, indipendentemente, che qualcosa simile ai quark doveva esistere.

Quegli esperimenti condotti dal dottor Taylor e colleghi”, ha detto Percis Drell, rettore dell’università di Stanford, a Stanford News, “hanno mostrato che i protoni sono più come una marmellata con dei semi all’interno (i quark) che un gel uniforme di carica elettrica”. È stata una svolta per la fisica delle particelle. Sulla base di quelle ricerche si è sviluppato il modello standard, una classificazione, ancora incompleta, di tutte le particelle note e delle quattro forze fondamentali che regolano le loro interazioni: elettromagnetica, nucleare forte, nucleare debole e gravitazionale.

Richard Taylor ha dedicato alla fisica sperimentale gran parte della propria vita. Nel 2008, “Il mio compito è quello di fare misure e di assicurarmi che siano corrette”, raccontava in un’intervista nel 2008. “È compito della comunità di teorici spiegare perché ottengo certi risultati quando faccio gli esperimenti. Non correvo in giro a dire che avevo scoperto i quark. Potevo descrivere come gli elettroni venissero diffusi dai protoni. Sei tu poi a dirmi cosa c’è nei protoni che causa quel comportamento”.

Nato nel 1929 in un piccolo villaggio canadese, Medicine Hat, Richard E. Taylor crebbe in un clan matriarcale guidato dalla nonna paterna, una donna scozzese. Il padre era canadese e la madre americana, anche lei figlia di immigrati europei, norvegesi. Poco dopo che Taylor ebbe compiuto 10 anni, a Medicine Hat fu aperta una base di addestramento per i piloti della Raf. Mentre la seconda guerra mondiale devastava l’Europa, dall’altra parte dell’oceano permetteva ad un piccolo villaggio canadese di ampliare i propri orizzonti culturali. Il paese si riempì di soldati e persone con un alto livello di istruzione, provenienti da tutto il paese. La prima volta in cui il giovane Taylor vide un’orchestra sinfonica, i musicisti erano prigionieri tedeschi.

L’interesse per la fisica si accese con la notizia delle bombe atomiche sganciate sul Giappone. Questo nonostante avesse perso tre dita della mano sinistra per un incidente con degli esplosivi, con i quali faceva esperimenti. Alla fine delle scuole superiori si iscrisse all’università di Edmonton, in Canada, dove seguì un programma speciale che metteva in risalto fisica e matematica. Grazie ad un particolare interesse per la fisica sperimentale, si laureò con una tesi sul decadimento beta, misurato con una vecchia camera a nebbia. A questo punto, decise di trasferirsi negli Stati Uniti con la moglie Rita Bonneau, conosciuta durante l’università. Venne accettato nel programma di dottorato a Stanford che era in fase di grande crescita. “I primi due anni a Stanford sono stati eccitanti oltre ogni descrizione” ha raccontato Taylor nell’autobiografia scritta per l’Istituto Nobel, “il dipartimento di fisica aveva al suo interno persone come Felix Bloch, Willis Lamb, Robert Hofstadter e Pief Panofsky che erano appena arrivati da Berkeley. Ho dovuto lavorare duro per mantenere il passo dei compagni di corso, ma imparare la fisica in quell’ambiente era un gran divertimento”. A questo punto Taylor entrò nel gruppo di fisica delle alte energia, dove si cominciavano a progettare gli esperimenti per Slac.

Richard. E. Taylor, nel 1996, si congratula col collega Douglas Osheroff (secondo da sinistra) per aver condiviso il premio Nobel quell’anno. Insieme a lui altri premi Nobel di Stanford: Martin Perl (a destra) che ha condiviso il premio nel 1995 e Burton Richter che lo ha ricevuto nel 1976.
(Paul Sakuma/Associated Press)

Il dottorato fu solo l’inizio di una lunga carriera. Nel 1958, si trasferì per tre anni a Parigi, alla Scuola Normale Superiore, dov’era in progetto un acceleratore lineare simile a quello di Stanford. In questo periodo, nacque il figlio Ted e la moglie Rita trovò lavoro come bibliotecaria al laboratorio di Orsay. Taylor avrà altre due esperienze in Europa: un anno al Cern, nel 1971, e un altro anno ad Amburgo, nel 1981, grazie al premio Alexander Von Humboldt. Dopo Parigi, nel 1961, tornò negli Stati Uniti dove lavorò a Berkeley e poi di nuovo a Stanford, dove cominciò il fruttuoso periodo, durato dieci anni, di lavoro a Slac. Nel 2008, durante un’intervista per il l’Istituto Nobel, Taylor ha raccontato che i nomi dietro l’esperimento della diffusione anelastica profonda erano più di venti. Inoltre, più di quaranta persone avevano lavorato alla costruzione dell’esperimento, aiutate da altre quaranta fra tecnici e ingegneri. Il tutto in un acceleratore costruito da migliaia di persone.  Il fisico ha ribadito che il premio si sarebbe dovuto dividere fra molte più persone. Il messaggio era preciso: la conoscenza non è frutto del lavoro di un singolo, bensì di un grande gruppo.

Un altro notevole risultato ottenuto da Taylor è stato l’aver dimostrato, nel 1978, l’ipotesi sulla forza elettro-debole. La teoria rivoluzionaria di Steven Weinberg, Sheldon Less Glashow e Abdus Salam si basava sull’ipotesi che due delle quattro forze fondamentali, la forza elettromagnetica e la forza nucleare debole, erano aspetti di una forza unica, quando le particelle hanno energia sufficiente. La chiamarono forza elettro-debole. La teoria era particolarmente importante perché sarebbe stata un tassello fondamentale alla teoria del tutto: una spiegazione completa di come funziona l’universo in un’unica elegante formula. Taylor, con un esperimento da lui ideato che permetteva un livello di precisione mai raggiunto prima, riuscì a dimostrare che, ad un certo punto, durante la nascita dell’universo, le forze fondamentali erano tre e non quattro. L’anno successivo, il 1979, il premio Nobel per la fisica sarebbe stato assegnato proprio a Weinberg, Glashow e Salam.

Fra i tratti che hanno contraddistinto lo scienziato, oltre alla propensione per il lavoro di gruppo e alla modestia, non manca una certa dose di ironia. Durante il banchetto che si tiene tradizionalmente dopo la cerimonia di assegnazione del Nobel, disse di avere un problema: “Per me l’argomento ovvio sono i quark. E poi ci è stato chiesto di essere spiritosi. Dopo una lunga riflessione ho deciso che i quark, semplicemente, non fanno ridere”. Spiegando che “sono troppo piccoli. Per la maggior parte del tempo non gli succede nulla e se qualcosa succede è più probabile che sia catastrofico piuttosto che divertente. Ai quark, semplicemente, non interessa”. E infine un pensiero per i propri studenti: “I quark e le stelle erano qui quando siete arrivati e saranno qui quando ve ne andrete. Non hanno il senso dell’umorismo perciò, se volete un mondo in cui più persone sorridano, dovrete pensarci voi”.