Percy W. Bridgman lavora ai suoi esperimenti sulle alte pressioni

Percy Williams Bridgman, il fisico delle altissime pressioni

Fisico, filosofo e insegnante, Percy Williams Bridgman riceve il premio Nobel nel 1946 per i suoi studi nel campo della fisica delle alte pressioni

Relatività meccanica quantistica. Ovvero, semplificando all’estremo, infinitamente grande infinitamente piccolo. Questi i due pilastri su cui si basa la rivoluzione della fisica del Novecento. Due teorie, a lungo dibattute, che rappresentarono un vero punto di svolta: spazio e tempo non erano più valori assoluti, ma variabili a seconda della posizione dell’osservatore. È in questo contesto di grandi cambiamenti che si colloca la figura di Percy Williams Bridgman, scienziato brillante e infaticabile pensatore. Bridgman fu un pioniere nel suo ambito di ricerche, quello della fisica delle alte pressioni, ovvero lo studio di come l’alta pressione influenzi le proprietà della materia. La rivoluzione che investì il mondo della fisica fu tra le altre cose uno spunto, per Bridgman, a rivedere il presupposto alla base del metodo scientifico galileiano, secondo il quale (sempre semplificando) esista una verità oggettiva, sempre replicabile.

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Bridgman era nato a Cambridge, Massachusetts, il 21 aprile del 1882. Figlio di genitori profondamente religiosi, fu educato ai principi della chiesa congregazionale puritana. Tuttavia la sua natura analitica si scontrò ben presto con la fede in Dio: Bridgman si allontanò così dalla chiesa, causando un iniziale dispiacere al padre che comunque, successivamente, si dichiarò orgoglioso della scelta del figlio di “aver agito secondo coscienza” . Nel 1900 iniziò ad Harvard i suoi studi accademici, fortemente incentrati su matematica, fisica e chimica, laureandosi cum laude nel 1904. Proseguì la carriera nel dipartimento di fisica dell’università, prima con un dottorato, poi lavorando come assistente e infine come professore, nel 1919. Fatta eccezione per il periodo delle due guerre mondiali, trascorse la sua esistenza a Cambridge, in compagnia della moglie e dei figli.

Credits: AIP Emilio Segrè Visual Archives, W. F. Meggers Gallery of Nobel Laureates Collection

I suoi studi sugli effetti delle alte pressioni sui materiali iniziarono nel 1905 e proseguirono per tutta la durata della sua carriera, ovvero più di mezzo secolo. Una svolta significativa, nelle ricerche di Bridgman, arrivò in maniera del tutto fortuita: l’apparato utilizzato nei suoi esperimenti era formato da due camere comunicanti, riempite con un fluido, la camera di pressione e la camera di sperimentazione. Nella prima camera il fluido veniva sottoposto a una grande pressione tramite l’ausilio di un pistone mobile. Attraverso il fluido, la pressione generata si propagava anche alla camera di sperimentazione. Durante uno dei suoi primi esperimenti l’apparato che stava utilizzando esplose e alcune sue componenti furono danneggiate. In attesa che venissero sostituite, Bridgman iniziò a lavorare alla costruzione di un nuovo dispositivo di tenuta per la camera a pressione. Presto si rese conto che il sigillo messo a punto funzionava molto meglio di quanto avesse previsto: l’efficienza di tenuta aumentava all’aumentare della pressione e le perdite diminuivano.  “Senza dubbio la scoperta più influente è stata quella di un metodo per produrre un’alta pressione idrostatica senza perdite”, raccontò più tardi. “La scoperta del metodo ha avuto un forte elemento di casualità”.

Sin dai primi esperimenti, con il nuovo apparato costruito, Bridgman riuscì a superare il limite di 3000 kg/cm2, che rappresentava il valore massimo di pressione applicabile fino a quel momento. Bridgman condusse ricerche approfondite sulle proprietà della materia a pressioni fino a 400.000 kg/cm2, incluso uno studio sulla compressibilità, conducibilità elettrica e termica, resistenza alla trazione e viscosità di oltre cento diversi materiali. I risultati ottenuti costituirono la base per la maggior parte dei progressi della tecnologia a pressione. Furono rilevanti, per esempio, nella realizzazione dei primi diamanti sintetici. Nel 1946 Bridgman fu insignito del premio Nobel per la fisica per “l’invenzione di un apparato per produrre pressioni estremamente elevate, e per le scoperte fatte con esso nel campo della fisica delle alte pressioni”.

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Uomo schivo, determinato e dedito al lavoro, quando non era impegnato in laboratorio occupava il poco tempo libero che aveva dedicandosi a due altre grandi passioni: l’insegnamento e la filosofia della fisica moderna. In quest’ultimo campo è noto per la formulazione della teoria dell’operazionismo, introdotta nell’opera La logica della fisica moderna del 1927. Bridgman sosteneva che i concetti scientifici fossero sinonimi del gruppo di operazioni necessarie per la loro definizione, strettamente connessi con l’esperienza. Concetti scientifici di valore assoluto, come la lunghezza e la durata, hanno significato solo in relazione alle operazioni che ne hanno consentito la misurazione. Per esempio, la lunghezza di una casa è determinata dalle operazioni fisiche necessarie per misurarla, che prevedono l’utilizzo di un metro. Le stesse operazioni non sono però applicabili per misurare la distanza di un corpo dalla luna. Inoltre, ogni misurazione, anche la più semplice, è sempre accompagnata da un errore sperimentale.  A distanze sempre maggiori, non solo l’accuratezza sperimentale diminuisce, ma la natura stessa delle operazioni con cui deve essere determinata la lunghezza diventa indefinita. Pertanto l’analisi operativa rivela che la lunghezza non è un concetto omogeneo che si applica in maniera uguale a tutti gli intervalli in cui lo usiamo. Non può esistere più una verità assoluta, ma solo verità relative. Da qui, la provocazione di Bridgman a usare la prima persona negli studi scientifici, in quanto tutte le osservazioni e interpretazioni sono individuali, dipendenti dalle interazioni intercorse nel processo di misurazione. L’idea di base che egli sosteneva è che “l’atteggiamento del fisico deve essere un atteggiamento di puro empirismo. Egli non deve ammettere nessun principio a priori che determini o limiti le possibilità di nuove esperienze”.  La teoria dell’operazionismo di Bridgman fu ben accolta dagli scienziati dell’epoca, in un periodo in cui le teorie della relatività e dei quanti sfuggivano alle regole della fisica classica. Anzi, fu proprio la scoperta di Einstein a inspirare Bridgman nelle sue riflessioni.

Libertario e antimilitarista convinto, nel 1939 chiuse le porte del suo laboratorio a scienziati provenienti da stati totalitari, in quanto, a suo dire, “Gli stati totalitari non riconoscono la coltivazione libera della scienza come conoscenza fine a se stessa, ma hanno requisito le attività scientifiche dei loro cittadini per servire i propri scopi”. Nel 1955 firmò, insieme ad Albert Einstein e Bertrand Russell, una lettera-manifesto contro l’utilizzo degli armamenti atomici.

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Morì suicida nel 1961, dopo che gli venne diagnosticata una malattia incurabile alle ossa. Nel suo biglietto d’addio scrisse: “Non è onesto per una società obbligare un uomo a fare questa cosa da solo. Probabilmente questo è l’ultimo giorno in cui sono in grado di farlo io stesso”.

 

 

 

 

Immagine in evidenza: Percy W. Bridgman (destra) alle prese con i suoi esperimenti sulle alte pressioni. Credits: AIP Emilio Segrè Visual Archives, W. F. Meggers Gallery of Nobel Laureates Collection