Nobel mancati per l’informatica: i vincitori del premio Turing 2018

Nobel mancati per l’informatica: i vincitori del premio Turing 2018

Yoshua Bengio, Geoffrey Hinton e Yann LeCun, padri dell’intelligenza artificiale, vincono il premio Turing 2018, il più alto riconoscimento in ambito informatico. Premiate le loro scoperte che hanno reso “le reti neurali profonde un componente critico dell’informatica”

Il Nobel per l’informatica non esiste, ma Yoshua Bengio, Geoffrey Hinton e Yann LeCun hanno vinto il premio che ci si avvicina di più. I tre scienziati si sono aggiudicati, infatti, il premio A.M.Turing 2018, assegnato dall’Association for Computing Machinery, per le loro scoperte in uno dei campi di ricerca dell’intelligenza artificiale: l’apprendimento profondo, in inglese deep learning. Il lavoro dei tre scienziati, pionieri in questo ambito, è alla base di tecnologie di uso comune, come il riconoscimento facciale, e di uso meno comune, ma altrettanto utili, come le auto a guida autonoma e le diagnosi mediche automatiche.

Geoffrey Hinton e Yoshua Bengio (credits flickr.com)

L’appredimento profondo permette infatti alle macchine di eseguire istruzioni per le quali sono state addestrate tramite auto-apprendimento. Questo è possibile “copiando” il funzionamento del cervello umano con reti di neuroni artificiali: le cosidette reti neurali, ispirate proprio a quelle umane. Hinton, Bengio e LeCun hanno messo a punto le tecniche che hanno reso possibile l’uso di queste tecnologie.

Il premio vinto dai tre scienziati è intitolato al matematico, logico e crittografo inglese Alan Mathison Turing. Considerato il padre dell’informatica, mise le sue capacità al servizio dell’umanità durante la seconda guerra modiale. Costruì infatti una macchina in grado di decifrare i codici usati dai nazisti per comunicare. Un uomo dalle intuizioni geniali che, nonostante gli evidenti risultati, incontrò non poco scetticismo nel suo lavoro.

Uno scietticismo che hanno sperimentato, molti anni dopo Turing, anche Hinton, Bengio e LeCun. La strada per arrivare al più prestigioso riconoscimento nell’informatica è stata infatti tutt’altro che in discesa. Il lavoro dei tre scienziati sulle reti neurali inizia alla fine degli anni Ottanta e continua nei successivi decenni. Un novità assoluta che non porta però agli immediati risultati sperati e si scontrara con una forte diffidenza generale. Come lo stesso LeCun ricorda: “Fino ai primi anni Duemila è stato impossibile pubblicare le nostre ricerche sul deep learning perché la comunità aveva completamente perso l’interesse: l’intelligenza artificiale era una specie di tabù”.

Yoshua Bengio all’École polytechnique di Parigi (credits: École polytechnique)

A caccia di una strategia per far rinascere la curiosità verso il loro campo di studi, i tre, finanziati dal governo canadese, ricominciano dal basso. Con incontri, seminari e scuole estive per studenti, riescono a creare una piccola comunità che cresce con il tempo. La svolta decisiva arriva nel 2012 quando Hinton, a capo di un gruppo di suoi studenti, vince una competizione fra ricercatori, con un sistema di riconoscimento per oggetti basato sulle reti neurali: questo cattura nuovamente l’interesse della comunità scientifica. Hinton ha avuto il merito di aver creduto nel suo lavoro dall’inizio alla fine.

Yann LeCun durante la O’Reilly AI Conference di Londra (credits: flickr.com)

Oggi i tre padri del deep learning si dividono tra il mondo accademico e quello aziendale. Bengio è professore all’università di Montreal e direttore dell’istituto di intelligenza artificiale Mila, in Quebec, Hinton insegna all’università di Toronto ed è vicepresidente di Google Brain mentre LeCun è docente dell’univeristà di New York e direttore del laboratorio di intelligenza artificiale di Facebook. Riguardo il futuro del loro campo di ricerca sono ottimisti, ma rimangono realisti su quanto lavoro è ancora da fare per rispettare davvero le aspettative create. “Se saremo in grado di usare nuovi metodi per ricreare un’apprendimento del livello di quello umano, probabilmente ci saranno altre 50 montagne che dovremo scalare, comprese quelle che non possiamo vedere ancora”, afferma LeCun, “abbiamo solo scalato la prima montagna. Forse la seconda”.

Credits immagine di copertina: Wikimedia commons