Tra sonno e realtà: intervista a Luigi De Gennaro

Tra sonno e realtà: intervista a Luigi De Gennaro

Luigi De Gennaro, psicofisiologo, professore ordinario al dipartimento di Psicologia di Sapienza, si occupa dello studio del sonno e delle sue patologie

Luigi De Gennaro è direttore del laboratorio del sonno dell’università di Roma Sapienza. Membro del direttivo dell’Associazione italiana di medicina del sonno. Esperto di sonno normale e patologico. Con lui parliamo di ricerca, didattica e impegno civile.

Quando nasce l’interesse per la ricerca sul sonno?

“Nella carriera delle persone che hanno scelto di fare ricerca scientifica trovare il punto di svolta spesso non è così ovvio. Nel mio caso la spiegazione più banale (ma certamente vera) è che la passione per la ricerca sul sonno è nata quando ho iniziato a lavorare alla tesi sperimentale. Però nel caso del sonno c’è un aspetto che spesso sfugge: rispetto alle 24 ore, noi impieghiamo un terzo delle nostre giornate, quindi un terzo della nostra vita a dormire. Parliamo perciò di un potenziale ambito di ricerca sconfinato in cui le domande aperte sono ancora tantissime. Era così quando ho iniziato e lo è ancora oggi.”

Tra le varie aree di ricerca di cui si occupa, qual è quella a cui è maggiormente “affezionato”?

Pur avendo iniziato con la ricerca di base sul sonno, nell’ultimo decennio molti dei miei studi sono stati rivolti ai modelli patologici o ai disturbi del sonno. Aver perso entrambi i genitori per la malattia di Alzheimer è stato uno dei motivi che mi ha spinto ad intraprendere la ricerca sul sonno nell’ambito di questa malattia. Abbiamo chiuso, solo pochi mesi fa, il più grosso studio mai condotto al mondo in cui abbiamo evidenziato per la prima volta specifiche differenze nell’attività elettrica cerebrale durante il sonno che discriminano la malattia di Alzheimer dal decadimento cognitivo lieve (uno stadio intermedio tra demenza ed invecchiamento normale) e dagli anziani sani. È stato per me motivo di grande soddisfazione, non solo perché lo studio è stato pubblicato su un’ottima rivista (iScience, la rivista open access di Science) ma anche perché l’ho vissuto come tappa di un personale percorso volto a dare una speranza a tanti malati. Questa è la ricerca a cui sono più affezionato ma è anche quella verso la quale mi sento più obbligato.”

Qual è la percentuale di persone che soffre di insonnia in Italia?

L’insonnia in forma cronica, cioè quella che si protrae per oltre tre mesi, è una malattia altamente prevalente che, secondo i criteri di classificazione internazionale, riguarda una percentuale che oscilla tra il 10 e il 13% della popolazione italiana (ma in diversi altri paesi le percentuali restano grosso modo le stesse). Ovviamente non tutte le fasce d’età sono ugualmente a rischio per l’insonnia: negli anziani la probabilità è molto più elevata. Un’altra variabile è rappresentata dal genere visto che è un disturbo in cui la prevalenza femminile è quasi doppia rispetto a quella maschile.

Qual è il tipo di trattamento consigliato?

L’insonnia è una malattia e molto spesso il non trattarla adeguatamente rimanda a un aumento del rischio di patologie successive. Si stima che quasi metà degli insonni cronici non intraprenda alcun tipo di trattamento mentre l’altra metà ricorre a trattamenti non consigliati. Le società scientifiche di medicina, di psichiatria e di ricerca sul sonno indicano i trattamenti cognitivo comportamentali come prima scelta nella cura dell’insonnia. Purtroppo, come spesso accade nell’approccio alla salute, la scelta farmacologica è la scelta più facile. Il farmaco non “chiede” niente alle persone mentre il trattamento comportamentale impone un cambiamento di credenze e atteggiamenti. Questo non piace a nessuno ed è il motivo per il quale tante persone fanno la scelta sbagliata. Paradossalmente  esiste un’insonnia dovuto all’uso di farmaci ipnotici, utilizzati proprio per curare l’insonnia.

Nel 2005, mentre il personale universitario scioperava contro la riforma Moratti, lei si è reso protagonista di una singolare forma di protesta. Ce ne vuole parlare?

Ero convinto che lo sciopero servisse a dar voce ad alcune ragioni. Ma in quell’occasione, piuttosto che far mancare il mio lavoro agli studenti ed essere uno dei tanti che (giustamente) protestava, decisi di fare il contrario. Invece di sottrarre, io decisi di aggiungere, di fare di più. Dopo le prime due ore canoniche di corso dalle 8 alle 10, continuai la mia lezione ininterrottamente fino alle 20 (sarà la sorveglianza ad avvertirmi che è ora di chiudere). Dal numero degli studenti che si alternarono durante la giornata e dal numero di interviste rilasciate posso dire che è stato molto più produttivo, in termini di visibilità per le motivazioni della protesta, rispetto a non  fare lezione. A volte basta fare un esercizio di fantasia per esprimere le proprie ragioni senza necessariamente ledere i diritti degli altri.”

Il professore De Gennaro a lezione

Come definirebbe il suo rapporto con gli studenti?

Ho un ottimo rapporto con gli studenti e mi piace fare didattica; sul mio canale You Tube è possibile trovare centinaia di video con le mie lezioni. Però penso che a volte si smarrisca un aspetto centrale della responsabilità insita nel nostro lavoro di docenti. Non siamo solo responsabili della formazione ma partecipiamo anche alla costruzione dell’individuo e questo possiamo farlo solo con la testimonianza: non solo racconti le cose ma sei quello che racconti.

E’ un po’ imbarazzante da dire ma penso di amare e di essere amato dagli studenti (anche se questo dovrebbero essere loro a confermarlo); aggiungo che sono anche molto rigido, nel senso che stabilisco fin dai primi giorni un contratto che deve essere reciproco. Io mi impegno a non saltare un solo giorno di lezione, ad essere sempre puntuale, ad essere disponibile quando necessario ma mi aspetto da parte loro un uguale impegno, una buona preparazione all’esame e soprattutto il rispetto delle regole. Mi sembra che questo mix di disponibilità e di rigore in generale funzioni.”

Sul suo profilo Twitter, vengono quotidianamente annotati i giorni trascorsi dal rapimento di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita romano scomparso in Siria nel 2013. Come mai?

Come spesso capita alcune cose sono accidentali. Io e padre Paolo, che non ho mai conosciuto personalmente, abbiamo iniziato a collaborare con l’Huffington Post nello stesso periodo. Padre Paolo ha condotto un tentativo unico di dialogo interreligioso; il suo monastero cattolico a Mar Musa (a circa 80 chilometri da Damasco) ha ospitato decine di musulmani. Nella banalità e nella piccolezza del gesto che è un tweet al giorno, io ricordo che c’è un uomo che ha dedicato la sua vita a far dialogare le religioni di cui non si hanno più notizie e una famiglia che aspetta una risposta.”

Immagine in evidenza: publicdomainpictures.net