Semaforo giallo alla carne rossa

Semaforo giallo alla carne rossa

Al “Global Young Scientists Summit 2014” il premio Nobel Zur Hausen ha parlato della carne rossa come fattore di rischio del tumore al colon-retto, sfatando alcuni luoghi comuni e proponendo spiegazioni alternative

Harald Zur Hausen parla al Global Young Scientists Summit 2014

Harald Zur Hausen parla al “Global Young Scientists Summit 2014”.

Mangiare troppa carne rossa fa male alla salute. Ce lo dicono i nutrizionisti ma anche gli oncologi, che considerano l’abuso di questo alimento uno dei fattori di rischio per l’insorgenza dei tumori, incluso quello al colon retto. Al “Global Young Scientists Summit 2014” che si è tenuto alla Nanyang Technological University di Singapore, Harald Zur Hausen ha discusso l’argomento, spiegando la sua ipotesi di un coinvolgimento di possibili agenti virali presenti in alcune specie bovine.

Zur Hausen ha vinto il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 2008 per la scoperta del papilloma virus responsabile del cancro alla cervice uterina. Da anni studia anche il carcinoma colon-rettale, seconda causa di mortalità tumorale nell’uomo e terza nella donna. Il consumo eccessivo di carne rossa aumenta il rischio di questa neoplasia del 20-30%. Comunemente si pensa che il problema derivi dal modo di cucinarla: arrostendo, grigliando o friggendo la carne si formano idrocarburi aromatici che risultano cancerogeni. «Ma lo stesso tipo di molecole si producono, in quantità simile, cucinando il pollo o il pesce» sottolinea Zur Hausen. Inoltre la carne lavorata, come i salumi, non è cucinata o esposta a temperature elevate durante la preparazione, ma è ugualmente considerata un fattore di rischio. La formazione di sostanze cancerogene non può essere quindi l’unica spiegazione.

Harald Zur Hausen a tavola con alcuni giovani ricercatori al Global Young Scientists Summit 2014

Harald Zur Hausen a tavola con alcuni giovani ricercatori al “Global Young Scientists Summit 2014”.

Ai giovani ricercatori presenti alla conferenza il premio Nobel ha raccontato come lo studio approfondito dei dati epidemiologici lo abbia convinto a formulare una nuova ipotesi. Sembra infatti che l’aumento di rischio del carcinoma sia associato solo alla carne di alcune specie bovine, prevalentemente euro-asiatiche. Un caso interessante è quello della Corea e del Giappone, dove l’incidenza del tumore è aumentata moltissimo negli ultimi 40 anni. Nello stesso periodo è cresciuto il consumo di carne cruda o poco cotta, «la condizione ideale per far propagare un agente infettivo» fa notare Zur Hausen. Piatti a base di manzo come lo shabu-shabu o lo yookhwe sono diventati estremamente di moda. Quest’ultima ricetta (il corrispettivo della nostra carne alla tartara) è stata introdotta dalla Mongolia, uno dei paesi con il tasso più basso di carcinoma al colon. Qui però lo yookhwe si cucina a partire da carne di yak.

Zur Hausen ipotizza che esista un agente infettivo di origine virale presente solo in particolari specie bovine. Questo virus potrebbe essere trasmesso all’uomo mangiando carne cruda o poco cotta e rimanere latente nell’intestino. L’effetto combinato dell’infezione virale e della lunga esposizione alle sostanze cancerogene porterebbe allo sviluppo del carcinoma colon-rettale.

Il gruppo di ricerca di Zur Hausen ha già identificato in alcuni campioni di sangue bovino 10 molecole di DNA “sospette”, potenzialmente di origine virale. Naturalmente questo è solo l’inizio, ma se l’ipotesi del Nobel fosse verificata le implicazioni sarebbero importanti. Prima fra tutte, la possibilità di sviluppare un vaccino.

Nella parte finale del suo discorso, Zur Hausen ha fornito uno spunto interessante: gli agenti infettivi presenti nella carne potrebbero essere coinvolti anche in altre neoplasie? Un esempio sono i tumori alla faringe e ai polmoni, per i quali i macellai e gli operai dei mattatoi sono ritenuti categorie a rischio. «Io posso solo stimolare i giovani ricercatori a considerare attentamente questi aspetti» ha concluso il Nobel. «Lo studio delle implicazioni dei virus e di altri agenti infettivi nei tumori umani è fondamentale. Personalmente sono convinto che il futuro ci riservi molte sorprese».