proibizionismo

La battaglia dei Nobel contro il proibizionismo

Cinque premi Nobel hanno sottoscritto un documento sul fallimento del proibizionismo delle droghe

Lo scorso febbraio la London School of Economics ha pubblicato un documento dal titolo “After the drug wars”, in cui vengono analizzate le cause del fallimento delle politiche repressive sulle droghe e suggeriti principi guida alternativi. Redatto da esperti internazionali è stato sottoscritto anche da Vernon Smith, Thomas Schelling, Eric Maskin, Oliver Williamson, premi Nobel per l’Economia, da François Barre-Sinoussi, Nobel per la Medicina, e dal presidente colombiano Juan Manuel Santos: «La comunità internazionale ha dato priorità a misure proibizionistiche che hanno comportato un costo socioeconomico terribile», hanno scritto gli esperti.

Il report esce alla vigilia della Assemblea generale delle Nazioni Unite sulle droghe (UNGASS), che si terrà il prossimo aprile a New York.

UNGASS

UNGASS

Punire e proibire, dunque, si sono rivelate strategie perdenti, come dimostrano i dati sul consumo di stupefacenti secondo il World Drug Report 2015 dell’UNODC (United Nation Office on Drugs Crime): «246 milioni di persone hanno fatto uso di droga illecita nel 2013 … l’uso di droghe è rimasto stabile», e gli effetti paradossali della sconfitta dei cartelli sudamericani. La “War on drugs”, guidata dagli Stati Uniti, ha portato sì allo smantellamento dei cartelli colombiani ma questo, alla fine, si è tradotto nel trasferimento della produzione della droga. Dalla Colombia è passata alla Bolivia e al Perù, mentre il controllo del narcotraffico dai cartelli colombiani a quelli messicani. Risultato che gli esperti di traffico internazionale di droga definiscono “balloon effect” o, in America latina, “effetto cucaracha”, come gli scarafaggi: puoi scacciarli da un angolo di casa ma rientrano sempre da un’altra parte.

Alla luce del fallimento della politica repressiva, alcuni paesi si sono dissociati dalla lotta intransigente alle droghe e hanno intrapreso la via della depenalizzazione e regolamentazione, soprattutto delle droghe leggere. Tra i dodici paesi sudamericani riuniti nella Union de Naciones Suramericanas (UNASUR), l’Uruguay, per esempio, ha istituito un Monopolio di Stato sulla produzione della marijuana, togliendo così il mercato ai narcotrafficanti e investendo il denaro recuperato in progetti di politiche sociali. Anche paesi europei come Germania, Svizzera e Belgio hanno legalizzato l’uso della cannabis a scopo terapeutico, così come venti stati negli USA.

Ora arriva il report della LSE, i cui firmatari suggeriscono una serie di linee guida di politica nazionale e internazionale. «Il grande errore della comunità internazionale per decenni è stato quello di trattare le droghe come singolo problema, indipendente dalle più forti determinanti socioeconomiche» scrivono. E ancora: «la UNGASS di aprile sarà un’opportunità per correggere questo squilibrio strategico» concludendo «la politica della droga è innanzitutto un problema di sviluppo sostenibile».

Milton Friedman

Milton Friedman

Altri Nobel, in passato, hanno preso posizione contro le strategie repressive sugli stupefacenti. Milton Friedman, Nobel per l’Economia 1976, feroce contestatore del proibizionismo delle droghe avviato negli anni ottanta dal presidente Reagan, nel 2005 firmò un appello con altri cinquecento economisti americani per denunciare i costi (7,7 miliardi di dollari l’anno) del proibizionismo sulla marijuana. Friedman considerava la legge un «sussidio virtuale del governo al crimine organizzato».

Mario Vargas Llosa

Mario Vargas Llosa

Anche Mario Vargas Llosa, Nobel per la Letteratura 2010, ha fatto sentire la sua voce come autore, insieme a politici e intellettuali, del rapporto “Global Commission on drug policy” presentato all’ONU nel 2011: «La guerra alla droga non è stata e non può essere vinta».

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