Papilloma

Trenta secondi per proteggersi dal papilloma virus

Il vaccino contro il papilloma virus per la prevenzione del tumore al collo dell’utero è efficace. Lo conferma una revisione Cochrane che prende in esame 73 mila donne tra i 15 e 45 anni
di ROBERTA GIANCOLA, CLAUDIA IASILLO e VERONICA ROSSOLINI

UN BATUFFOLO di cotone e un cerotto sul braccio. Tanta paura, ma in un attimo è fatta. I vaccini hanno permesso di superare malattie per le quali solo qualche decennio fa non esisteva una cura: il vaiolo, la poliomelite e il tetano. Sarà proprio nel vaccino la chiave che apre la porta a nuove strategie di prevenzione per le malattie più severe? La ricerca in campo oncologico dimostra risultati sempre più promettenti contro il carcinoma della cervice uterina (collo dell’utero). Si tratta del secondo tumore più diffuso in Italia: colpisce circa 3.500 donne e provoca oltre 1.000 decessi ogni anno.

La vaccinazione contro il Papillomavirus umano (Hpv) è volontaria e può essere somministrata gratuitamente agli adolescenti di entrambi i sessi preferibilmente attorno al 12°esimo anno di età. Il vaccino è un importante strumento di prevenzione: è sicuro e non è associato ad effetti collaterali gravi. Lo conferma una revisione Cochrane pubblicata di recente che ha preso in esame un campione di 73 mila ragazze tra i 15 e i 45 anni con 26 ricerche condotte negli ultimi 8 anni in tutti i continenti. Nell’ambito di una sperimentazione controllata, gli autori hanno confrontato l’incidenza delle lesioni pretumorali nelle ragazze vaccinate con quelle a cui era stato somministrato il placebo. Dallo studio è emerso che nelle ragazze mai entrate in contatto con il virus del papilloma, nella fascia d’età più importante per la neutralizzazione dell’Hpv cioè tra i 15 e i 25 anni, si contano 2 lesioni  ogni 10 mila tra le vaccinate e circa 16 tra le non vaccinate. L’incidenza diminuisce anche tra le donne non selezionate in base al contatto con il virus: tra i 15 e 25 anni si riscontra un calo significativo da 559 a 391 casi mentre tra le donne di età compresa fra i 25 e i 45 anni, la diminuzione è meno significativa ma comunque evidente da 145 con il placebo a 107 casi ogni 10 mila. Gli autori della revisione hanno inoltre evidenziato che non sono stati riscontrati effetti avversi gravi associati al vaccino, decessi o conseguenze importanti in gravidanza a dieci anni dalla somministrazione. “Nonostante la latenza ultradecennale fra infezione da Hpv e possibile sviluppo di cancro” – ha commentato il virologo Aldo Venuti, coordinatore dell’Hpv Unit dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma – “i dati relativi alla riduzione del cancro nelle nazioni come l’Australia e quelli preliminari della regione Basilicata indicano un drastica riduzione non solo dell’infezione ma anche delle pre-neoplasie, lasciando intendere che la strada intrapresa è quella giusta”.

Otto persone su dieci hanno contratto almeno una volta nella vita il virus Hpv. Non c’è una differenza di genere, colpisce indistintamente uomini e donne e si trasmette per contatto diretto, prevalentemente per via sessuale. La maggior parte delle infezioni è asintomatica e si risolve in qualche giorno, ma se l’infezione persiste può palesarsi attraverso la comparsa di lesioni benigne della pelle come verruche o condilomi dalle dimensioni variabili a seconda della tipologia di Hpv, invalidanti sotto il profilo fisico e psicologico. Si contano oltre 100 tipi di Hpv che infettano l’uomo, alcuni ceppi virali sono ad alto rischio oncogeno e sono associati all’insorgenza di neoplasie. Il tumore più comune è il carcinoma del collo dell’utero, il primo cancro a essere riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità totalmente riconducibile a un’infezione. ”Le lesioni cutanee da Hpv sono molto comuni ma poche persone sviluppano una patologia clinicamente rilevabile” – aggiunge Venuti – “se l’infezione persiste è possibile che si sviluppino delle lesioni pre-neoplastiche della cervice uterina intraepiteliale chiamate CIN  I, II e II, in ordine crescente di gravità”.

Hpv - infografica

Negli ultimi venti anni la mortalità per questa tipologia di  tumore si è ridotta drasticamente. Questo è stato possibile con l’introduzione del vaccino quale strategia di prevenzione primaria ma anche grazie alla diagnosi precoce realizzata attraverso i programmi screening per il controllo dell’evoluzione del virus. In Italia il programma di prevenzione basato sul Pap-test è raccomandato nelle donne tra i 25 e 64 anni ogni tre anni. Gli esiti del piano nazionale sono rilevanti: il test eseguito a intervalli regolari riduce del 70% il rischio di sviluppare un tumore invasivo alla cervice uterina. Il pap-test era, fino a qualche anno fa, l’unico strumento utile ad eseguire lo screening per l’individuazione delle lesioni e consentire un intervento medico precoce. Oggi esiste un’ulteriore possibilità di screening, attraverso l’Hpv test. È un test molecolare più specifico e innovativo, mirato all’individuazione delle tipologie di Hpv ad alto rischio oncogeno nel Dna. “Il Pap test individua le cellule infette da Hpv e la loro eventuale trasformazione” – precisa Venuti – “mentre l’Hpv test individua il dna virale che può essere presente anche senza fornire alterazioni cellulari”.

L’Italia è uno dei primi Paesi ad aver introdotto di recente l’Hpv test quale test di screening primario nelle regioni della Toscana, Basilicata, Lazio e Piemonte. I programmi di prevenzione sono indispensabili perché attualmente non esistono farmaci anti virali mirati in grado di bloccare l’infezione da HPV. Spiega ancora il responsabile dell’Hpv Unit: “La terapia è esclusivamente delle lesioni clinicamente rilevabili e si avvale della crio o laser terapia oppure della chirurgia. Nei casi meno gravi, vi sono anche alcuni composti chimici in crema che possono portare alla guarigione le lesioni”.

Lo sviluppo dei vaccini per la prevenzione primaria verso tutti i ceppi di Hpv è una priorità per la ricerca dei prossimi anni. Importanti risultati sono stati ottenuti fin ora per entrambi i sessi, tanto che a partire 2017 è disponibile il vaccino anche per i maschi. L’Hpv negli uomini è responsabile della metà dei tumori del pene, di quasi il 90% dei tumori dell’ano e, in numero crescente, dei tumori dell’orofaringe. Il futuro della ricerca scientifica in questo campo vede il miglioramento delle capacità predittive dei test molecolari con la possibilità di eseguire lo screening mirato per il sesso maschile anche nelle localizzazioni orali.

Ma attenzione: non è un problema solo femminile

Il termine Hpv viene da sempre collegato al tumore al collo dell’utero, una malattia ovviamente femminile. In realtà, non ci sono particolari disparità di genere: il papillomavirus è responsabile di infezioni e tumori sia nelle donne che negli uomini. Per gli uomini il virus e, in particolare, il ceppo Hpv16, può provocare tumori del pene, tumori dell’ano e soprattutto del cavo orofaringeo. Si stima che il 70% dei soggetti di sesso maschile può contrarre un’infezione da uno o più ceppi di Hpv (oncogeni e non). La scoperta di un’elevata incidenza di trasmissione del virus nei maschi ha portato a sviluppare il nuovo piano di vaccinazione anti-Hpv anche per i ragazzi a partire dall’undicesimo anno di età.

La connessione dell’Hpv ai tumori del collo dell’utero ha ostacolato per molto tempo l’importanza di prevenire altri tumori, come per esempio i tumori orofaringei, che colpiscono sia i maschi che le femmine. Sebbene l’incidenza del cancro causato da Hpv risulti più alta nella donna, i dati del congresso Eurogin 2014 (International multidisciplinary Hpv congress), indicano che l’infezione da Hpv può variare in relazione al genere e alle diverse parti del corpo coinvolte. La cervice è colpita il doppio (100%) rispetto al pene (50%) e se anche il cancro all’ano è diffuso maggiormente nelle donne non è così per la cavità orale, l’orofaringe, la lingua e la laringe. Infatti, già nel 2008 si è osservata una frequenza 4 volte maggiore del tumore del tratto orofaringeo causato dal virus Hpv-16 nel maschio (17.000 uomini) rispetto alla donna (4.400 donne). Il cancro orofaringeo si attesta come il secondo tumore più comune correlato all’HPV negli Stati Uniti.

A dare conferma della prevalenza del cancro orofaringeo da Papilloma virus negli uomini è la recente ricerca della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, pubblicata nella rivista medica Annals of Oncology. “L’incidenza di casi di cancro orofaringeo è in crescita dagli anni Ottanta e negli ultimi 20 anni, fra i maschi, i casi sono raddoppiati”, spiega Amber D’Souza, autrice della ricerca. Secondo i dati emersi, su 13 mila persone dai 20 ai 69 anni sottoposte al test orale di Hpv nel periodo compreso tra il 2009 e 2014, il virus è presente nell’1% delle donne e nel 6 % degli uomini. In particolare, sesso orale, fumo e rapporti con cinque o più partner sembrano essere le cause di un più alto rischio di tumore del cavo orale e della gola nel maschio. Nell’80-85% dei casi questi tipi di tumori sono provocati dal fumo e alcol ma il 15 % potrebbe essere collegato proprio all’Hpv, sia a causa della trasmissione del virus da organi infetti e sia per il maggior numero di partner a cui si è esposti. Proprio al numero di partner a cui si è esposti aumenta la probabilità di trasmissione del virus con una differenza sostanziale tra i due generi. Infatti, per le donne che hanno avuto 10 o più partner l’infezione di Hpv risulta solo nel 3% dei casi, contro il 14,4% dei maschi. Il rischio di infettarsi per gli uomini è cinque volte maggiore delle donne, e inoltre i maschi corrono il rischio di essere “portatori sani” contribuendo allo sviluppo di infezioni da Hpv nella donna.

Nella prevenzione delle infezioni da Hpv la donna può contare su metodi di screening per la diagnosi precoce, come per esempio il Pap-test, al contrario del maschio. L’utilizzo del preservativo come misura preventiva, seppur efficace, non elimina del tutto il rischio di trasmissione dell’infezione. E se limitare il numero di partner con cui si pratica sesso orale e non fumare sono alcuni modi per minimizzare la trasmissione del virus, invece, fondamentale è l’attuazione di un piano vaccinale non solo rivolta alla donna ma anche al maschio per una prevenzione completa di un virus a trasmissione sessuale. In Paesi come l’Australia, a partire dal 2013, i maschi sono coinvolti nel piano di vaccinazione anti-Hpv. Anche Austria, Nuova Zelanda e Stati uniti includono i ragazzi nelle campagne vaccinali. Per quanto riguarda l’Italia il vaccino coinvolge le ragazze di 11 anni e il nuovo piano di vaccinazione 2017-2019, include anche i maschi. Il vaccino anti-Hpv si chiama nonavalente o 9vHPV, agisce contro i ceppi di Papillomavirus tra cui sette ad alto rischio oncogeno (16, 18, 31, 33, 45, 52, 58) e due a basso rischio (6 e 11) e ha la probabilità di ridurre il 90 % delle infezioni da Papillomavirus in entrambi i generi.

Puntare sulla diffusione di un piano di vaccinazione universale anti-HPV con campagne preventive e informative adeguate che non siano solo legate alla donna è necessario per ridurre il contagio tra i due sessi, bloccare il virus nella sua espansione, aumentare l’efficacia preventiva per i tumori non solo genitali ma anche quelli più rari, ma in aumento, come i carcinomi all’ano, al pene, bocca e gola.