Usare il carbonio per conoscere l’interno della Terra: due chiacchiere con Vincenzo Stagno

Usare il carbonio per conoscere l’interno della Terra: due chiacchiere con Vincenzo Stagno

Vincenzo Stagno, professore del Dipartimento di Scienze della Terra di Sapienza, racconta le sue ultime ricerche sul carbonio come indicatore dello “stato di salute” del nostro pianeta

Comprendere i meccanismi interni della Terra che ne regolano il funzionamento. Questo è l’obiettivo di Vincenzo Stagno, laureato in Scienze Geologiche nel 2006 all’Università degli studi di Palermo, sua città natale, dal 2015 ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra di Sapienza, e dal 2018 professore associato nell’ambito della Petrografia e della Petrologia. Recentemente, assieme a un team di ricercatori delle università di Palermo e Ferrara e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Stagno ha partecipato a un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Nature Geoscience. L’oggetto della ricerca è un nuovo metodo per stimare la quantità di carbonio immagazzinato nel mantello superiore della Terra, dalla cui fusione hanno origine i magmi.

Potrebbe raccontarci come è nato il suo interesse per la geologia e in particolare per la petrologia sperimentale?

“Quando terminai le scuole superiori, mi ritrovai davanti a un bivio. Sebbene da una parte fossi interessato ad intraprendere studi letterari, dall’altra una visione pragmatica della vita mi spingeva verso qualche ambito che pensavo mi avrebbe poi agevolato nella ricerca del lavoro. Essendo originario di una terra geologicamente molto attiva come la Sicilia, la mia scelta ricadde sulle scienze della Terra. Nonostante non fossi completamente convinto all’inizio degli studi, mi trovai ad assistere da vicino a eventi che mi impressionarono positivamente, come le eruzioni dell’Etna e dello Stromboli. Vi ritrovai un’analogia molto interessante con alcune letture che avevo apprezzato da adolescente, come Viaggio al centro della Terra di Jules Verne. Da qui, nacque l’interesse per i meccanismi che avvengono nelle profondità della Terra. Dopo la laurea decisi di fare un’esperienza all’estero ed ebbi la fortuna di visitare il Bayerisches Geoinstitut di Bayreuth, in Germania, uno dei centri più importanti al mondo dove si riproducono in laboratorio le condizioni presenti all’interno della Terra. Lì ho poi svolto il mio dottorato”.

Vincenzo Stagno
Fonte: https://vinstagno.wixsite.com/vincenzostagno-petro

Quali sono stati gli ambiti di ricerca che la hanno maggiormente appassionato nel corso della sua carriera?

“Il dottorato mi ha introdotto a una forma di ricerca multidisciplinare. Studiare le condizioni all’interno della Terra significa studiare il comportamento dei minerali, cosa che crea delle analogie con la scienza dei materiali. Dopo il dottorato ho avuto l’opportunità di lavorare prima negli Stati Uniti, al Carnegie Institute di Washington e successivamente in Giappone, terra di terremoti, dove ho scoperto molte somiglianze con la mia terra natale. Queste esperienze hanno fatto in modo che le mie linee di ricerca si ampliassero dalla mineralogia allo studio del comportamento dei gas come la CO₂ e come influiscono sull’abitabilità del nostro pianeta. Questo, a sua volta, mi ha messo in contatto con la geologia planetaria e l’uso della petrologia sperimentale anche per conoscere l’interno degli altri pianeti del Sistema solare”.

Lei è tra gli autori di un recente studio, pubblicato su Nature Geoscience, riguardante un nuovo approccio per ricostruire la quantità di carbonio presente nel mantello superiore della Terra. Può spiegarci di cosa si tratta?

“Il carbonio, e nello specifico la CO₂, è qualcosa con cui abbiamo a che fare ogni giorno. La presenza di anidride carbonica in atmosfera ha ovviamente risvolti negativi sulla temperatura del nostro pianeta, ma allo stesso tempo è ciò che ha consentito l’emergere della vita sulla Terra tramite i processi di fotosintesi. Determina anche le caratteristiche dei magmi, influendo sulla loro esplosività. Per questo, capire quanto carbonio c’è all’interno della Terra ci aiuta a capire qual è lo stato di salute del nostro pianeta e comprendere la sua dinamicità interna. Per molti anni si è cercato di stimare la quantità di carbonio presente nel mantello monitorando la CO₂ emessa dai vulcani. Tuttavia, ci si è accorti che la CO₂ tende troppo facilmente a essere rilasciata in atmosfera durante la risalita dei magmi. Perciò, non è detto che la quantità di carbonio che possiamo misurare nei gas vulcanici sia la stessa presente in profondità”.

In che modo la vostra ricerca ha risolto questo problema?

“Si può ottenere una stima più precisa analizzando la quantità di CO₂ contenuta in piccole gocce di magma rimaste intrappolate all’interno dei minerali al momento della loro formazione. Inoltre, abbiamo analizzato il comportamento di altri elementi (come lo zolfo) contenuti in queste gocce di magma per realizzare un modello che ci consente di correggere il contenuto in carbonio dei gas emessi dai vulcani e risalire alla quantità originale presente alla sorgente”.

Quali sono le implicazioni di questo studio che vorrebbe approfondire in futuro?

“Gli studi sul carbonio possono produrre vari spunti di ricerca. Sto attualmente portando avanti un lavoro, in collaborazione con tesisti e dottorandi, sull’origine dei diamanti (a loro volta costituiti da carbonio) a partire dall’analisi delle impurità in essi contenute. Inoltre, la presenza di più o meno CO₂ crea una diversità di composizione dei magmi che ne influenza le caratteristiche fisiche, come la viscosità. Questo ha importanti ripercussioni sull’esplosività delle eruzioni e la mitigazione del rischio”.

immagine in evidenza: www.flickr.com