Fabio Babiloni e il progetto NeuroDante

Fabio Babiloni e il progetto NeuroDante

Fabio Babiloni, professore di fisiologia e bioingegneria elettronica, dal 2010 è direttore scientifico della spin-off BrainSigns di Sapienza. Uno dei suoi ultimi lavori è NeuroDante, e ci dice cosa accade al nostro cervello quando ascoltiamo la Divina Commedia 

Nell’anno del settecentesimo anniversario della morte di Dante, uno studio analizza l’attività cerebrale durante l’ascolto della Divina Commedia, misurando l’interesse e l’emozione suscitati. A guidare il progetto anche Fabio Babiloni, professore di fisiologia e neuroscienze all’Università Sapienza di Roma. 

Babiloni si laurea in ingegneria elettronica alla Sapienza nel 1986. Dopo il dottorato in ingegneria neurale e computazionale all’Università Tecnologica di Helsinki, torna alla sua Alma mater, dove attualmente insegna. Ecco cosa ci ha raccontato.

Cosa ha significato per lei l’esperienza all’estero e quanto ha influito nel suo percorso professionale?

“È stato un tassello fondamentale per incontrare altri modi di pensare e di fare ricerca. Il fatto di conoscere altre realtà, soprattutto laboratori internazionali, dà un respiro diverso alla ricerca e alla didattica. L’alternativa è rischiare di essere troppo settorializzati e di coltivare intuizioni che sono solo del giardino di casa propria. D’altronde, il viaggio è sempre stato uno dei topoi dei racconti classici, fonte di arricchimento per gli eroi del passato come per l’uomo moderno.”  

Quando si è iscritto alla facoltà di ingegneria elettronica già immaginava quale sarebbe stato il campo di applicazione dei suoi studi?

“Sì, ho sempre avuto questa aspirazione. Ricordo che al primo anno di università mi presentai al colloquio di orientamento con tutti i libri degli esami specialistici del quinto anno di ingegneria biomedica e il professore, stupito, mi disse che avrei avuto tempo per decidere cosa fare. Effettivamente” – sorride pensando siano passati quarant’anni da quel momento – “avevo già deciso.”

Lei è nella lista dei migliori 2500 scienziati italiani viventi, operanti in tutti gli ambiti del sapere. Come si entra nella Top Italian Scientists? 

“Quella è una classifica che misura la reputazione nel mondo scientifico, cioè quante volte gli altri scienziati hanno citato i tuoi lavori. È un risultato che si raggiunge anche con l’età. Diciamo che è un indice indiretto della produzione scientifica e della riconoscibilità nel campo, ed è indicativo dell’apprezzamento dei colleghi, che fa sempre piacere.”

Dal 2010 lei è il direttore scientifico della BrainSigns di Sapienza. Quali sono le sfide principali che sta affrontando? 

BrainSigns è un’azienda che aspira a impiegare le neuroscienze nella comunicazione aziendale, ma anche a favorire la nostra interazione con le macchine in un prossimo futuro. Per fare questo occorre naturalmente una base scientifica molto solida e un approccio multidisciplinare: abbiamo infatti expertise che vanno dal marketing fino all’ingegneria biomedica e alla neurobiologia. Studiamo la reazione istintiva dell’essere umano di fronte a stimoli o decisioni da prendere, e in questo contesto si rivela utile avere un’indicazione dello stato mentale delle persone coinvolte. Le applicazioni non sono rivolte soltanto al mondo della comunicazione o della pubblicità, ma sono indirizzate anche a situazioni in cui ci sono decisioni difficili da prendere. Penso ai piloti o ai controllori di volo che regolano il traffico aereo. Il punto fondamentale è avere informazioni sulla capacità di una persona di prendere decisioni. Il progetto è importante per il miglioramento dell’addestramento degli operatori specializzati e in generale per la sicurezza. Queste tecnologie forniranno una chiave di lettura delle nostre operazioni in connessione con le macchine del prossimo futuro.”

In una sua recente ricerca scientifica è stata monitorata l’attività cerebrale durante l’ascolto della Divina Commedia, analizzando il coinvolgimento emotivo e il livello di interesse delle persone campionate. Quali sono i risultati emersi? 

“Abbiamo visto durante l’ascolto di alcuni passi della Divina Commedia, più o meno noti, che le persone che avevano una formazione umanistica, e che quindi avevano già familiarità con il testo, mostravano un indice di gradimento cerebrale molto più elevato rispetto alle persone meno esperte. Per contro, invece, l’emozione in risposta allo stimolo uditivo era più forte nelle persone con una formazione non letteraria, soprattutto durante la lettura dei canti più noti, come quello di Paolo e Francesca. Si è quindi disegnato un quadro in cui le persone che già conoscevano la materia la approcciavano da un punto di vista tecnico e ne apprezzavano gli aspetti più cerebrali, mentre le persone più ‘naïf’, che però conoscevano alcuni canovacci della storia, partecipavano più emotivamente al racconto.”

L’opera di Dante ha, rispetto ad altre magari più moderne, delle specificità che secondo lei meglio inquadrano o meglio stimolano le attività cerebrali che sono interessate dallo studio? 

“Nell’opera in versi c’è una componente prosodica importante, quindi un elemento musicale e delle attese di chiusura dei versi – mi riferisco alle rime – che la contraddistinguono in maniera differente dalla lettura di un libro. Infatti molti dei risultati li abbiamo osservati anche contrapponendo l’ascolto di questi versi all’ascolto della descrizione in prosa del canto.”

Quale può essere il risvolto pratico di questa ricerca? 

“Questo studio voleva comprendere se e in che modo la formazione culturale guidasse l’ascolto o la fruizione delle opere d’arte, e si inserisce in un percorso più lungo che abbiamo fatto con le arti figurative e quelle scultoree. È evidente che la conoscenza dà più scaffalature dove mettere le sensazioni e la fruizione dell’opera artistica. Quello che abbiamo visto è che spesso un giudizio tecnico può ostacolare l’impatto emozionale.”

Fonte immagine in evidenza: Focus Live