Immagini 3d cervello

Immagini 3D dalle profondità del cervello, la nuova frontiera della microscopia

Sfruttando la microscopia Sted sviluppata da Stefan Hell, premio Nobel per la chimica nel 2014, i ricercatori della Yale University sono riusciti a ottenere immagini 3D ad alta risoluzione delle strutture subcellulari del cervello di un topo vivente

Di tutto ciò che ci può essere di affascinante in un laboratorio, il microscopio è senza dubbio uno strumento in grado di stuzzicare la nostra curiosità. Immagine iconica della scienza, ci permette di indagare su cose che non riusciamo a vedere a occhio nudo, aprendo una finestra in un mondo che tende all’infinitamente piccolo. Ottenendo un risultato mai raggiunto finora, un gruppo di ricercatori, coordinati da Joerg Bewersdorf della Yale School of Medicine, ha sviluppato una nuova tecnica di microscopia a fluorescenza che ha permesso loro di acquisire immagini 3D a super risoluzione di strutture subcellulari situate negli strati profondi del cervello di un topo vivo.

Dettaglio delle spine dendritiche (© Joerg Bewersdorf, Yale School of Medicine)

Ma facciamo un passo indietro. Poco meno di quattro secoli fa un rudimentale microscopio ottico rese possibile per la prima volta l’osservazione dei microrganismi. Questo strumento, costituito da un sistema di lenti che sfrutta la luce visibile per creare un’immagine ingrandita di un oggetto, si è evoluto seguendo le intuizioni e le necessità degli scienziati, fino a permetterci di vedere sempre più nel dettaglio oggetti estremamente piccoli. Nonostante i miglioramenti la risoluzione rimane la proprietà più importante di un microscopio e la lunghezza d’onda della luce pone un limite al livello di dettaglio possibile. Infatti, secondo i dettami della fisica, la massima risoluzione di un microscopio è pari alla metà della lunghezza d’onda della luce. Seguendo questa regola, nel 1873 Ernst Abbe formulò il principio che porta il suo nome e che afferma che la risoluzione massima di un microscopio ottico non può superare il limite di 0,2 micrometri. Nel 1994, il biochimico Stefan Hell prova a sfidare questo principio e sviluppa la Stimulated Emission Depletion (Sted), una tecnica innovativa che, grazie alla fluorescenza, permette di raggiungere una risoluzione su nanoscala superando il tradizionale limite di diffrazione dei microscopi ottici. Hell, che per il suo lavoro sarà insignito del premio Nobel per la chimica nel 2014, dimostra così che la principale limitazione dei microscopi ottici può essere aggirata ricorrendo all’utilizzo della fluorescenza, grazie alla quale alcune sostanze diventano luminose dopo essere state esposte alla luce.

Stefan Hell, premio Nobel per la Chimica 2014. (© Alexander Mahmoud, Nobel Media AB)

Attingendo a piene mani dai lavori di Stefan Hell, i ricercatori della Yale University hanno sviluppato un’estensione della microscopia Sted. Gli scienziati, combinando questa tecnica con altre tecniche complesse (le cosiddette “microscopia a eccitazione a due fotoni” e “ottica adattiva”) sono riusciti a ottenere immagini ad alta risoluzione di strutture mai osservate così nel dettaglio, utilizzando lunghezze d’onda del vicino infrarosso, meno suscettibili alla dispersione e in grado di penetrare più in profondità nel tessuto biologico. Questa tecnica potrà aiutarci ad avere una visione più approfondita del principale organo del nostro sistema nervoso centrale, permettendo di rivelare anche i più piccoli cambiamenti che si verificano nei neuroni durante l’apprendimento, con l’avanzare dell’invecchiamento o a seguito di una malattia.

Dettaglio dei cambiamenti che si sono verificati a livello delle spine dendritiche tra il giorno 1 e il giorno 3 (© Joerg Bewersdorf, Yale School of Medicine)

Nel loro articolo, pubblicato dalla rivista The Optical Society (Osa), i ricercatori descrivono come, grazie alla tecnica che hanno messo a punto, sono riusciti a visualizzare nel dettaglio la struttura 3D delle spine dendritiche, minuscole protrusioni delle cellule nervose che svolgono un ruolo cruciale nell’attività neuronale ricevendo input sinaptici dai neuroni vicini. Secondo Bewersdorf, coordinatore del progetto, “la capacità di studiare il comportamento cellulare in questo modo è fondamentale per acquisire una comprensione completa dei fenomeni biologici, per la ricerca biomedica e per lo sviluppo farmaceutico”.

Immagine in evidenza: dettaglio di un microscopio a fluorescenza (fonte: wikimedia commons)