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La libertà di parola vince il Nobel per la pace

Il Nobel per la pace 2021 è stato assegnato a Maria Ressa e Dmitry Muratov, giornalisti premiati per la lotta contro la censura e la salvaguardia della democrazia

di Claudia Grimaldi e Manuel Saad

Venerdì 8 ottobre, a Oslo, i giornalisti Maria Ressa e Dmitry Muratov hanno vinto il premio Nobel per la pace 2021 per il loro impegno nel “salvaguardare la libertà di parola, una condizione fondamentale per la democrazia e la pace”. Sono state queste le parole del Comitato per il Nobel norvegese, che ha scelto i due giornalisti “dissidenti” su oltre 300 candidature. Anche Joe Biden, presidente degli Stati Uniti d’America, si è congratulato con Ressa e Muratov per aver denunciato, senza paura, l’abuso di potere e la corruzione andando incontro a minacce, molestie, azioni legali e intimidazioni.

Maria Ressa, nata a Manila nel 1963, naturalizzata statunitense, è la cofondatrice di Rappler, il sito di notizie nato nel 2012 famoso per le sue inchieste su Rodrigo Duterte, presidente della Repubblica delle Filippine, in relazione alla “guerra alla droga”, e per aver raccontato fin dall’inizio la sua ascesa al potere. Con i suoi articoli e le sue inchieste sulle esecuzioni extra giudiziarie ordinate da Duterte, nella sua campagna contro gli spacciatori di droga e i tossicodipendenti, Maria Ressa ha smascherato e denunciato più volte la corruzione e la violenza del governo. Proprio per questo, è stata denunciata per diffamazione e arrestata più volte nella città di Manila. Nel 2018, il Time ha definito Maria Ressa una “guardiana della verità”, dedicandole la copertina di quell’anno. “Non abbiamo fatto altro che il nostro dovere di giornalisti, eppure io ho subìto undici processi nell’ultimo anno e mezzo”, ha dichiarato la giornalista al New York Times nell’ottobre del 2019. “Ho dovuto pagare una cauzione otto volte in tre mesi. Sono stata arrestata due volte e detenuta una volta”. Nel 2020, un tribunale l’ha condannata per diffamazione per articoli scritti sul web e, a oggi, rischia sei anni di carcere. Questo processo giudiziario è stato criticato da Human Rights Watch e Amnesty International.

Maria Ressa. Credit photo: Flickr, 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

In merito al premio Nobel per la pace, la giornalista si è detta felice del riconoscimento: “Questo premio ci dà forza per continuare la lotta per la verità e per uscire dall’oscurità”, ha dichiarato.“Il governo non sarà contento, ma la nostra è una battaglia per la verità. E la verità non esiste senza i giornalisti”. La risposta da parte dell’amministrazione del presidente Duterte non si è fatta attendere e oltre a congratularsi sarcasticamente con la stessa Ressa, Harry Roque, il portavoce di Duterte, ha voluto sottolineare che, nel paese, i giornalisti non vengano affatto censurati. Roque, in una conferenza stampa, ha citato anche le parole di Francisco Sionil Jose, vincitore del premio Artista nazionale delle Filippine: “La stampa filippina è viva e sta bene e non per merito suo”. Lo stesso Jose, oltretutto, ha definito Dutertenon responsabile delle morti di giornalisti in seguito ad attacchi politici. Occorre ricordare, comunque, che nella classifica della libertà di stampa le Filippine figurano al 136esimo posto su 180.

Maria Ressa condivide il premio Nobel per la pace con Dmitry Andreyevich Muratov. Il giornalista russo, classe1961, inizia la sua carriera alla Komsomolskaya Pravda. Nel 1993, con altri cinquanta colleghi, lascia il quotidiano e fonda Novaya Gazeta del quale è caporedattore dal 1995. La rivista, che nella sua versione online è pubblicata anche in inglese, ha ospitato alcune tra le più importanti inchieste nella storia moderna della Russia. Novaya Gazeta è un giornale libero e indipendente, con un atteggiamento profondamente critico nei confronti del potere. È un’importante fonte di informazioni su aspetti della società russa raramente menzionati da altri media: dalla corruzione alla violenza della polizia, agli arresti illegali, alla frode elettorale e alle “fabbriche di troll”, all’uso delle forze militari russe sia all’interno che all’esterno della Russia.

Dmitrij Andreevič Muratov. Credit photo: Wikimedia Commons

Muratov si è sempre è rifiutato di abbandonare la politica indipendente del giornale. Ha costantemente difeso la libertà dei giornalisti di scrivere su qualunque argomento, purché rispettino gli standard professionali ed etici del giornalismo. Dalla fondazione del giornale, sei dei suoi giornalisti sono stati uccisi. Ed è proprio a loro che Muratov ha dedicato il Nobel: “Questo premio non è merito mio. Il merito è della Novaya Gazeta. Di quelli che sono morti difendendo il diritto alla libertà di parola. Dato che non sono più con noi, il Comitato per il Nobel ha evidentemente deciso che lo dica io. Il merito è di Anna Politkovskaja, di Igor Domnikov, di JuraShchkochikhin, di NastjaBaburova, di Natasha Estemirovam di StasMarkelov. Ecco la verità. Questo Nobel è per loro”.

Alla notizia del Nobel per la Pace a Dimitry Muratov, il Cremlino ha reagito congratulandosi col reporter russo. “È devoto ai suoi ideali, ha talento, ha coraggio”, aveva detto venerdì scorso il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, nonostante Novaya Gazeta sia sia una delle pochissime testate giornalistiche che in Russia osano ancora criticare il governo. A neanche una settimana di distanza, però, Vladimir Putin ha rilasciato delle dichiarazioni un po’ meno lusinghiere, che suonano come un avvertimento: “Il Nobel non è uno scudo; indipendentemente da qualunque merito, ognuno deve chiaramente capire che bisogna rispettare le leggi russe”.

Non così liberi: minacce alla libertà di stampa italiana

di Yuri Digiuseppe

Il “Centro di coordinamento per le attività di monitoraggio, analisi e scambio permanente di informazioni sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti”, istituito presso il Ministero dell’Interno aveva già reso noto durante il 2020 la grave situazione dei giornalisti che, essendo minacciati sempre più frequentemente, sono costretti a vivere sotto scorta o smettere di risultare “scomodi”; nel 2020 il ritmo mensile delle minacce appariva raddoppiato rispetto al 2018 e al 2019 e anche l’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione, che svolge un monitoraggio indipendente e tiene conto anche dell’inarrestabile abuso che si fa nel nostro paese delle querele per diffamazione a scopo intimidatorio e punitivo, aveva riportato un aumento del trend.

Il diffondersi di reazioni ingiustificabili nei confronti dei cronisti, l’uso frequente di un linguaggio di odio e l’affermarsi di un clima di intolleranza verso gli operatori e quindi verso l’informazione giornalistica stessa, mettono in pericolo i giornalisti e impediscono la discussione pubblica. Non è un caso che quest’anno, durante la Giornata internazionale sulla libertà di stampa, l’Italia risulti al 41/o posto, ultima in classifica in Europa, con circa 20 giornalisti sotto scorta. 

L’esercizio del giornalismo è come un vaccino contro la disinformazione e in un paese democratico nessuno dovrebbe essere imbavagliato, ma, oltre alle belle iniziative e i movimenti, bisognerebbe intervenire a livello legislativo per tutelare i giornalisti italiani.

La censura: quando il potere vince sulla stampa libera

di Margherita Savelli

Abbiamo intervistato Iacopo Savelli, giornalista televisivo e opinionista in trasmissioni radiofoniche, per saperne di più sul grande problema della libertà di stampa in Italia. Ci sono soluzioni? Come influisce sul giornalismo sportivo? Ecco il suo punto di vista.

Il comitato per il Nobel ha assegnato il premio a Maria Ressa e Dmitry Muratov “per i loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, che è precondizione per la democrazia e per una pace duratura”. A suo avviso perché è importante condurre una lotta di questo tipo?

“In Italia non esiste più l’editoria ‘pura’. Gran parte dell’informazione è in mano a chi si occupa anche di altro, vedi John Elkann, editore e contestualmente proprietario della più grande industria automobilistica italiana. Se coinvolto in ramificazioni di natura economica di altro tipo, l’editore non ha alcun interesse a far sì che sui propri quotidiani si pubblichino notizie che possano mettere a repentaglio il funzionamento dei propri prodotti.  Nel mio ramo la Ferrari è sempre stato un argomento sensibile, rappresentando un’eccellenza italiana. Di conseguenza, se andava male in Formula Uno, bisognava affrontare l’argomento in modo piuttosto soft. Mi è capitato di avere a che fare con direttori che mi hanno posto paletti nell’affrontare un tipo di informazione. Ad esempio, ho lavorato in una televisione il cui proprietario era anche il presidente di una squadra di calcio, della quale ovviamente si doveva parlare in un certo modo. Il giornalismo in Italia è quasi sempre veicolato all’interno di grandi gruppi economici con interessi in realtà diverse, ed è condizionato da ciò, indirettamente o direttamente”.

Le è mai capitato di confrontarsi, in prima o terza persona, con il grande ostacolo della censura o di subire vere e proprie minacce? 

“Non mi è mai capitato di scontrarmi con la censura a rischio della mia incolumità personale. Si tratta di rischi che corrono i giornalisti che hanno a che fare con la malavita o con un certo tipo di poteri più o meno ‘occulti’. Mi è capitato di subire delle pressioni, anche se in quel momento fui salvaguardato dal mio direttore, che si oppose alla censura. Conosco persone che sono state rimosse da alcuni settori, ad esempio quello calcistico. In Italia, un po’ come per gli editori, non esistono presidenti di squadre di calcio ‘puri’, ma spesso sono contestualmente imprenditori o grandi industriali. Raccontare la verità anche quando non è comoda, nel caso ad esempio di spese non giustificabili, costituisce un problema. I giornalisti ritenuti scomodi da un club, o che semplicemente hanno scritto qualcosa di ‘non opportuno’, non vengono fatti salire sugli aerei di trasferta, non ricevono l’accredito per andare a vedere le partite, o sono citati in tribunale, per cause di anche decine di migliaia di euro”.

A maggio 2021 l’Italia si è trovata ultima in classifica, al 41esimo posto in Europa, per la libertà di stampa, e conta circa 20 giornalisti sotto scorta. Il giornalismo libero offre una soluzione alla disinformazione. In che modo può essere favorito e/o protetto?

“Secondo me oggi è una scelta individuale. Non c’è un meccanismo che possa proteggere il giornalismo. I giornalisti che vivono sotto scorta sono venuti a contatto con ambienti di criminalità organizzata, che tra l’altro spesso sconfina nel rapporto con la politica. Il criminale possiede una duplice forza: quella della minaccia armata e quella di licenziare il giornalista ‘scomodo’.  Il sistema efficace per proteggere sarebbe, come ho già detto, il ritorno all’editoria pura, una legge che impedisse agli imprenditori di fare contestualmente gli editori.  Il potere contrasterà sempre la stampa libera. La stessa Rai, fulcro dell’informazione italiana, è un concentrato di potere, di politica, di assunzioni e di giochi delle parti. Ogni volta che governa qualcuno sbaracca tutto ciò che ha fatto il governo precedente, sostituisce le persone, cambia la linea editoriale. Se il potere e l’editore coincidono non c’è alcuna soluzione al problema, e in Italia mi sembra quasi impossibile tornare indietro. Chi governa il paese, e quindi ha in mano il denaro, ha tutto l’interesse anche a governare l’informazione”.

Immagine in evidenza: www.pexels.com