Scoperti i neuroni che ci permettono di ricordare i volti

Scoperti i neuroni che ci permettono di ricordare i volti

I ricercatori della Rockefeller University hanno individuato una nuova classe di neuroni che collega la percezione del volto alla memoria a lungo termine.

In una sala d’aspetto affollata o alla stazione all’ora di punta saremo sempre in grado di riconoscere tempestivamente il volto dei nostri familiari.  Quel lampo viscerale che proviamo in queste circostanze è dovuto a una classe di neuroni, una popolazione di cellule che ci permette, per l’appunto, di ricordare i volti. Le ha appena descritte un’équipe di ricercatori della Rockefeller University: gli scienziati le hanno individuate nella regione temporale del cervello e, per la prima volta, hanno chiarito come ci si “imprimono” nella memoria i volti dei nostri cari. La scoperta è stata pubblicata su Science.

Fino a qualche tempo fa, si pensava che a ogni volto fosse associato uno specifico neurone, il cosiddetto “neurone della nonna”. Questa teoria è stata progressivamente abbandonata negli anni successivi, quando sono stati scoperti molti neuroni sensoriali specializzati nell’elaborazione delle informazioni: nel 2014, in particolare,  John O’Keefe della University College di Londra e i coniugi May‐Britt Moser ed Edvard I. Moser della Norwegian University of Science and Technology di Trondheim hanno vinto il Nobel il Nobel per la Medicina e la Fisiologia “per le loro scoperte sulle cellule costituenti il sistema di posizionamento spaziale nel cervello”.

Lo studio appena pubblicato continua nel solco di questa ricerca, concentrandosi però sul legame tra neuroni e memoria dei volti. Gli autori hanno sottoposto diverse scimmie rhesus a risonanza magnetica funzionale, registrando i segnali elettrici dei neuroni del polo temporale durante l’osservazione di immagini di volti familiari. In questo modo, hanno scoperto che questi neuroni sono altamente selettivi e in grado di discriminare i volti noti da quelli sconosciuti.

I risultati di questo lavoro, dicono gli autori, potrebbero aiutare chi è affetto da cecità, una condizione molto debilitante che spesso conduce alla depressione: partendo da questa scoperta si potrebbero forse un giorno ideare nuove strategie per aiutare questi pazienti a elaborare i volti dei familiari. Staremo a vedere.


Immagine in evidenza:  {Creative Commons}