Uccisi da una briciola di singolarità

Uccisi da una briciola di singolarità

Cosa accadrebbe se fossimo attraversati da un buco nero primordiale appena mille volte più grande di un atomo? Il risultato sarebbe tutt’altro che piacevole.  È questa l’opinione di Avi Loeb, docente di cosmologia presso l’università di Harvard

Se dovessimo scegliere a cosa paragonare l’Universo, nessun luogo sarebbe più adatto del Tartaro: la feritoia più oscura degli inferi, lì dove sono imprigionati i più terribili e potenti fra mostri e titani. Come la leggendaria prigione, infatti, anche il cosmo pullula di “leviatani” e di questi i più spaventosi e misteriosi sono senza dubbio alcuno i buchi neri, oggetti che la fisica definisce come singolarità di cui sappiamo ancora molto poco; ne abbiamo intuito per grandi linee le origini, conosciamo la loro potenza, ciò che accade in prossimità dei loro orizzonti e nel 2019 siamo persino riusciti a “catturare su pellicola” uno di essi.  Ebbene, di recente, Avi Loeb, docente di fisica presso l’Università di Harvard, si è chiesto che cosa accadrebbe se un buco nero con un diametro appena mille volte superiore a quello di un atomo attraversasse il nostro corpo. Il risultato? Tutt’altro che piacevole.

Ma possono davvero esistere buchi neri così piccoli? E qual è il rischio e la probabilità di un incontro ravvicinato? Per rispondere a queste domande è bene partire dal principio, nel senso più letterale possibile, ovvero dal Big Bang, il “grande botto” da cui ogni cosa ha avuto la sua origine. Durante i suoi primi “vagiti”, il nostro universo ha subìto molteplici e rapidi mutamenti: fra questi, significativi incrementi delle densità di radiazione sulla scala dell’orizzonte cosmico, capaci di indurre alcune ristrette aree ad agire come piccoli singoli universi destinati ad un collasso su sé stessi formando microscopici buchi neri, conosciuti come “Primordial Black Holes” (PBHs), che, secondo alcuni, potrebbero fungere da fucine per la formazione di materia oscura. Ma attenzione: anche se un PBH dal diametro poco superiore a mille volte quello di un atomo potrebbe apparire innocuo se paragonato ai “titani”, i buchi neri super massicci che dimorano al centro delle galassie, noti per i loro “pasti” a base di stelle e pianeti, le cose non stanno proprio così.  Anzitutto a causa della loro impalpabilità: se dovessero effettivamente esistere, questi fossili cosmici, infatti, sarebbero quasi del tutto impercettibili alle tecnologie di cui attualmente disponiamo; e quindi un loro avvicinamento alla terra rappresenterebbe un pericolo ben più grave, per esempio, dell’asteroide che 60mila anni fa sterminò i dinosauri e buona parte della vita sul nostro pianeta.  Ancora più rilevanti sono poi gli effetti che scaturirebbero dall’incontro fra un PBHs e il corpo umano. Nel suo articolo Avi Loeb analizza alcuni aspetti salienti di questa fatale evenienza, primo fra tutti l’effetto della gravità esercitata dal microscopico buco nero. L’attrazione sarebbe rapida ed estremamente violenta. Il buco nero, data la sua velocità di circa 160 km/s, scrive Loeb, attraverserebbe il nostro corpo in pochi microsecondi e al contempo la sua elevatissima densità attrarrebbe repentinamente a sé ogni cosa, dai muscoli, alle ossa, fino a schiacciare i vasi sanguigni. Uno scenario tutt’altro che piacevole. Per usare le parole di Loeb, “è come se un’aspirapolvere microscopico, super veloce e super potente attraversasse un corpo umano”. Fortunatamente, i numeri sono dalla nostra parte: analizzando tutti i fattori in gioco, ovvero il tipo di buco nero considerato, la possibilità di generare materia oscura e la probabilità, tutt’altro che scontata, di un incontro con il nostro pianeta, le possibilità di esser trafitti da un buco nero primordiale sono di 1 su 1026, e possono scendere fino a 1 su 10–16 se si considera la possibilità che ciò accada nell’immediato futuro. Insomma, c’è da stare tranquilli anche se nulla è impossibile.

crediti foto: Olivia Falcigno