bertucce

Gli esseri umani e le bertucce convivevano in Basilicata nel Pleistocene

Per la prima volta è stata documentata la coesistenza di esseri umani e bertucce nel sito archeo-paleontologico di Notarchirico, in Basilicata. Una scoperta che apre nuovi interrogativi sulle interazioni tra le due specie nel Pleistocene

Se oggi volessimo osservare le bertucce nel loro habitat naturale, dovremmo recarci in Nord Africa o a Gibilterra, dove sono state reintrodotte. Ma nel Pleistocene (tra 2,5 milioni e 11.700 anni fa), la situazione era ben diversa: i macachi popolavano gran parte dell’Europa, specialmente la costa mediterranea della penisola iberica e italiana. Le prime testimonianze fossili della presenza di primati in Italia risalgono all’inizio del Novecento, ma uno dei ritrovamenti più recenti si colloca circa vent’anni fa in Abruzzo. All’interno di una piccola grotta nel Parco Nazionale della Maiella è stato rinvenuto un ramo mandibolare di Macaca, che fino a oggi ha rappresentato l’esemplare più a sud mai trovato in Italia. Il recente ritrovamento di un’ulna di Macaca sylvanus – noti con il nome comune bertuccia – risalente al Pleistocene a Notarchirico ha spostato in Basilicata la documentazione dell’esemplare di macaco più meridionale e orientale conosciuto in Italia. Il lavoro, condotto dal Museo nazionale di Storia Naturale di Parigi, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra di Sapienza e l’università di Bologna, è stato pubblicato sulla rivista Journal of Human Evolution.

Il sito archeo-paleontologico di Notarchirico è stato scoperto nel 1979. I primi scavi, condotti negli anni ’80 da Marcello Piperno, archeologo e docente universitario, hanno portato alla luce una ricca collezione di fossili risalenti ad un antico insediamento paleolitico. A partire dal 2016, una nuova campagna di scavi condotta dal gruppo di lavoro precedentemente citato ha portato all’identificazione di nuove sequenze stratigrafiche nel sito che hanno restituito fossili di vertebrati datati tra 695.000 e 670.000 anni fa. Per citarne alcuni: Palaeoloxodon antiquus, l’elefante dalle zanne dritte, Hippopotamus antiquus, l’ippopotamo europeo e Bison schoetensacki, il bisonte delle boscaglie. La presenza di questi mammiferi ha consentito di ricostruire l’ambiente che caratterizzava l’Italia meridionale circa 700.000 anni fa: clima mite, presenza di ambienti boschivi e corsi d’acqua. Un habitat ideale anche per le bertucce. Questi primati, infatti, hanno bisogno di alberi per dormire, nutrirsi e mettersi al riparo dai predatori.

Come si inseriscono in questo contesto i gruppi umani? Gli uomini e le bertucce hanno convissuto in Europa per oltre un milione di anni, nel Pleistocene. Più di 100.000 anni fa, però, le bertucce sono scomparse dal territorio europeo. Il motivo di questa estinzione può essere attribuito alla drastica riduzione della vegetazione in seguito all’abbassamento delle temperature durante l’ultima glaciazione; tuttavia, non si esclude una correlazione con la presenza dell’uomo.
Ma torniamo in Basilicata. Il sito di Notarchirico ha restituito anche manufatti litici riconducibili alla cultura Acheuleana, datati anch’essi tra 695.000 e 670.000 anni fa. Lo studio, che ha coinvolto il Dipartimento di Scienze della Terra di Sapienza, è stato pubblicato sulla rivista Scientific Report. Queste scoperte hanno aperto nuovi interrogativi sui rapporti esistenti tra le prime specie del genere Homo e Macaca sylvanus. Nonostante non ci siano evidenze in letteratura, e l’ulna ritrovata non presenti segni riconducibili ad attività antropica, non si può escludere che nella dieta dei gruppi umani che popolavano l’Italia meridionale migliaia di anni fa, fossero presenti anche le bertucce.

Immagine in evidenza: {Gibraltar Barbary Macaque, Wikimedia Commons}