human bottleneck

Human bottle neck

L’articolo Genomic inference of a severe human bottleneck during the Early to Middle Pleistocene transition su Science a cui ha partecipato Giorgio Manzi – professore ordinario di Antropologia e paleoantropologo della Sapienza – dimostra una drastica diminuzione delle popolazioni umane africane, avvenuta circa 800-900 mila anni fa. Sarebbe stata fondamentale per la comparsa di Homo heidelbergensis, specie ancestrale a Homo sapiens, ai Neanderthal e ai cosiddetti “Denisova”. Questo scoperta è stata possibile grazie alla elaborazione di un software chiamato FitCoal da parte dei ricercatori cinesi che hanno partecipato allo studio. Ne parliamo con Giorgio Manzi

Ci può parlare dell’articolo a cui ha collaborato uscito su Science? Ce lo può spiegare? Da dove siete partiti e che cos’è il FitCoal?

È un lavoro che ha richiesto anni e che è il risultato della collaborazione tra un gruppo di genetisti e bioinformatici cinesi e due italiani: io stesso e Fabio Di Vincenzo dell’Università di Firenze. La parte più lunga e complessa è stata la componente genetica e bioinformatica. I nostri colleghi cinesi hanno elaborato un software, FitCoal, che consente di andare indietro nel tempo quanto mai si era potuto fare in precedenza. In particolare, partendo dalla variabilità genetica delle popolazioni umane attuali, FitCoal consente di risalire indietro nel tempo e individuare espansioni e riduzioni popolazionistiche, come fossero una sorta di fisarmonica. In particolare, l’algoritmo ha individuato un evento particolarmente significativo che risale a tempi remotissimi – 800-900 mila anni fa – con una diminuzione degli individui fertili fino a circa 1.300 unità. Questo ha sorpreso molto i nostri colleghi cinesi ed è lì che è nata la nostra collaborazione, nella quale Fabio Di Vincenzo e io abbiamo fornito una chiave di lettura paleoantropologica. Abbiamo intuito che questa strozzatura genetica e demografica, detto bottleneck o collo di bottiglia, possa corrispondere alla comparsa evolutiva di una specie a noi ancestrale chiamata Homo heidelbergensis: l’ultimo antenato comune tra Homo sapiens, Neanderthal e Denisova. Effettivamente, una strozzatura genetica e demografica è la condizione necessaria per la formazione di una nuova specie. 

Come mai le nuove specie compaiono in occasione di strozzature genetiche?

È una condizione preferenziale, anche se non sempre è così. I grandi cambiamenti genetici detti macroevolutivi, tra cui la comparsa di una nuova specie, richiedono piccole dimensioni della popolazione ancestrale, in cui si possono rapidamente condividere variazioni genetiche. In questo caso, i cambiamenti sono stati particolarmente favorevoli alla sopravvivenza in condizioni ambientali difficili, con la nascita di una nuova specie: Homo heidelbergensis; in altri, se sono negativi, può esserci l’estinzione. 

A cosa è dovuta questa diminuzione di popolazione in Africa tra 800 e 900 mila anni fa?

Sappiamo che in quell’epoca c’erano condizioni climatiche e ambientali particolarmente difficili: un aspetto cruciale che può aver contribuito, anzi che può essere stato decisivo. Infatti, a quel periodo corrisponde l’inizio delle glaciazioni dell’ultimo milione di anni, un periodo caratterizzato da fasi di freddo intenso nell’emisfero boreale – tra cui l’Europa – e periodi di intensa aridità in quello australe e in particolare in Africa, continente in cui è avvenuta con ogni probabilità la strozzatura genetica individuata con FitCoal. In generale, la frammentazione degli ambienti, conseguente al clima avverso, favorisce l’isolamento in piccole popolazioni e, in una di queste, potrebbe essere avvenuta la comparsa della nuova specie. 

Le altre specie umane esistenti dell’epoca che fine hanno fatto?

Probabilmente, in conseguenza di questi eventi drammatici dal punto di vista climatico e ambientale, si sono estinte. Per esempio, in Europa c’era una specie chiamata Homo antecessor che con le prime glaciazioni quaternarie – le stesse che in Africa hanno portato alla strozzatura demografica – si è estinta. È probabile che altre forme umane di allora abbiano superato questi eventi glaciali al nord e di aridità ai tropici, ma ci interessano solo parzialmente perché non hanno portato alla generazione di nuove specie, o comunque non alla nostra e alla sua variabilità attuale (da cui si è partiti per l’analisi con FitCoal). 

Questa tecnica di andare indietro nel tempo si può applicare a tutte le creature umane esistite?

Sì, ma avendo dati sufficienti sulla variabilità. Per quanto ci piacerebbe applicare lo stesso calcolo a Neanderthal e Denisova, anch’essi discendenti di questa strozzatura secondo le nostre ipotesi, non abbiamo tuttavia dati sufficienti (come quelli che abbiamo potuto utilizzare per la nostra specie). 

C’è la possibilità che in futuro si ottenga altro materiale o che le tecnologie si evolvano talmente tanto che poi ci permetteranno di estrarre più DNA?

È auspicabile e secondo me è anche possibile, ma non in tempi brevi. Quindi oggi quello che stiamo facendo è valutare altri aspetti. Ad esempio, sappiamo che rispetto ad altre epoche abbiamo pochissimi ritrovamenti fossili risalenti al periodo tra 900 e 600 mila anni fa. E questo, probabilmente, è compatibile con una rarefazione demografica molto forte. Anche per questo, avevamo già il sospetto che qualcosa del genere fosse successo proprio intorno a 800 mila anni fa. 

Questo studio può essere applicato ad altre forme di vita?

Sì, altre creature potrebbero aver sofferto in quella stessa epoca di una forte contrazione genetica, anche se ci allontaniamo dagli aspetti adattativi che sono propri degli esseri umani.

Questo studio ci può dire qualcosa sul nostro futuro?

Ci dice che il clima e l’ambiente influiscono profondamente sulla sopravvivenza anche degli esseri umani. L’inquinamento, i cambiamenti climatici e il crollo della biodiversità (con la perdita del 35% della variabilità di piante e animali) a cui stiamo assistendo oggi, sono frutto di un cambiamento molto rapido di cui siamo responsabili. Bisogna agire subito, altrimenti avremo seri problemi per la sopravvivenza: non tanto del pianeta, che troverà modi per sopravvivere, ma della nostra, come dimostrano i dati che arrivano dal passato dei nostri antenati.

Giorgio Manzi, Paleoantropologo presso il dipartimento di biologia ambientale della Sapienza Università di Roma

Mattia La Torre, biologa e ricercatrice di tipo A presso il dipartimento di biologia e biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza Università di Roma

Sofia Gaudioso, biologa e comunicatrice della scienza, Sapienza Università di Roma