trapianto ovarico

Leucemia, trapianto ovarico e gravidanza naturale, il primo caso in Svezia

I ricercatori del Karolinska Institutet in Svezia presentano il primo caso di una donna che ha portato a termine due gravidanze – la seconda delle quali naturale – dopo un trapianto di tessuto ovarico. La giovane donna aveva subito chemioterapia e trapianto di midollo osseo in seguito alla diagnosi di leucemia acuta dell’infanzia, che le avevano causato infertilità

Chemioterapia, radioterapia e trapianto di midollo. Questo l’iter minimo a cui si deve sottoporre un malato di leucemia per trovare nuovamente la salute. Ma se si tratta di una bambina, spesso questo si traduce anche in una condanna all’infertilità. Un nuovo studio pubblicato su hematologica riporta il primo caso di una donna che, grazie al trapianto di tessuto ovarico crioconservato al momento della diagnosi di leucemia linfoblastica acuta, ha dato alla luce un primo figlio mediante fecondazione in vitro (Fiv) e sta ora affrontando una seconda gravidanza, questa volta naturale.

La leucemia acuta colpisce spesso bambini molto piccoli e, nei casi ad alto rischio, il trattamento prevede elevate dosi di chemioterapia e radiazioni. Fra gli effetti collaterali a lungo termine, questi giovani pazienti crescono senza subire un processo naturale di pubertà e con pochissime possibilità di avere figli biologici.

Negli ultimi decenni, grazie a una maggiore tempestività nella diagnosi e un miglioramento nella prognosi, molti ospedali mettono in atto interventi di preservazione della fertilità. Per le ragazze in età prepubere e le giovani donne, di procede con il congelamento (crioconservazione) del tessuto ovarico, che viene prelevato attraverso un intervento chirurgico poco invasivo (laparoscopia) e a basso rischio.

“Il problema di trapiantare nuovamente il tessuto ovarico in una donna sana, guarita dalla leucemia, è che questo comporta il rischio di trapiantare nuovamente le cellule tumorali. Tuttavia, utilizzando una recente tecnica genetica, questo si può ottenere un buon grado di certezza che il tessuto non sia contaminato”, spiega Kenny Rodriguez-Wallberg, professore associato presso il Dipartimento di Oncologia e Patologia del Karolinska Institutet, in Svezia, e prima autrice dello studio.

Accade in Svezia. Nel 2001, a una quattordicenne viene diagnosticata una leucemia linfocitica acuta ad alto rischio, e il trattamento – immediato – prevede una prima fase di chemioterapia, e a seguire il trapianto di midollo osseo. Nello stesso anno, quando il cancro è finalmente in fase di remissione, la giovane paziente viene sottoposta a un piccolo intervento per recuperare il tessuto ovarico. Come conseguenza dei trattamenti contro il cancro, infatti, la donna sviluppa infertilità negli anni seguenti.

La paziente fa parte di un progetto di ricerca in collaborazione con il Karolinska University Hospital in Svezia in cui, negli ultimi 20 anni, a più di 300 donne – cento delle quali ragazze giovani – è stata offerta la possibilità di congelare il tessuto ovarico. L’obiettivo è quello di preservare la fertilità congelando gli ovuli immaturi contenuti nel tessuto ma, finora, senza alcuna garanzia che da questi possano derivare figli biologici.

“Per questa paziente, è stato sviluppato un campione del suo stesso marcatore genetico per le sue cellule leucemiche, grazie al quale abbiamo potuto testare il tessuto ovarico” continua Rodriguez-Wallberg. “Il trapianto del tessuto è stato quindi giudicato possibile e sicuro”.

Nel novembre 2017, la maggior parte del tessuto ovarico congelato è stato ritrapiantato e la donna è stata sottoposta a stimolazione ormonale con gonadotropine. I primi tentativi di Fiv non hanno però dato il risultato desiderato e un anno dopo è stato eseguito un secondo trapianto di tessuto ovarico, seguito da un nuovo tentativo di Fiv.

Nel novembre 2019 i tentativi sono andati a buon fine e la donna ha dato alla luce un figlio. Ora aspetta il secondo attraverso una gravidanza spontanea.

“Solo ora le ragazze che hanno partecipato allo studio hanno iniziato a pensare di creare una famiglia ed è molto gratificante essere in grado di dimostrare che i figli biologici sono una possibilità per questo gruppo di pazienti” conclude Rodriguez-Wallberg. “È un fantastico passo avanti dal punto di vista scientifico e umano”.