Olga Tokarczuk, narrazioni in movimento

Olga Tokarczuk, narrazioni in movimento

Il viaggio, la fuga, l’attraversamento dei confini sono, secondo Tokarczuk, gli elementi costitutivi della natura umana

Il Premio Nobel per la letteratura del 2018 è stato conferito alla polacca Olga Tocarczuk e all’austriaco Peter Handke (la cui premiazione ha suscitato numerose polemiche per l’appoggio pubblico dello scrittore al nazionalismo serbo). Nata nel 1962 da una famiglia originaria di una regione polacca attualmente appartenente all’Ucraina, vive dal 1998 in un piccolo villaggio al confine polacco-ceco dove scrive e gestisce la sua casa editrice indipendente. È impegnata nella vita politica del suo paese: è una femminista, un’ambientalista, e un membro della Partia Zieloni (il partito polacco dei Verdi). È una convinta europeista. Il suo impegno politico ha pesato sulla scelta della giuria del premio svedese, attenta ai risvolti che le produzioni letterarie hanno sulla società. A Tokarczuk è stata riconosciuta “un’immaginazione narrativa che, con passione enciclopedica, rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita”.  Vincitrice di diversi premi letterari e insignita di importanti riconoscimenti internazionali come il Man Booker International Prize per l’opera I vagabondi, Olga Tokarczuk è una delle autrici più popolari in Polonia. La chiamano “la scrittrice con i dreadlock” ma lei spiega che si tratta di un’antica pettinatura polacca che risale al cinquecento.

Minuta, con uno sguardo penetrante che le illumina il viso, Tokarczuk dà voce alle istanze femministe e ambientaliste di una parte di società che non si riconosce nella politica ultracattolica della Polonia, definita dalle restrizioni alla legge sull’aborto e alla libertà di stampa e dei diritti civili. Dopo l’esordio nella poesia nel 1989, passa alla narrativa e inventa un suo genere, il “romanzo-costellazione” dove mette in relazione dei frammenti come se unisse dei punti su una mappa geografica. La sua idea di letteratura è racchiusa nel viaggio, l’andare, il superamento dei confini.  La forma-frammento dei romanzi si addice particolarmente, come spesso spiega Tokarczuk nelle interviste, a una scrittrice originaria di un luogo che, al di là della narrazione ufficiale che lo vorrebbe cattolico e dotato di un’identità unitaria, ha visto convivere fianco a fianco etnie e religioni diverse. Il movimento e il cambiamento sono gli elementi fondativi della sua narrazione. “Gli uomini, che sono a loro volta un processo, temono ciò che è instabile e in continuo cambiamento. Perciò hanno inventato qualcosa che non esiste: l’immutabilità”. Nella formazione di Tokarczuk sono stati fondamentali la psicologia, il rapporto con la natura e i viaggi.

Ha studiato psicologia all’università di Varsavia e ha lavorato per molti anni con adolescenti con problemi comportamentali. Si considera una seguace di Carl Gustav Jung e riconosce nella sua psicologia una fonte d’ispirazione per la sua opera letteraria. Il continuo movimento è provocato, secondo Tokarczuk, dalla sua attrazione per l’imperfetto: “la storia dei miei viaggi non è altro che la storia di un malessere (…) soffro di una sindrome paragonabile a quella del Mondo Cattivo. Un disagio molto borghese (…) in cui il paziente manifesta un ostinato ritorno della coscienza a certe immagini. I miei sintomi si manifestano con un’attrazione verso tutto ciò che è rotto, imperfetto, difettoso”. Il disagio si supera appunto con la fuga, il viaggio. Tokarczuk ricorda bene quando da ragazza non poteva viaggiare con il suo passaporto. La libertà arriva dopo il crollo del Muro: da giovane laureata parte per Londra, che le spalanca le porte della letteratura femminista che la forma definitivamente. Da allora non si è più fermata: aerei, treni, autobus sono la fonte della sua energia. Compra libri tascabili per poterli lasciare senza rimpianti sulle banchine delle stazioni. Non colleziona assolutamente nulla.