anticorpi monoclonali

Pallottole magiche e scialuppe? Gli anticorpi monoclonali nella terapia di Covid-19

Tra le molecole che possono venire in aiuto contro il coronavirus ci sono anche dei farmaci biotecnologici innovativi, gli anticorpi monoclonali. Cosa sono e che ruolo ha il loro studio nella formazione dei ricercatori del futuro

Coronavirus: è pandemia. Vaccini, terapie antivirali, molecole innovative o di utilizzo consolidato sono al vaglio di tutta la comunità scientifica, purché si trovi, in tempi brevi, una cura efficace. Tra i farmaci che accendono la speranza negli scienziati di tutto il mondo ci sono anche gli anticorpi monoclonali, proteine progettate in laboratorio che si legano in maniera specifica a un bersaglio estraneo e guidano il sistema immunitario a eliminarlo. Da tempo rappresentano una promessa nel trattamento di malattie autoimmuni, ma anche di molti tipi di tumori: potrebbero rivelarsi, nel caso di Covid-19, contemporaneamente un’arma e una vera e propria scialuppa di salvataggio.

Facciamo un passo indietro. Siamo a Berlino, primi anni del Novecento. Paul Ehrlich, Nobel per la medicina nel 1908 per le sue scoperte nel campo dell’immunologia e considerato lo scopritore della chemioterapia, formula la teoria della pallottola magica: una sostanza che, grazie a un legame specifico, può colpire batteri e virus senza danneggiare l’organismo infettato. Per molti anni l’idea della pallottola magica rimane un sogno, che però traccia, agli scienziati delle successive generazioni, una strada da seguire: nel 1975 Georges Kohler e Caesar Milstein, che dieci anni più tardi condivideranno il premio Nobel per la medicina con Niels Jerne, sviluppano la tecnologia che consente di ottenere, a partire da cellule ingegnerizzate, tanti anticorpi, tutti identici tra loro – da qui il significato del termine monoclonale – diretti verso uno specifico bersaglio. Successivamente, queste proteine subiscono modifiche che le rendono sempre più specifiche e meno invasive per il paziente: anno dopo anno, i trial clinici di successo si moltiplicano, fino ad arrivare al premio Nobel per la medicina nel 2018 di James Allison e Tasuku Honjo per l’uso di anticorpi monoclonali nella terapia del cancro.

Oggi i ricercatori sono di fronte all’impegnativa sfida di debellare il coronavirus e trovare una cura per la Covid-19. Ma perché usare gli anticorpi monoclonali? Prima di tutto, disporre di proteine che riconoscano in modo specifico il virus faciliterebbe il nostro sistema immunitario a eliminarlo. Inoltre, anticorpi monoclonali già utilizzati per la terapia di malattie autoimmuni potrebbero agire, nel trattamento della polmonite da coronavirus, come una vera e propria scialuppa per scampare a una tempesta. Evidenze scientifiche suggeriscono, infatti, che l’insufficienza respiratoria nei malati di Covid-19 sia dovuta alla cosiddetta tempesta di citochine. Questa è una condizione che si verifica quando il sistema immunitario, che coordina le cellule attraverso molecole chiamate citochine, sviluppa una risposta talmente forte da essere dannosa per l’organismo stesso: l’uso di anticorpi monoclonali che le blocchino potrebbe scongiurare l’esito infausto delle polmoniti. Al momento si stanno battendo entrambe le vie: il mondo accademico e dell’industria farmaceutica sta cercando di ingegnerizzare anticorpi che siano specifici contro il virus, mentre il 17 marzo l’Agenzia Italiana del Farmaco ha iniziato lo studio TOCIVID-19, che valuta l’efficacia dell’anticorpo monoclonale anti artrite tocilizumab in pazienti affetti da Covid-19.

Cellule di mieloma producono diversi tipi di molecole monoclonali, soprattutto anticorpi (in arancio) Fonte: www.scientificanimations.com

La più recente evoluzione della farmacologia sfrutta le tecnologie del Dna ricombinante per la produzione di farmaci biotecnologici come gli anticorpi monoclonali, il cui utilizzo terapeutico è ormai una realtà consolidata nel tempo. La formazione di un ricercatore biomedico prevede, quindi, percorsi di immunologia e medicina molecolare, necessariamente affiancati da corsi di biochimica e ingegneria delle proteine che includano gli aspetti più moderni per la progettazione di questi farmaci.

Serena Rinaldo, fra i docenti più giovani di biochimica e ingegneria proteica di Sapienza di Roma sottolinea l’importanza della formazione in tal senso.  “Da una trentina di anni a questa parte, da quando la biologia molecolare e la biochimica sono anche al servizio dell’immunologia”, spiega Rinaldo, “la ricerca in quest’ambito e soprattutto la formazione di scienziati che conoscano approfonditamente le tecniche di ingegnerizzazione di questo tipo di molecole è cruciale. Sapienza ha una lunghissima tradizione nell’ambito di produzione, caratterizzazione e modificazione di proteine ricombinanti in laboratorio, rilevanti sia in ambito biomedico che biotecnologico. È per questo”, continua la professoressa “che da più di quindici anni sono stati istituiti dei corsi dedicati proprio ai metodi più innovativi per il disegno e la produzione di proteine ricombinanti ingegnerizzate”. L’approccio molecolare allo studio di strategie per bersagliare nuovi nemici si traduce in un lavoro di concerto tra le varie discipline della biologia e della medicina, che rende l’idea della pallottola magica di Ehrlich sempre più concreta, munizione in più che la scienza ha contro il coronavirus.

Immagine in evidenza: NIAID-RML