Bertrand Russell, il matematico della pace

Bertrand Russell, il matematico della pace

Scorcio sul poliedrico intellettuale che per cento anni lottò per il trionfo della ragione e un’umanità senza guerre

«L’ultimo sopravvissuto di un’epoca ormai morta». Così si definì, nel suo Necrologio, un matematico e filosofo che scosse la logica nelle sua fondamenta, un pacifista incarcerato due volte che fu sostenitore dell’amore libero ed ebbe quattro mogli, un premio Nobel autore di un centinaio di libri sui più disparati argomenti, un uomo che si salvò a nuoto da un incidente aereo nel Mare del Nord e visse un secolo: in altre parole, così si definì, trentatré anni prima di morire, il britannico Bertrand Russell.

Nato nel 1872 da famiglia aristocratica, Russell studiò matematica e filosofia al Trinity College di Cambridge. Fu seguendo questo cammino che incontrò, al congresso di filosofia di Parigi del 1900, una delle personalità che più lo avrebbero ispirato, il matematico Giuseppe Peano. Russell stesso racconterà della sua ammirazione per Peano e di come la conferenza fosse «dominata dall’esattezza della sua mente». Durante il congresso l’allora sconosciuto Russell avvicinò il celebre Peano, chiedendo se avesse qualche lavoro da mostrargli. Peano aprì la valigia e gli passò diversi libri. Russell abbandonò allora la conferenza per immergersi nel loro studio. E fu proprio nelle opere di Peano che Russell trovò il linguaggio necessario per quella formalizzazione della matematica che, in capo a un decennio, lo avrebbe spinto all’apogeo nel campo della logica.

Russell raccolse i suoi risultati nei Principia Mathematica, pubblicati nel 1913 (e il cui titolo sembrerebbe suggerire che egli si ritenesse un nuovo Newton, dato il rimando all’opera magna del celebre compatriota). Nei Principia vennero messe a nudo delle fondamentali contraddizioni interne alla logica matematica, un cui assaggio è dato dal paradosso del barbiere (formulazione intuitiva dell’antinomia nota come paradosso di Russell). Tuttavia, la Grande Guerra incombeva ormai sull’Europa, e la brillante carriera accademica di Russell stava per subire un brusco arresto.

Per la sua contrarietà all’entrata della Gran Bretagna nella prima guerra mondiale, nel 1916 Russell fu espulso dal Trinity College e nel 1918 scontò sei mesi di carcere. Durante la detenzione, che descrisse come una crociera, essendo egli confinato su una nave, Russell scrisse uno di quei capolavori che lo avrebbero reso celebre come divulgatore: l’Introduzione alla filosofia matematica.

Negli anni successivi alla guerra Russell si dedicò con crescente energia all’attivismo politico e sociale. Nel 1920 visitò l’Unione Sovietica e conobbe Lenin, un’esperienza che raffreddò la sua iniziale simpatia per i bolscevichi. Si recò anche in Cina, essendo egli uno dei primi occidentali invitati da un’università sinica. Nel 1926 aprì con la seconda moglie una scuola dalla pedagogia molto permissiva, linea che gli attirò numerose critiche. Non gli andò meglio con due libri libertini che scrisse in quegli anni: Matrimonio e morale e Perché non sono cristiano. Nel 1940, infatti, il City College di New York lo sollevò dall’incarico di insegnante in ossequio alla condanna di un giudice di essere «lascivo, afrodisiaco e libidinoso», condanna seguita alla denuncia di una donna contraria alle sue idee a proposito di vita coniugale e religione.

Impossibilitato a rientrare in patria a causa dell’embargo sulle traversate oceaniche dovuto al secondo conflitto mondiale, e non potendo venir assunto da alcuna università americana per la condanna, Russell trovò lavoro presso un mecenate. Questi gli commissionò quello che divenne uno dei suoi maggiori testi e che giocherà un ruolo fondamentale per l’assegnazione a Russell del Nobel per la letteratura nel 1950: la Storia della filosofia occidentale.

 (Discorso di Bertrand Russel a Trafalgar Square il 29 ottobre 1961)

L’attivismo politico di Russell toccò l’apice nei cupi anni della Guerra Fredda. Ideò con Einstein un manifesto per il disarmo nucleare («ricordate la vostra umanità e dimenticatevi del resto»), sottoscritto da altri nove intellettuali, di cui otto premi Nobel. Nel 1962 si appellò a Kennedy e Kruscev per una soluzione pacifica della crisi di Cuba, e l’anno precedente fu incarcerato per una settimana a causa di un sit in di protesta a Trafalgar Square contro la guerra in Vietnam. Nel 1966 istituì insieme al filosofo e scrittore Jean-Paul Sartre il Tribunale Russell, un organismo non giurisdizionale che indagò i crimini di guerra statunitensi nel Sud-est asiatico. Rispetto ai primi anni della Guerra Fredda, ai suoi occhi gli Stati Uniti avevano ormai sostituito l’Unione Sovietica come maggior minaccia per la pace mondiale.

Russell appariva, nonostante l’età, infaticabile. Tuttavia, il sipario stava per calare anche per lui. Russell si spense nel 1970 per i postumi di una forma influenzale. Anche se involontariamente, l’ultimo sopravvissuto di un’epoca ormai morta si era quindi congedato coerentemente con quanto professato in vita. «Non morirei mai per le mie opinioni -aveva infatti dichiarato anni prima- perché potrei avere torto».