Diagnosi e destino

Diagnosi e destino

In occasione del Salute Festival 2022 “La nuova era. Proteggiamo la nostra Libertà”, l’evento sulla salute e la sanità organizzato dal Gruppo Gedi e tenutosi all’Ara Pacis di Roma, abbiamo partecipato al dialogo “Diagnosi e Destino” tra Daniela Minerva come moderatrice e Vittorio Lingiardi in qualità di relatore.

Vittorio Lingiardi e Daniela Minerva

di Mattia La Torre e Sofia Gaudioso

Vittorio Lingiardi, psichiatra, psicoanalista, professore di Psicologia Dinamica alla Sapienza Università di Roma dialoga con Daniela Minerva, giornalista e saggista, direttrice di Salute (Gruppo Gedi) sul rapporto tra paziente, diagnosi e medico. “Dalla scarlattina all’Alzheimer, tutti, prima o poi, riceviamo una diagnosi. Può riguardare la nostra salute fisica come quella mentale. O la nostra personalità, che può essere diagnosticata ossessiva, borderline, narcisistica e così via. Insomma, un giorno arriva qualcuno – medico, psichiatra, psicologo – e ci fa una diagnosi. Pronuncia una parola che accompagna e modifica il corso della nostra vita. Per un tratto o per sempre”: queste le parole tratte dall’incipit del libro di Lingiardi “Diagnosi e destino”, citate da Minerva in apertura. 

La diagnosi cambia la nostra vita e dunque anche il nostro equilibrio psichico e relazionale. È un momento cruciale e trasformativo in cui il paziente incontra e conosce sé stesso, anche rileggendosi in una scansione temporale.  “Perché la diagnosi – spiega Lingiardi – contiene l’anamnesi, che è il nostro passato fino al momento presente, quello in cui diventiamo pazienti; e contiene anche la prognosi, che è il nostro futuro e il modo in cui lo affrontiamo”. Quindi “diagnosi e destino” significa abitare il proprio corpo nella relazione con il medico, il tempo e noi stessi. “La diagnosi spinge a riflettere su molte cose che non riguardano solo la malattia come fatto organico, ma chiamano in causa le nostre relazioni, il lavoro e la vita familiare”, afferma Lingiardi. 

Il rapporto con la diagnosi è diverso da individuo a individuo. Come esistono le difese immunitarie, così esistono le difese psichiche. Una diagnosi importante attiva i nostri meccanismi di difesa psicologici, le cui caratteristiche sono legate al tipo di personalità che abbiamo. “Esistono – spiega Lingiardi – difese molto disadattive, spesso conseguenti a storie traumatiche o a organizzazioni di personalità patologiche; ed esistono difese più adattive, che consentono modi più consapevoli e maturi di affrontare la minaccia”. Tra le difese meno adattive abbiamo la negazione massiccia o la proiezione paranoide. Queste differenze dipendono dalla struttura della nostra personalità che è il risultato di genetica, biologia, ambiente di crescita e contesto sociale, fattori interconnessi e non separabili. 

Sul piano collettivo la pandemia ha mostrato l’importanza anche sociale del modo di affrontare la minaccia di una malattia. C’è chi rispondeva negando il problema malattia e quindi assumendo comportamenti inevitabilmente dannosi, per sé e per gli altri; e chi ha saputo mettere Un secondo aspetto della diagnosi riguarda il rapporto tra medico e paziente e il concetto di alleanza tra questi due. “L’alleanza diagnostica è l’antefatto di qualunque alleanza terapeutica. Questo sia nella medicina, diciamo così più organica, sia nella psicologia clinica e nella psichiatria” afferma Lingiardi. Il rapporto che si instaura tra medico e paziente non dipende solo dalla personalità dei due interlocutori che crea l’instaurarsi meccanismi più o meno virtuosi ma dipende anche da una componente tecnica. “Agli studenti universitari difficilmente si può insegnare a essere più estroversi se sono introversi o a essere più empatici se sono più freddi. Però si possono insegnare le competenze che riguardano la comunicazione, l’ascolto dei familiari, la tempistica delle comunicazioni diagnostiche e l’importanza di rimanere in equilibrio tra la verità e la consapevolezza del peso delle proprie parole” spiega Lingiardi. Non è solo il medico a dover essere istruito anche il paziente, infatti, deve ricevere un’educazione all’ascolto. “Il paziente – spiega Lingiardi – vive per definizione una condizione di solitudine che lo porta a una ricerca di comunicazione. Questa condizione è spesso espressa con il silenzio, quindi il paziente deve essere istruito a chiedere aiuto senza paura. Il medico a quel punto deve saper ascoltare questa richiesta d’aiuto”. 

Il discorso della formazione deve necessariamente essere allargato anche alle politiche sanitarie e coinvolgere non solo il personale medico ma anche politico. In questo rientra un concetto molto importante che è quello One Health. “One health – spiega Lingiardi – è un termine che l’organizzazione Mondiale della Sanità oggi definisce come un sistema di interconnessione e di dialogo tra le dimensioni biologiche e sociali, umane e non umane, per la costruzione di un sapere interconnesso della salute”. 

“Abbiamo visto – afferma Lingiardi – quanto è carente la formazione globale in tema di salute e quanto ne avremmo bisogno, per questo credo che sia estremamente importante che l’università italiana inizi a promuovere obiettivi formativi molto legati al tema One Health” e conclude “alla Sapienza stiamo organizzando, grazie alla collega Isabella Saggio, un Master One Health sulla salute e sulla governance per preparare generazioni future non soltanto nell’ambito medico ma anche nell’ambito della gestione politica, sanitaria e amministrativa della nostra salute”.

Vittorio Lingiardi psichiatra, psicoanalista e professore ordinario di Psicologia dinamica presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica, Clinica, e Salute della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma, e Senior Research Fellow della Scuola Superiore di Studi Avanzati Sapienza (SSAS)

Daniela Minerva giornalista e saggista, direttrice di Salute, Gruppo Gedi