Esopianeti "falsificatori" di biofirme

Esopianeti “falsificatori” di biofirme

Secondo un nuovo studio, basato su modelli computazionali, l’ossigeno presente nell’atmosfera degli esopianeti rocciosi che orbitano intorno a stelle simili al sole potrebbe essere di origine non biologica e perciò poco affidabile come biofirma

“Se cerchi la Vita nell’Universo, segui l’acqua!” Non è un caso che sia l’acqua il soggetto di questo mantra per gli astrobiologi e non l’ossigeno, a darcene riprova è, infatti,  un recente studio guidato da Joshua Krissansen-Totton dell’Università della California di Santa Cruzle, il quale sembrerebbe rafforzare ancor più tale affermazione, dimostrando come l’ossigeno, su pianeti simili alla Terra, non sia necessariamente biogenico, rendendolo di fatto una biofirma “debole” o meglio non sufficiente a dimostrare la presenza di vita su altri mondi. Era il 1995 quando fu scoperto, per la prima volta, un pianeta orbitante intorno ad una stella diversa dal Sole: 51 Pegasi b. Un evento storico che nel 2019 è valso il premio Nobel per la Fisica a Didier Queloz e Michel Mayor.

Da allora gli astronomi di tutto il mondo, come dei moderni capitani Nemo a bordo dei loro Nautilus, i telescopi, hanno iniziato a scandagliare i fondali dell’”abisso cosmico” alla ricerca di nuovi mondi da scoprire e studiare. A differenza, però, del personaggio di Jules Verne a guidarli nelle loro esplorazioni, in cerca di nuove Terre, non ci sono vecchie mappe ingiallite, bensì quelle che gli scienziati chiamano biosignature, biofirme in italiano, vale a dire una qualsiasi sostanza che, se presente, è indicativa di una putativa esistenza di Vita. Uno di questi elementi è certamente l’ossigeno, la cui presenza sul nostro pianeta è perlopiù biogenica. Eppure, secondo un recente studio, condotto dai ricercatori dell’Università della California di Santa Cruzle, le cose non starebbero proprio così.   Sulla base di un modello termo-geochimico-climatico è emerso che, l’abbondanza di ossigeno nell’atmosfera di un pianeta roccioso e che orbita intorno ad una stella simile al sole, non è necessariamente associata a processi di origine biologica.

Nell’articolo, pubblicato sulla rivista “Advancing earth and space science”, il team spiega come, cambiando qualche ingrediente, prendono forma ben quattro scenari differenti.  Quello che i ricercatori hanno fatto è stato simulare delle differenti miscele di gas in altrettante differenti proporzioni fra loro, così da vedere se ne risultasse un’pianeta dall’atmosfera “piacevole”, ricca d’ossigeno. Ebbene, mentre nel caso standard, ovvero emulando ad litteram le condizioni presenti sulla Terra ai primordi, hanno ottenuto un pianeta la cui abbondanza di ossigeno atmosferico può essere spiegata solo con la presenza di forme di vita, in altri tre casi la situazione si è dimostrata molto interessante ed inattesa.

Di questi, il primo scenario si basa su condizioni analoghe a quelle del nostro pianeta neonato fatta eccezione per un differente rapporto fra anidride carbonica e acqua, a vantaggio della prima, il che determina un significativo effetto serra capace, causa le alte temperature, di mantenere l’acqua allo stato gassoso e determinarne la scissione in idrogeno e ossigeno ad opera dei raggi UV del sole. In questo modo, l’abbondanza di ossigeno non vede coinvolta in alcun modo la Vita. Una situazione analoga è emersa anche dal secondo scenario dove, in questo caso, a variare è la quantità d’acqua presente sul pianeta, dalle dieci alle duecentotrenta volte maggiore, con oceani tanto profondi da esercitare una pressione sulla crosta planetaria facendo estinguere la maggior parte dei processi geologici, compresi l’erosione e la fusione delle rocce che contribuiscono in buona parte alla sottrazione dell’ossigeno dall’atmosfera di un pianeta. In altre parole, vengono meno tutti quei fenomeni capaci di sottrarre ossigeno all’atmosfera.  Di contro invece, il quarto ed ultimo scenario è più simile ad una Terra deserta, con una concertazione d’acqua paria a circa un terzo di quella terrestre. Ciò determina un repentino congelamento del magma superficiale e impedisce all’acqua di condensare che perciò resta intrappolata nell’atmosfera e viene scissa in ossigeno e idrogeno. 

I risultati emersi da questo lavoro, se pur non definitivi, appaio estremamente utili, aggiungendo un prezioso tassello alla frammentaria mappa della ricerca astrobiologica.