Fotosintesi su altri pianeti? Meno probabile del previsto

Fotosintesi su altri pianeti? Meno probabile del previsto

Uno studio guidato dall’Università Federico II e dall’Università Parthenope di Napoli, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica, rivela che la fotosintesi potrebbe essere più rara del previsto nei pianeti rocciosi di tipo terrestre

Nella Via Lattea ci sono migliaia di milioni di pianeti con caratteristiche fisiche diverse. Cosa rende la Terra il pianeta ideale ad accogliere la vita? La giusta distanza dal Sole, la sua atmosfera, la sua temperatura, la quantità di acqua allostato liquido e la disponibilità di elementi come carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto. Esiste poi un meccanismo biochimico in grado di sostenere la biosfera terrestre. Si tratta della fotosintesi ossigenica, comunemente conosciuta come fotosintesi clorofilliana.  

Uno studio ipotizza che la fotosintesi, e quindi la presenza di ecosistemi simili a quello terrestre, potrebbe essere una rarità nei pianeti rocciosi potenzialmente abitabili. La ricerca, in via di pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Societyè stata condotta da un gruppo di astrofisici dell’Università Federico II e dell’Università Parthenope di Napoli, insieme all’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). 

La fotosintesi ossigenica è un processo compiuto dalle piante verdi e da alcuni organismi procarioti che permette di convertire l’energia solare in energia chimica, sotto forma di glucosio. Fu Melvin Calvin, biochimico statunitense, a scoprire i meccanismi precisi che portano alla sintesi di glucosio e di altre sostanze organiche a partire da anidride carbonica e acqua, con conseguente produzione di ossigeno. Per le sue ricerche sulla fotosintesi, Calvin si aggiudicò il premio Nobel per la chimica nel 1961. 

“La fotosintesi svolge un duplice ruolo nell’esistenza della biosfera terrestre: è fonte di cibo organico e fonte di ossigeno molecolare per il metabolismo”, spiega Giovanni Covone, professore dell’Università Federico II e associato Inaf. Secondo gli autori dello studio, la fotosintesi è un processo universale per produrre biomassa, perché coinvolge elementi che dovrebbero essere disponibili anche sugli esopianeti rocciosi simili alla Terra. Un esopianeta, o pianeta extrasolare, è un pianeta esterno al Sistema Solare che ruota intorno a una stella diversa dal Sole. 

Sono stati presi in considerazione dieci pianeti rocciosi che orbitano nella cosiddetta zona abitabile, ovvero nella regione intorno a una stella in cui è possibile trovare acqua allo stato liquido. Per questi pianeti è stato preso in esame il flusso di fotoni ricevuto ed è stata stimata la quantità massima di biomassa che potrebbero sostenere. Quello che è emerso è che “quasi nessuno” – commenta Covone – “ha le condizioni teoriche per sostenere una biosfera simile alla Terra mediante fotosintesi ossigenica”.

In conclusione, è stato scoperto che i pianeti orbitano spesso intorno a stelle troppo fredde per poter garantire la radiazione fotosinteticamente attiva (Par), cioè l’energia della radiazione stellare utile per la fotosintesi. Soltanto un esopianeta tra quelli campionati, di circa il doppio della massa terrestre, riceve flussi radioattivi tali da poter sostenere una grande biosfera. Il suo nome è Kepler-442b e ruota intorno a una nana arancione, la cui energia rientra nell’intervallo della Par. Le nane rosse, invece, le stelle più comuni nella nostra galassia (con una temperatura inferiore a 2600 gradi Kelvin) potrebbero non essere abbastanza calde per attivare la fotosintesi. 

Immagine in evidenza: Wikimedia commons