Il genere

secondo lo psichiatra Vittorio Lingiardi

di Vittorio Lingiardi

L’identità di genere e l’orientamento sessuale sono due aspetti separati e indipendenti che, tuttavia, entrano culturalmente in dialogo. Oggi, di fronte al moltiplicarsi del vocabolario dei generi, delle identità e degli orientamenti sessuali, sorgono diverse domande. Partiamo dall’inizio, che cos’è il genere? Vittorio Lingiardi ci porta alla scoperta di questo mondo in evoluzione. 

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Negli ultimi anni il vocabolario che definisce generi, identità e orientamenti sessuali si è moltiplicato. Il paesaggio si è fatto vasto e articolato, abitato da molteplici soggettività. Alcune sembrano avere radici profonde nella realtà psichica e in quella storica, altre sembrano più transitorie e volatili. Il linguaggio è in continuo aggiornamento e non mancano spunti polemici e prese di posizione forti sia sul versante della conservazione sia su quello dell’innovazione. Proviamo a orientarci. Che cosa è il genere? «Una copia di cui non esiste l’originale», direbbe Judith Butler. Ogni epoca, infatti, ridefinisce ciò che è “maschile” e “femminile”. La nostra epoca ha iniziato a definire anche ciò che non è binario. In ambito psicologico, siamo abituati a considerare il concetto di genere a partire da due dimensioni: l’identità e il ruolo. La prima  fa riferimento al sentimento di appartenenza al genere maschile, a quello femminile o a un genere alternativo che può corrispondere o meno al “sesso assegnato alla nascita”. Il secondo si riferisce a comportamenti e atteggiamenti che all’interno di una società e di un determinato periodo storico, sono tipicamente attesi, preferiti e attribuiti a un genere. In altre parole, riguarda le nostre aspettative su ruoli e stili che “l’Uomo” e “la Donna” dovrebbero ricoprire. Per esempio: l’uomo deve essere forte, un uomo che piange è debole. Più semplice è definire che cosa è il sesso, ovvero lo stato biologico di un individuo: femmina, maschio o intersex (cioè combinazioni atipiche dei caratteri sessuali che possono riguardare i genitali esterni, gli organi riproduttivi, i cromosomi o gli ormoni sessuali: ricordate “Middlesex”, il romanzo di Jeffrey Eugenides, vincitore del Premio Pulitzer 2003?). Il concetto di genere non va confuso con quello di orientamento sessuale e affettivo, aspetto multidimensionale dell’esperienza che indica da chi siamo attratti: emotivamente, romanticamente, sessualmente. Identità di genere e orientamento sessuale sono due aspetti separati e indipendenti, ma entrano culturalmente in dialogo. 

Che cosa è il genere? «Una copia di cui non esiste l’originale», direbbe Judith Butler.

Quando sesso e genere sono allineati si parla di identità cisgender, quando non lo sono si parla di identità transgender. Un tempo i temi identitari erano affrontati in chiave eteronormata e soprattutto binaria, dunque semplificata grazie alla polarizzazione: maschio vs femmina, uomo vs donna (e, nel caso dell’orientamento sessuale, etero vs omo). Oggi le diverse componenti dell’identità ci pongono di fronte a una complessità (più o meno incarnata) che pone domande continue sul significato, personale e collettivo, di concetti come “identità”, “genere”, “corpo”. 

Le disforie di genere erano un tempo sbrigativamente diagnosticate come “transessualismo” e patologizzate come “disturbi dell’identità di genere”. Che accada al bambino (early onset), all’adolescente (late onset) o all’adulto, questa condizione produce un sentimento doloroso che in alcuni casi, se non adeguatamente affrontato in chiave medico-psicologica, può persino implicare un pensiero suicidario. Non esiste una sola identità trans: le vite che si raccolgono sotto questo termine ombrello sono varie e articolate. Ci sono persone che si identificano con il sesso opposto a quello assegnato alla nascita, altre che non si riconoscono nel binarismo maschio-femmina, altre che non si identificano in alcun genere (agender). Per alcune intraprendere un percorso di adeguamento tra identità di genere e sesso è vitale, per altre è meno importante. Le disforie di genere nell’infanzia col tempo posso “rientrare” (desisters) oppure mantenersi (persisters) fino a richiedere interventi endocrinologici e/o chirurgici. Identità trans, genderfluidità, genderqueerness, sono esse stesse etichette in transizione. 

Oggi guarda alle variazioni di genere come a condizioni multifattoriali al cui sviluppo concorrono fattori sia biologici sia psicosociali 

Cosa sappiamo della disforia di genere? Nel corso dei decenni le ipotesi scientifiche sono cambiate. Se le interpretazioni classiche mettevano al centro fattori di natura più psicosociale che costituzionale, per esempio esperienze traumatiche nelle relazioni di accudimento, relazioni invischiate con figure genitoriali, sintomi secondari di disturbi più pervasivi o difese dissociative estreme, oggi si guarda alle variazioni di genere come a condizioni multifattoriali al cui sviluppo concorrono fattori sia biologici sia psicosociali. Con gradazioni e modalità diverse, l’identità di genere è, fin da prima della nascita (mi riferisco sia ai tassi ormonali in gravidanza sia alle fantasie e aspettative dei genitori), una costruzione sospesa tra biologia, psicologia e cultura: la convivenza, più o meno conflittuale, di nature e nurture

In un momento di ripensamento collettivo dei generi, tra vere opportunità e false partenze, le attuali sempre più frequenti segnalazioni in adolescenza possono, caso per caso, riflettere creativamente il bisogno di sperimentare, contraddirsi, integrare parti inesplorate di sé; oppure esprimere uno spaesamento esistenziale alla ricerca di un’identità. Il compito della psicologia clinica è salvaguardare le spinte creative nei percorsi delle identità, creando spazi di narrazione e significazione che diano ascolto al vissuto e spessore all’autodefinizione. Freud soleva dire che i poeti arrivano prima degli scienziati. Per entrare nel mistero transgender, ascoltiamo dunque i versi di una poetessa, Giovanna Cristina Vivinetto:

«Ci vollero diciannove anni 

per prepararsi alla rinascita, 

per trasformare la distanza tra noi 

in spazio vitale, il vuoto in pieno, 

il dolore in malinconia – che altro 

non è che amore imperfetto. Aspettammo  

i nostri corpi come si aspetta 

la primavera: chiusi nell’ansia 

della corteccia. Capimmo così 

che se la prima nascita era tutta 

casualità, biologia, incertezza – l’altra, 

questa, fu scelta, fu attesa, fu penitenza: 

fu esporsi al mondo per abolirlo, 

pazientemente riabitarlo». 

Vittorio Lingiardi, Psichiatra e Psicoanalista, Professore Ordinario presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica, Clinica e Salute, Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma