Le stelle degli altri

Le stelle degli altri

di Valentina B. Lanza

È il caso di dire: “una famiglia che brilla”. La famiglia Schiaparelli si è da sempre distinta per le sue personalità eccelse. Se ci soffermassimo ad osservare l’albero genealogico e i rapporti familiari legati a questo cognome a partire dalla seconda metà del ’700 ai tempi moderni, ci renderemmo conto del contributo scientifico-culturale fornito dagli Schiaparelli alla comunità nazionale ed internazionale.

Per ciò che concerne gli studi arabistici, l’attenzione per la famiglia Schiaparelli ruota intorno alla figura di Celestino, primo professore di lingua araba alla Sapienza dopo l’unità d’Italia, negli anni compresi tra il 1875 ed il 1916, uno dei protagonisti di significativi movimenti storico-culturali che si successero alla fine del XIX secolo e che contribuirono al processo di evoluzione e metamorfosi degli studi orientali in Italia. Dopo la morte di Celestino nel 1919, la sua biblioteca privata ed i suoi archivi vennero donati alla Scuola Orientale di Sapienza. Parte di questi documenti è ancora inedita, e solo recentemente è stata riportata alla luce grazie ad un progetto di Ateneo.  Il carattere poliedrico di Celestino, arabista e numismatico, e della sua famiglia rappresentata da illustri accademici e scienziati, ha contraddistinto questo progetto generando un affascinante intreccio di saperi e dottrine. In una fortunata sinergia tra l’arabistica e l’astronomia ha preso piede l’interesse nel testo astronomico di Albatenio e della sua edizione novecentesca per mano di Carlo Alfonso Nallino, altro insigne arabista italiano. Il valore aggiunto è stata l’occasione di spiare dietro le quinte: ciò è stato possibile grazie alla disponibilità dell’Archivio Storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera, il quale ha reso accessibili i suoi documenti concedendo il privilegio di entrare in possesso di dettagli aggiuntivi sulla costruzione dell’opera e sulle realtà dei protagonisti coinvolti (più o meno direttamente) in questa ricerca. I fratelli Schiaparelli, Carlo Alfonso Nallino, Albatenio: due astronomi e due arabisti, il loro incontro e la loro collaborazione, i loro manoscritti, i loro calcoli e le loro intuizioni. In questa sede cercheremo di raccontare questa storia, che ebbe inizio nel X secolo nei pressi di Ḥarrān, antica città della Mesopotamia.

Muḥammad ibn Ğābir al-Ḥarrānī al-Battānī (a noi noto come Albatenio, dal nome latinizzato Albetegnius/Albatenius) fu un illustre matematico, astrologo ed astronomo siro. Nato intorno all’anno 858 d.C. a Ḥarrān, visse e condusse i suoi studi per lo più ad al-Raqqa, città situata sulle rive dell’Eufrate, nel territorio dell’odierna Siria. La rilevanza della sua ricerca scientifica deriva in gran parte dai calcoli innovativi sulla durata dell’anno e delle stagioni, basati sulla precessione annuale degli equinozi e sull’inclinazione dell’eclittica. Tuttavia, nonostante il suo apporto scientifico alla matematica, all’astronomia e alla geografia, abbiamo motivo di affermare che per lungo tempo gli studi a lui dedicati furono inadeguati.

Fu solo alla fine dell’800 che si manifestò l’urgenza di un ampliamento degli studi dedicati all’astronomo del X secolo. Giovanni Virginio Schiaparelli, con l’appoggio del fratello Celestino propose la pubblicazione di una edizione completa del testo, con traduzione e commento. Quest’ultima verrà poi preparata da Carlo Alfonso Nallino. Tale fu la portata del suo lavoro astronomico, che a lui fu dedicato il nome di un asteroide della fascia principale, scoperto nel 1998: il 31271 Nallino. Correva il 1894 quando Nallino venne contattato dagli Schiaparelli per domandargli di occuparsi del progetto pensato per Albatenio, momento che rappresenta il secondo spartiacque temporale del nostro racconto: il 1894 è l’anno in cui l’opera di Albatenio iniziò finalmente a liberarsi di un po’ di polvere, e a riprendere vita nelle mani di un giovane, brillante arabista. L’impatto scientifico che il lavoro di Nallino sul testo di Albatenio ebbe nel contesto degli studi arabo-islamici, astronomici e geografici è figlio del dialogo e dei rapporti instaurati tra gli studiosi coinvolti, oltre che della loro innegabile preparazione scientifica. Pertanto, la bellezza di questa storia deriva proprio dalla condivisione scientifica, dal trasferimento del sapere generazionale, e trasversale.

Torniamo al 1894 e sbirciamo nelle vite dei tre protagonisti poco prima dell’inizio del lavoro di edizione che durò ben tredici anni: dal 1894 al 1907, data di pubblicazione dell’ultima parte del testo astronomico di Albatenio. Giovanni Virginio, alla soglia dei suoi 60 anni, era già senatore del Regno d’Italia e da trentadue anni ricopriva il ruolo di Primo Astronomo e Direttore dell’Osservatorio di Brera. Aveva ricevuto svariati riconoscimenti in campo scientifico nazionale e internazionale per i suoi contributi alla disciplina, come la medaglia d’Oro per la Royal Astronomical Society di Londra, e la medaglia d’Oro Cothenius dell’Imperiale Accademia Tedesca Leopoldina Carolina dei Naturalisti. Aveva ormai da diciassette anni iniziato le osservazioni su Marte, un’indagine di portata storica per gli studi astronomici. Per gli studi su Marte, e per la risonanza mediatica che ebbero anche presso il grande pubblico, Giovanni Virginio è ad oggi ricordato non solo dagli addetti ai lavori. Ciò che scatenò polemiche e speculazioni su vasta scala fu proprio la scoperta dei cosiddetti canali di Marte, da cui derivò un errore di traduzione e di interpretazione del testo di Schiaparelli. Quest’ultimo infatti, relativamente alla conformazione del terreno del pianeta, scrisse dell’esistenza di “canali”; tale termine venne successivamente tradotto con “canals”, vocabolo che in inglese porta in sé l’accezione di una costruzione di tipo artificiale, piuttosto che naturale. Questa vicenda diede luogo ad infondate elucubrazioni tra gli scienziati sull’esistenza di una civiltà aliena su Marte. La disputa terminò definitivamente solo nel 1965, quando vennero scattate le prime foto della superficie del pianeta, ed il terreno si dimostrò ricco di insenature ed incisioni, indiscutibilmente di origine vulcanica. Tuttavia, le scoperte su Marte non furono le sole che fece. Tra gli studi più significativi, ricordiamo quello sull’origine delle meteore. Egli scoprì un nesso tra le meteore e le comete; la sua ipotesi che gli sciami delle meteore coincidessero con i residui cometari venne infatti in seguito corroborata. Tra gli altri risultati, la scoperta dell’asteroide 69 Hesperia (1861).

Il talento di Nallino venne notato fin da subito anche da Celestino e Giovanni Virginio Schiaparelli, i cui diversi interessi scientifici andavano però a congiungersi negli scritti di Carlo Alfonso: la lingua araba e la storia dell’astronomia. Nonostante alcune esitazioni iniziali, mosse dal timore per il lavoro titanico che si prospettava, Nallino accettò l’incarico che gli venne proposto. Nell’agosto del 1894 si incontrò con Giovanni Virginio a Milano per discutere del progetto di edizione presso la specula dell’Osservatorio, e nell’autunno dello stesso anno si trovava in Spagna, a Madrid, a copiare l’unico esemplare manoscritto esistente del testo di Albatenio conservato nella biblioteca dell’Escorial.

Nallino lavorò in autonomia, ma in costante contatto con Giovanni Virginio, il quale non si limitò esclusivamente ad apportare un contributo scientifico relativamente ai suoi ambiti di studio. Infatti, in rappresentanza dell’Osservatorio di Brera che promosse la pubblicazione, Giovanni Virginio si trovò spesso a confrontarsi con Nallino su temi più strettamente legati all’edizione dell’opera, come la mise en page, e l’organizzazione dei contenuti. L’opera finale sarà intitolata al-Bāttāni sive Albatenii. Opus astronomicum e risulterà suddivisa in tre parti recanti nel loro complesso il testo arabo, la traduzione latina e le tavole astronomiche commentate. Il primo volume ad uscire fu il terzo, nel 1899, cinque anni dopo l’avvio del progetto. Il volume, recante il sottotitolo Pars tertia. Textum arabicum continens, include l’edizione del testo arabo. Il testo espositivo e le tavole vennero arricchite da Nallino con un accurato apparato critico, e con le figure ridisegnate a mano dallo stesso sull’impronta di quelle di Albatenio con il supporto dell’astronomo Schiaparelli. Fin dal principio Giovanni Virginio manifestò quanto fosse importante pubblicare il testo arabo accanto alla traduzione latina. L’astronomo sostenne fermamente in più occasioni che solo una pubblicazione di questo tipo avrebbe reso merito alla ricerca che si stava portando avanti. L’opera finale, come da lui concepita, sarebbe dovuta risultare un testo di riferimento fondamentale –e lo fu– per entrambi, orientalisti ed astronomi. Effettivamente, la rigorosa edizione del testo arabo di Albatenio preparata da Nallino riuscì a sostituire interamente l’uso del manoscritto per gli orientalisti.

Tre anni dopo l’uscita del primo volume, il secondo ad essere pubblicato fu la prima parte: Pars prima. Versio capitum cum animadversionibus. Essa conteneva la traduzione latina del testo, ed un commentario a corollario. Oltre alla parte espositiva e teorica, l’introduzione di questo secondo volume è degna di nota. Quest’ultima, fu concepita per rappresentare l’ultima e definitiva pubblicazione sulla figura di Albatenio, e su di lui avrebbe dovuto dire veramente tutto ciò che poteva essere detto in quanto noto, fino a quel momento. A tale scopo, Giovanni Virginio insistette molto nell’importanza di far confluire nell’introduzione a questo primo volume tutti i dati relativi alle fonti che, nel bene e nel male, trattarono e raccontarono di Albatenio, della sua vita, e dei suoi studi. Questa, insomma, doveva essere l’edizione definitiva sulla figura dell’astronomo, l’opera di riferimento, fino all’eventuale scoperta di altri manoscritti.

Il lavoro di traduzione delle tavole astronomiche venne pubblicato per ultimo, nel 1907: Pars secunda. Versio tabularum omnium cum animadversionibus, glossario, indicibus; erano passati ben otto anni dalla pubblicazione del primo volume, contenente l’edizione del testo arabo. Quest’ultimo volume in ordine di uscita, oltre alle tavole tradotte e commentate, contiene un glossario ed un indice. Fu il frutto dell’immenso lavoro relativo alle nuove misurazioni astronomiche e lo studio delle fonti portato avanti da Nallino. Effettivamente, lo studio delle tavole mise a dura prova entrambi, l’arabista e l’astronomo, i quali si scambiarono una grande quantità di missive a riguardo, di ordine teorico, e pratico.

Ciò che emerge in maniera lampante, e si tratta di una costante di tutte le lettere, è quanto i due si ascoltassero e si fidassero l’uno dell’altro. Il loro scambio ha effettivamente avuto un peso sulla riuscita finale dell’opera. In questo caso, ad esempio, si evince che Nallino opterà per il primo criterio suggerito da Schiaparelli, scegliendo di rendere bilingui solamente i titoli e le intestazioni delle colonne, e di riportare i numerali una sola volta in caratteri latini. Nel 1900 Giovanni Virginio venne colpito da una malattia agli occhi dalla quale non si riprese mai completamente; nell’inverno dello stesso anno decise di ritirarsi dalla carica di Direttore dell’Osservatorio, ruolo che ricopriva dal 1862. Nonostante le condizioni di salute dell’astronomo fossero critiche, tanto da essere costretto a lunghi periodi di riposo, egli continuò a contribuire al progetto di Albatenio per tutta la sua durata. La sua mente, infatti, non smise mai di brillare, dando prova fino alla fine di essere un grande astronomo. Margherita Hack racconta che nel 1908, a due anni dalla sua morte, Giovanni Virginio scrisse tre lettere critiche sulla questione della “Stella dell’Epifania”. Questi scritti furono poi pubblicati in suo onore dopo la sua morte dalla Rassegna Nazionale (1911). L’ultima lettera ritrovata nell’Archivio di Brera, scritta dall’astronomo e diretta a Nallino, è datata 6 gennaio 1910. Come un attore che dignitosamente si prepara a uscire di scena, Giovanni Virginio scrive:

Le mando mille ringraziamenti per la buona memoria che conserva di me, ed insieme Le auguro ogni bene più desiderabile per Lei e per la sua famiglia, che spero frattanto sarà cresciuta. – Io mi vado quietamente preparando al terribile esame che faranno di me i 42 giudici del regno di Osiride. Spero che non saranno troppo rigorosi e mi concederanno di entrare nei campi eterni di Aalu, a ricevere il premio che i desideri avanza. Allah akbar!

Il suo devotissimo amico

Giovanni Schiaparelli.”

Vediamo come il passo citato dall’astronomo è tratto da “Il cinque maggio” di Alessandro Manzoni: […] E l’avviò, pei floridi | Sentier della speranza, | Ai campi eterni, al premio | Che i desidéri avanza, | Dov’è silenzio e tenebre | La gloria che passò […]. I campi di Aulu, invece, nella mitologia degli antichi egizi rappresentano la residenza dei defunti. Sei mesi a seguire, Giovanni Virginio si spense.

Il valore scientifico-culturale de al-Bāttāni sive Albatenii. Opus astronomicum parla da sé. Se da una parte la pubblicazione ha restituito il giusto valore all’opera dell’astronomo del X secolo, al contempo essa ha dato un apporto scientifico senza eguali al campo degli studi arabo-islamici, e non solo. Investigando il milieu culturale di Celestino Schiaparelli si è posta particolare attenzione al suo entourage accademico, così come alla sua rete di conoscenze, ai suoi colleghi e collaboratori. Tale indagine è risultata cruciale ai fini di inquadrare gli sviluppi dell’orientalistica in Italia e i passi in avanti nella ricerca e nelle scienze. Alcuni risultati di queste ricerche sono stati presentati in occasione del convegno Celestino Schiaparelli (1841-1919): His Legacy & the Oriental School of Sapienza, tenutosi il 6 dicembre 2018 presso l’Odeion della Facoltà di Lettere di Sapienza. Le tematiche affrontate in occasione di questo evento sono testimoni di quell’eterogeneità di cui si parlava, che si traduce in una ricerca a tratti multidisciplinare. In particolare, è stata fatta luce sull’opera di Carlo Alfonso Nallino in relazione alle figure di Celestino e Giovanni Virginio Schiaparelli. L’archivio di Brera, che ha reso possibile questo studio incrociato, custodisce diversi fondi, fra cui il fondo Giovanni Virginio Schiaparelli ed il fondo Giovanni Celoria. La documentazione consultata consiste per lo più in un epistolario, ma comprende anche alcune cartoline, lettere di congratulazioni e scritti di natura eterogenea in forma di allegati. La maggior parte delle lettere passate in rassegna consistono in scambi tra Giovanni Virginio Schiaparelli e Carlo Alfonso Nallino, negli anni compresi tra il 1893 ed il 1910, quando la loro corrispondenza riguardava per lo più il lavoro di edizione di Albatenio.

Se l’atto di lettura di una missiva è di per sé un’esperienza totalizzante avendo questa il potere di catapultarti in un batter di ciglia nei luoghi e nei tempi degli autori coinvolti, il toccare con mano idee, incoraggiamenti, opinioni, consigli, illuminazioni, dubbi, perplessità, così come paure e debolezze di menti eccezionali che hanno fatto la storia scientifica del nostro paese, è un’esperienza di cui far tesoro. Nel tentativo di destreggiarsi nei meandri di un’affascinante quanto ostica ricerca intorno all’edizione di Albatenio condotta dal sommo Nallino, i pezzi del puzzle si vanno a ricomporre con l’ausilio della voce dei personaggi coinvolti in quest’avventura.

Dopo avervi raccontato la storia della genesi e della costruzione del testo astronomico di Albatenio, gestita e prodotta nell’ambito degli studi arabo-islamici in Italia, è con una nota diversa che ci piacerebbe concludere. Sbirciamo ancora, per l’ultima volta, tra queste carte manoscritte, e notiamo quanto, oltre agli aspetti squisitamente scientifici,

l’elemento “umano” emerga tangibile.

Carlo Alfonso Nallino, 21 gennaio 1903:

[…] Le mando oggi stesso la prefazione di Albatenio […] Pur troppo la parte riguardante il giudizio su Albatenio p. 30-36 è molto inferiore a quanto avrebbe scritto un astronomo. Ho notato molti spropositi in cui caddero i miei predecessori, giacché spesso sono molto diffusi e radicati; per estirparli occorre segnarli uno ad uno. Altrimenti avrei fatto volentieri a meno di riveder le buccie agli altri[…]

Giovanni Virginio Schiaparelli, 5 febbraio 1903:

“[…] Gli apprezzamenti che’Ella ha fatto p.30-36 hanno tutto il mio consentimento, e sarebbe difficile far meglio. Opportuno mi pare ch’Ella abbia notato gli errori altrui: in questa materia distruggere un errore vale spesso quanto svelare una nuova verità.[…]”

Delicato, intelligente, questo scambio ci dà probabilmente la misura di cosa significhi, tra le altre cose, l’etica scientifica. A noi ha toccato note profonde, e a voi?

Immagine in evidenza: Particolare del murale “Nobody Excluded” dell’artista Luogo Comune sito in Via dei Luceri nel quartiere romano di San Lorenzo. ©Mattia La Torre