Lupo selvaggio
Paolo Ciucci, zoologo e Professore della Sapienza, ci parla del problema dell’ibridazione del lupo con il cane e di come è stato ideato un progetto finanziato dall’Unione europea per elaborare strategie di mitigazione del fenomeno
Ci può raccontare del progetto sulla salvaguardia genomica del lupo?
Si tratta di un progetto internazionale che nasce da un partenariato europeo, Biodiversa+, in cui i paesi europei cofinanziano fino al 70% progetti di ricerca che abbiano un risvolto pratico applicativo per la tutela della biodiversità con impatti sulla società e sulla politica. L’Italia è partner dal 2022. Il tema cambia ogni anno ma il focus resta sempre quello della tutela della biodiversità. Abbiamo partecipato nel 2022, il tema di quell’edizione era legato ad aumentare l’efficacia della conservazione delle singole specie, la loro integrità e la loro diversità genetica. Da questo è nata subito l’idea: in Italia le politiche attuate negli anni Settanta hanno salvato il lupo da elevati rischi di estinzione. Negli anni a seguire il recupero della specie su scala nazionale è stato così efficace che oggi si inizia addirittura a parlare di controllo demografico al fine di ridurre gli impatti con le attività umane. Nessuno racconta però che con la crescita demografica è aumentata in maniera subdola l’ibridazione con il cane domestico. Quindi se è vero che il lupo è il simbolo della conservazione della natura, è vero anche che il successo è misurato solo in termini di dimensione di popolazione e sono trascurati gli indici di qualità, tra i quali l’identità genetica.
Se è vero che il lupo è il simbolo della conservazione della natura, è vero anche che il successo è misurato solo in termini di dimensione di popolazione e sono trascurati gli indici di qualità, tra i quali l’identità genetica
Quali sono gli obiettivi del progetto?
Le finalità sono molteplici. La prima è quella di parlare di un fenomeno che le persone non conoscono e non sanno interpretare. Vorremmo sollevare un argomento politicamente scomodo e di cui c’è carenza di informazione e di discussione in ambiente non accademico in modo tale da far crescere la sensibilità. Un altro obiettivo, entrando nell’ambito della ricerca scientifica, è quello di produrre informazioni a vari livelli (genetico, genomico, comportamentale, ecologico e sociale) che possano sostenere programmi efficaci e socialmente accettabili per la mitigazione e il contenimento del fenomeno. Quando parliamo di gestione della fauna accade infatti che spesso la cittadinanza si sollevi contro le nuove misure. Questo ci ricorda che la fauna è una cosa pubblica e come tale va gestita, ovvero secondo criteri condivisi dalle persone. Quindi da un lato vogliamo sensibilizzare la cittadinanza e dall’altro produrre conoscenze solide per farci trovare pronti con delle proposte gestionali operative.
Negli ultimi trent’anni stiamo osservando un aumento degli ibridi a seguito dell’aumento demografico del lupo e dell’espansione del suo areale geografico in zone abitate. In queste condizioni aumentano enormemente le probabilità di incrocio con i cani
Da quanto tempo si vede il fenomeno?
Già dagli anni Ottanta si raccoglievano indicazioni del fenomeno di ibridazione tra cane e lupo in varie zone del paese, ma il numero degli ibridi era piuttosto ridotto e, soprattutto, le tecniche genetiche per individuarli erano ancora troppo incerte per dare avvio a interventi gestionali. Tra l’altro, molti sostenevano che l’ibridazione tra lupo e cane c’è sempre stata fin dal tempo della domesticazione e che quindi non c’era da preoccuparsi. Tuttavia, negli ultimi trent’anni stiamo osservando in diverse zone d’Italia un aumento piuttosto preoccupante del numero degli ibridi, molti dei quali di recente generazione ad indicazione che è un processo in atto e probabilmente in fase di espansione. Pensiamo che questo stia accadendo a seguito dell’aumento demografico del lupo e, in particolare, dell’espansione del suo areale geografico. Il lupo come ormai sappiamo tutti è presente in zone più densamente abitate e addirittura vicino a città importanti come Roma, Firenze e Bologna. In queste condizioni aumentano enormemente le probabilità di incrocio con i cani. Oggi, il problema sta assumendo dimensioni non immaginabili in un recente passato, quando i lupi erano pochi e circoscritti in ristretti ambiti montani e dove i cani, qualora fossero presenti, erano semmai la preda del lupo.
Quali sono gli scenari del progetto che si contrappongono l’un l’altro?
In generale, la missione è quella di conservare quanto più possibile i processi naturali nella loro integrità, cioè non impattati dall’azione dell’uomo. Conservare una specie come il lupo vuol dire soprattutto tutelare l’integrità della traiettoria evolutiva che lo ha portato a essere tale dopo più di 300.000 anni di evoluzione, dando quindi valore non tanto alla specie per sé quanto ai principi ecologici ed evolutivi che la hanno resa tale, anche in termini di adattamento e coevoluzione con l’uomo. Attraverso il processo di domesticazione che data più di 20.000 o 30.000 anni, l’uomo ha sfruttato il patrimonio genetico del lupo manipolandolo a proprio uso per ottenere il suo discendente domestico che è il cane. Sebbene dal punto di vista biologico cane e lupo sono la stessa specie (per questo si possono accoppiare e dare origine a ibridi fertili), il cane è una cosa profondamente diversa dal lupo, non solo per quanto attiene alla morfologia ma anche in termini fisiologici (il cane, per esempio, può riprodursi due volte l’anno, il lupo solo una) e soprattutto di comportamento. Non dobbiamo dimenticare che queste differenze sono di origine genetica. Il problema di oggi è che se il fenomeno dell’ibridazione non viene gestito, rischiamo di alterare e compromettere la traiettoria ecologica ed evolutiva originaria del lupo e che è la motivazione ultima della sua tutela. Incluso il tanto celebrato ruolo ecologico del lupo come predatore apicale che governa struttura e funzionalità di interi ecosistemi, motivo principale della sua conservazione. Quindi c’è un consenso generalizzato sul mantenere il lupo in quanto tale. Le contrapposizioni possono nascere a livello sociale per la scarsa conoscenza e valutazione del fenomeno, che rimane comunque oggettivamente difficile da gestire.
L’argomento è complesso ma la nostra speranza è che attraverso la produzione di conoscenze scientifiche ci possa essere un confronto sociale che porti a soluzioni accettate da tutti
Cosa si può fare per evitare il dissenso sociale?
Nei paesi come la Slovenia e la Germania questi animali li abbattono grazie ai cacciatori, questa è una cosa che in Italia non è mai accaduta e mai accadrà perché abbiamo una sensibilità e un’attenzione sociale molto differente. D’altra parte, se non si agisce c’è il rischio di andare nell’estremo opposto. Nel progetto lavoriamo con antropologi ambientali e psicologi sociali perché vogliamo avere una misura scientificamente solida della percezione e della predisposizione del pubblico verso i possibili interventi. L’argomento è complesso ma la nostra speranza è che attraverso la produzione di conoscenze ci possa essere un confronto sociale che porti a soluzioni accettate da tutti. Oltre a sensibilizzare il pubblico sul fenomeno, come scienziati possiamo fornire informazioni affidabili e proporre delle possibili soluzioni, ma poi sta agli amministratori e ai politici, ovvero a coloro delegati dalla società, decidere cosa fare e come agire.
Che azioni prevedete?
La gestione prevede tre approcci: uno preventivo, uno proattivo intermedio e, nei casi conclamati in natura, uno reattivo. Un esempio di intervento preventivo è fare educazione sul randagismo canino o sul fatto che non bisogna dare da mangiare agli animali selvatici e attirarli. Gli interventi proattivi sono quelli mirati a mitigare l’effetto dei fattori che facilitano l’ibridazione, ad esempio, una maggiore attenzione alla mortalità del lupo a causa dell’uomo e in particolare il bracconaggio. Tutti sappiamo che i lupi vivono in branchi, che non sono altro che famiglie i cui membri sono particolarmente legati l’un l’altro. Un’eccessiva mortalità da opera dell’uomo ha l’effetto di scindere la coesione sociale tipica dei branchi e aumentare di conseguenza la probabilità di accoppiamento con i cani, che in territori antropizzati sono sempre molto più numerosi dei lupi: in particolare, uccidendo il maschio o la femmine della coppia riproduttiva, il resto del branco si scinde e le femmine in età riproduttiva tenderanno a disperdersi sul territorio aumentando notevolmente i rischi di ibridarsi con qualche cane vagante. Laddove invece abbiamo casi eclatanti di ibridazione diffusa, gli interventi dovranno essere reattivi e in questo caso non ci sono tante alternative: l’intervento letale oppure la cattura e la segregazione degli animali in recinti, che sono interventi altamente controversi e costosi, oppure la cattura, la sterilizzazione e il rilascio, difficile da realizzare ma che forse risulterebbe socialmente più accettabile.
Laddove abbiamo casi eclatanti di ibridazione diffusa, gli interventi dovranno essere reattivi e in questo caso non ci sono tante alternative: l’intervento letale oppure la cattura e la segregazione degli animali in recinti, che sono interventi altamente controversi e costosi, oppure la cattura, la sterilizzazione e il rilascio che, difficile da realizzare ma che forse risulterebbe socialmente più accettabile.
Secondo lei chi deve sedersi al tavolo decisionale?
Nel nostro progetto vogliamo avere un approccio multidisciplinare a 360° e quindi abbiamo genetisti, psicologi, antropologi, biologi, etologi ed esperti di normative comunitarie. E questo è un tavolo di scienziati, poi dovremo interagire con dei tavoli di supporto al decisore politico. Inviteremo quindi gli stakeholders e tutti i rappresentanti delle parti sociali direttamente o indirettamente coinvolti nella questione, senza dimenticare che la fauna – lupo in primis – può creare indotto importanti, dal turismo alla formazione, ma è anche causa di conflitto economico e sociale, dagli allevatori ai cacciatori. Sarà quindi necessario sedersi a un tavolo con animalisti, cacciatori, imprenditori, amministratori locali, allevatori e chiunque abbia da dire qualcosa sulla conservazione del lupo, con lo scopo di stimolare un processo decisionale compartecipativo a sostegno delle decisioni politiche per la governance del fenomeno. Altrimenti, se non venissero coinvolte le parti sociali, qualsiasi soluzione verrebbe contestata o congelata da ricorsi vari, con il rischio di finire nel nulla. Mentre il fenomeno dell’ibridazione continua a crescere ed espandersi. Poiché si tratta di questioni e decisioni complesse, noi proponiamo che le soluzioni vengano valutate in via sperimentale e quindi monitorate e affinate nel tempo.
Se non venissero coinvolte le parti sociali, qualsiasi soluzione verrebbe contestata o congelata da ricorsi vari, con il rischio di finire nel nulla
Come inserirebbe questo discorso in un’ottica One Health?
L’essere umano sta perdendo un rapporto sano con la natura. Ragionare in termini di eredità genetica e traiettorie evolutive come elementi fondanti della conservazione della biodiversità è culturalmente difficile ma allo stesso tempo illuminante sotto diversi punti di vista. Per esempio, ci può aiutare a realizzare che tutte le specie viventi sono partecipi del nostro stesso viaggio evolutivo sulla Terra: noi non siamo i padroni del pianeta. Oggi, sono proprio i meccanismi e il percorso evolutivo della vita, in primis la diversità genetica nel suo insieme, a soffrire maggiormente del nostro impatto sulla Terra. La conservazione della biodiversità non è un lusso delle società ricche o qualcosa che desideriamo per un vezzo estetico, ma è molto importante per la funzionalità stessa degli ecosistemi da cui anche noi dipendiamo più di quanto ce ne rendiamo conto. Oltre ad essere un atteggiamento globalmente miope e arrogante, compromettere i meccanismi di evoluzione e mantenimento della biodiversità ha risvolti negativi anche sulla nostra salute stessa. Guardare il cerchio nel suo complesso può solo avere un risvolto positivo. Siamo abituati a ragionare in termini antropocentrici, ma è proprio quello il peccato originale e una visione di insieme potrebbe aiutare a ridimensionare il nostro ruolo sulla Terra e ampliare le nostre prospettive verso tutto ciò che ci circonda.
Siamo abituati a ragionare in termini antropocentrici, ma è proprio quello il ’peccato originale. Una visione di insieme del One Health potrebbe aiutare a ridimensionare il nostro ruolo sulla Terra e ampliare le nostre prospettive verso tutto ciò che ci circonda
Paolo Ciucci, zoologo e Professore associato presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza Università di Roma
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