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Nft : un problema etico

Ci sono varie intersezioni tra scienza e Nft, soprattutto da quando la Berkeley University of California, che conta 25 premi Nobel tra le sue facoltà, ha iniziato a digitalizzare i loro appunti e a metterli all’asta come Nft per raccogliere fondi per la ricerca. Si aprono però alcune questioni etiche

Un articolo sulla rivista Nature racconta brevemente l’ingresso della scienza nel mondo degli Nft, cioè certificati digitali che sfruttano la tecnologia della blockchain (quella alla base delle criptovalute, per intenderci) e che vengono attualmente usati, in gran parte, per la compravendita di arte digitale. 

La Berkeley University ha iniziato a vendere Nft che immortalano alcuni appunti dei premi Nobel James Allison e Jennifer Doudna, la Us Space Force ha messo all’asta Nft in realtà aumentata create da immagini prese dai satelliti e Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web, ha fatto lo stesso con un Nft che ritrae il codice del primo browser.

Alcuni, però, sono più critici verso l’utilizzo smodato di questa tecnologia, dato che per creare e preservare i dati per gli utenti è necessaria un’alta potenza di calcolo, con i conseguenti alti consumi energetici e forte impatto ambientale. Si stima che i calcoli necessari a “estrarre” la criptovaluta Ethereum, per esempio, abbiano all’incirca il consumo energetico dell’intero Zimbabwe. 

Gli Nft possono essere percepiti come uno spreco maggiore delle criptovalute, perché le opere all’asta sono spesso disponibili gratuitamente online e gli Nft “non servono a niente, se non a fare da database per le ricevute di brutti gattini” come sentenzia Nicholas Weaver, che studia criptovalute all’International Computer Science Institute della Berkeley University.

“È un’interessante combinazione tra far vedere al mondo questi documenti storici, creare arte e finanziare ricerca e istruzione”, afferma Michael Alvarez Cohen, direttore dell’Ufficio per lo sviluppo dell’ecosistema d’innovazione nella proprietà intellettuale della Berkeley e ideatore dell’asta di Nft tratti dagli appunti di premi Nobel. Una parte del ricavato è destinato alla compensazione delle emissioni di anidride carbonica dell’intero processo, come avviene anche nella comunità degli artisti grazie a piattaforme come Palm, che garantisce la compensazione del 99% delle emissioni,o iniziative come Green Nft’s del blog Artnome, che ricompensano gli utenti che finanziano opere a bassa emissione. Altri artisti, come Memo Akten stanno cercando soluzioni diverse, come puntare all’utilizzo di energia rinnovabile e meccanismi di codifica meno energivori.

C’è, però, un’altra questione etica legata agli Nft: la Nebula Genomics, una compagnia fondata da George Church e Kamal Obbad, che offre un servizio di analisi del Dna a pagamento, ha già utilizzato gli Nft per codificare le sequenze genetiche di 15mila clienti e metterle a disposizione della ricerca. Obbad ipotizza un futuro in cui il pubblico possa guadagnare dalla vendita dei propri dati biologici. Vardit Ravitsky, bioeticista dell’università di Montreal, che già si interroga se sia giusto considerare il patrimonio genetico una proprietà individuale, dato che è condiviso in larga parte con la propria famiglia, vede negli Nft e nella compravendita di dati biologici, l’evoluzione di questo tema.

{Immagine in evidenza: Nyan Cat di Rob Bulmahn, Creative Commons}