Paleodieta

Non di sola carne viveva l’uomo: la “nuova” paleodieta è ricca di piante

Il progetto Hidden Foods di Sapienza Università di Roma riscopre il ruolo dei vegetali nella paleodieta, l’alimentazione dei nostri antenati

Le piante sono sempre state poco valutate nelle ricostruzioni della paleodieta, eppure l’essere umano antico se ne cibava, contrariamente a quanto si è sempre creduto. È quanto emerge dal progetto Hidden Foods, finanziato dall’European Research Council e nato dalla volontà di comprendere quale sia stata la vera paleodieta, ossia la dieta dei cacciatori-raccoglitori durante il Paleolitico e nel periodo precedente all’introduzione dell’agricoltura e ritenuta finora basata prevalentemente sul consumo di proteine.

Come mai ci siamo sbagliati così tanto e così a lungo? I motivi sono molteplici. “Abbiamo sinora avuto una concezione inesatta dell’alimentazione di queste persone” spiega Emanuela Cristiani, responsabile scientifico del progetto e professore associato in preistoria e protostoria di Sapienza. “Questo errore nasce dal fatto che nelle sepolture ritroviamo ossa, denti, resti di faune cacciate e individui, ma ben poco resta dei vegetali, che non si conservano adeguatamente nei contesti archeologici; per questo ci mancano molti dati sulle piante, sia perché non si mantengono sia perché investigarle è più difficile”.

Ma non è tutto. Un’altra ragione da tener presente è il fatto che le metodologie d’indagine più solide e maggiormente impiegate per ricostruire gli aspetti della paleodieta sono “protein sensitive”, il che lascia scoperto e sconosciuto il ruolo – inedito – dei carboidrati. Inoltre, dal momento che richiedono molto tempo e denaro, i metodi generalmente adoperati per analizzare i resti vegetali, come ad esempio il lavaggio dei sedimenti, sono normalmente applicati a periodi più tardi, quando l’agricoltura era già avviata, in modo da esser certi di ottenere dei risultati.

È dunque questo il contesto di ricerca in cui si colloca il progetto Hidden Foods, il cui titolo fa riferimento proprio ai “cibi nascosti”, in particolare alle piante ricche di carboidrati e al loro ruolo non solo nella paleodieta, ma anche nella nostra evoluzione. Per comprendere quali possano essere state le specie vegetali raccolte e mangiate, i ricercatori hanno utilizzato vari metodi, in primis l’analisi dei residui botanici sugli strumenti in pietra usati per macinare, sgusciare o comunque liberare gli amidi dalle piante e trasformare i semi in farina. Ma i dati più consistenti ottenuti da Cristiani e il suo team derivano dallo studio sistematico dei calcoli dentali: migliaia di anni fa, complici le condizioni igieniche, la placca dentale non veniva costantemente rimossa come facciamo noi oggi. Attraverso una interazione quotidiana con i sali presenti nella saliva, la placca dei nostri antenati è divenuta un tesoro archeologico, che una volta demineralizzata in laboratorio può svelarci quali specie vegetali venivano mangiate, grazie all’analisi delle diverse morfologie e caratteristiche degli amidi rimasti intrappolati nel tartaro antico. Mentre gli strumenti in pietra e i semi rinvenuti nei sedimenti archeologici fornisco dati indiretti sulla paleodieta, quest’ultimo approccio ci dà informazioni preziose perché legate direttamente agli individui preistorici: “Solo dai calcoli dentali possiamo avere la certezza che quel determinato alimento sia entrato in bocca e verosimilmente mangiato”, continua Cristiani.

Granuli di amido al microscopio. Crediti immagine: Emanuela Cristiani

Inoltre, tramite l’analisi delle micro-striature i ricercatori hanno potuto studiare l’abrasività della dieta dei cacciatori-raccoglitori preistorici, al fine di ricostruire le loro abitudini alimentari, integrando quindi i dati ottenuti dall’indagine dei calcoli dentali. In ultimo, l’esame dei calcoli ha mostrato risvolti anche dal punto di vista della salute: il tartaro custodisce un patrimonio batterico che se investigato tramite analisi del Dna antico permette di ricostruire il microbioma del cavo orale dei nostri antenati. Questo esame ci aiuta a comprendere se un certo tipo di dieta può aver influenzato lo stato di salute degli individui preistorici e se ci siano stati cambiamenti importanti nel microbioma orale nel passaggio a una dieta agricola.

Per questo progetto i ricercatori hanno investigato siti in Italia e nei Balcani: “Circa 20 mila anni fa tra queste due regioni, al posto del mar Adriatico, vi era un’unica grande piana in cui avvenivano certamente movimenti di popolazioni umane e circolazione di animali e materie prime” spiega ancora l’esperta. “L’analisi dei calcoli dentali è sempre stata applicata, nei periodi più antichi, solo a singoli individui provenienti da regioni geografiche e momenti della preistoria differenti. Nel progetto abbiamo invece effettuato queste analisi più sistematicamente, includendo contesti in cui la natura degli adattamenti umani e l’ottima conservazione archeologica hanno consentito di rinvenire più individui. Questo ci ha permesso di affinare il confronto fra queste due regioni e ottenere una ricostruzione del ruolo delle piante nell’alimentazione dei cacciatori-raccoglitori su più ampia scala regionale e a livello di popolazione”.

In definitiva, queste nuove conoscenze scardinano delle convinzioni errate o quantomeno incomplete sulla paleodieta. Inoltre, ci permettono di comprendere come abbiano funzionato alcune dinamiche a livello preistorico ed evolutivo come, ad esempio, l’introduzione dell’agricoltura in determinate aree. “Se immaginiamo ci sia stata una familiarità e un uso tradizionale – lungo anche millenni – di certe piante”, conclude Cristiani, “possiamo intuire come siano state scambiate conoscenze e acquisite specie domesticate quando i primi agricoltori arrivarono nelle zone abitate dai cacciatori-raccoglitori”.

Crediti immagine in evidenza: Emanuela Cristiani e Dusan Boric