Orologi biologici da sincronizzare: una complessa rete di geni controlla i ritmi circadiani

Orologi biologici da sincronizzare: una complessa rete di geni controlla i ritmi circadiani

Un gruppo di ricercatori è riuscito a individuare una complessa rete di geni che controlla i ritmi circadiani. Una scoperta che potrebbe portare ad avere un quadro più chiaro dei meccanismi biologici dell’orologio interno di organismi animali e vegetali

Ogni essere vivente deve far fronte a molti fattori ambientali che variano in maniera più o meno regolare e che possono condizionare la vita sul nostro pianeta. Per rispondere in maniera adeguata ad alcune di queste oscillazioni, la maggior parte degli organismi possiede un vero e proprio orologio biologico interno in grado di regolare metabolismo, fisiologia e comportamento per rispondere in maniera adeguata ad alcune di queste oscillazioni. Studiando i meccanismi che permettono queste risposte, un gruppo di ricercatori dell’Università di Pechino e della Pennsylvania State University, coordinato da Rongling Wu, è riuscito a individuare una complessa rete di geni, definiti “geni dell’orologio”, che regolano i ritmi circadiani e che formano un sistema ancor più complicato di quello descritto finora.

I cicli sonno-veglia di tutti gli animali, analogamente a processi fisiologici come la regolazione della temperatura e la secrezione ormonale, sono scanditi da questo orologio interno, sensibile a stimoli naturali come la variazione della luce solare e della temperatura ambientale. Quando questi modelli hanno una natura ciclica, con un periodo di circa 24 ore, come nel caso dell’alternanza del giorno e della notte e dei conseguenti comportamenti di sonno e di veglia, si parla di ritmi circadiani. Nonostante siano stati ipotizzati già nella prima metà del Settecento, solo di recente abbiamo iniziato a conoscere le basi genetiche questi cicli, soprattutto grazie al lavoro di ricerca di Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young che hanno ricevuto il premio Nobel per la medicina nel 2017 per aver scoperto le basi biologiche dell’orologio interno di animali e vegetali.

I vincitori premio Nobel per la medicina nel 2017 per aver scoperto le basi biologiche dell’orologio interno di animali e vegetali.
Michael W. Young, Michael Rosbash e Jeffrey C. Hall (credit: wikimedia commons)

Nel loro lavoro, pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista Applied Physics Reviews, gli scienziati descrivono nel dettaglio il modello statistico che stanno utilizzando per identificare i geni coinvolti in questo complesso meccanismo. Secondo i ricercatori, “comprendere più a fondo questa rete è la chiave per capire come funzionano i ritmi circadiani e come potrebbero essere potenzialmente modificati”. Il loro obiettivo è quello di riuscire a mappare questa intricata trama di geni, ottenendo così un atlante accurato dei sistemi di controllo genetico di questi ritmi che potrebbe aiutare a fare chiarezza sul ruolo dei “geni dell’orologio” e sugli effetti della loro cooperazione.

Orologio biologico negli esseri umani, schema dei ritmi circadiani
Panoramica dell’orologio biologico negli esseri umani (credit: wikimedia commons)

Depressione, ansia, aumento di peso e malattie cardiovascolari sono problemi che possono essere collegati a cicli del sonno irregolari e avere un quadro più chiaro dei geni coinvolti nel controllo del nostro orologio biologico interno rappresenterebbe un’opportunità anche in campo biomedico. Conoscere in maniera sempre più approfondita le strutture genetiche che sono alla base della regolazione dei nostri ritmi circadiani potrebbe portare allo sviluppo di nuove terapie in grado di aiutare persone affette da disturbi del ritmo circadiano, come chi soffre di alterazioni del ciclo sonno-veglia.

Capire perché alcuni di noi sono più attivi al mattino presto mentre altri hanno performance migliori nelle ore di buio e contribuire allo sviluppo di farmaci per combattere disturbi del ritmo circadiano sono obiettivi ambiziosi, ma c’è dell’altro: l’attenzione dei ricercatori è rivolta anche agli organismi vegetali e scavare a fondo nella rete di questi geni potrebbe permettere di aumentare la produttività agricola in condizioni sfavorevoli, come in ambienti caratterizzati da scarsità di luce o da brusche oscillazioni della temperatura. “Attivando il gene corretto possiamo aumentare la nostra produzione di colture”, ha spiegato Wu, “ma dobbiamo riunire diversi ricercatori di altri campi per comprendere meglio un problema così complesso”.

Credit immagine in evidenza: pixabay.com