Sii una Rita Levi

Sii una Rita Levi

Il futuro della ricerca. Quattro giovani ricercatori e il Rita Levi Montalcini, un programma di finanziamento altamente competitivo per avviare la loro carriera al rientro in Italia. Quattro campi di ricerca diversi e un’unica aspettativa per il futuro consolidare ed espandere la loro ricerca.

intervista a Maiko Favaro, Maria Chiara Di Gregorio, Ilaria Andolfi, Leonardo Micheli

di Annalisa De Angelis, Giulia Donatiello, Sofia Gaudioso e Mattia La Torre 

Ilaria Andolfi

Come descriverebbe il suo progetto a un non scienziato?

Ho proposto un progetto di ricerca che mette insieme la mia formazione da filologa con il mio interesse per la filosofia antica: più andiamo indietro nel tempo più i testi che sono arrivati fino a noi non sono completi, ma sono solo dei frammenti, che spesso ci sono arrivati grazie a citazioni di autori successivi. Insomma, non abbiamo quasi mai scritti interi, come invece può accadere con un dialogo di Platone o un’opera di Aristotele. Io mi occupo di testi che si trovano in stato frammentario e mi interesso in particolare alla figura di Empedocle di Agrigento, un filosofo della Grecia delle colonie, portatore di valori diversi rispetto a quelli della Grecia di Atene. Questo è uno dei miei punti di interesse: la grecità fuori dalla Grecia. Ciò che ho cercato di comprendere nel mio progetto è il contesto in cui il messaggio della filosofia antica, in particolare la filosofia di Empedocle, fosse trasmesso, tema che viene raramente trattato, soprattutto perché Empedocle compone in poesia facendo molti richiami al mondo religioso e alla dimensione magica. Mi propongo quindi di studiare il testo, e soprattutto le dinamiche comunicative che gli ruotavano attorno, e lo faccio sfruttando delle discipline non propriamente filologiche, per esempio la linguistica pragmatica, le neuroscienze, il cognitivismo, per comprendere l’uso di certe immagini. Infatti, Empedocle era famoso nell’antichità per l’uso di alcune immagini, a volte anche piuttosto ardite, come la lanterna per simboleggiare il processo della visione, e allora mi chiedo: se noi abbiamo difficoltà a comprenderle oggi, che abbiamo tutti i mezzi che ci consentono di studiarle, come veniva compreso all’epoca tutto questo? Inoltre, mi occupo di tutto il lato biografico dell’autore e cerco di capire da un punto di vista sociologico e antropologico, come potessero convivere in lui la figura del politico e quella del mago. Perché sicuramente Empedocle è stato un medico, ma probabilmente anche un mago. Mi interesso, quindi, anche dal punto di vista antropologico, di delineare i contorni di questa figura così particolare.

Come è cambiata la sua vita scientifica dopo aver vinto la borsa Rita Levi Montalcini?

Sicuramente questo è un grant molto particolare, un’occasione interessante che crea un posto a tempo indeterminato e per un ricercatore che, come me, finora ha finanziato la propria attività grazie a progetti di ricerca, è sicuramente un’opportunità che cambia la vita. Il sogno di tutti i ricercatori è quello di arrivare alla fase in cui si può studiare senza essere vincolati alla realizzazione o meno di un progetto. Sicuramente questo grant mi ha cambiato la vita, perché essendo radicato in una università italiana, entrano in gioco anche gli obblighi didattici, gli esami, le tesi; l’arricchimento è rappresentato proprio dall’insegnamento, e anche dalla fase successiva: trovare l’equilibrio tra la ricerca e l’insegnamento.  

Cosa si aspetta per il futuro?

Di continuare la mia attività, di poter continuare a svolgere ricerca in modo più creativo, perché non essendo vincolata dalla realizzazione di un progetto, come era in passato, ho l’opportunità di esplorare strade anche rischiose, che potenzialmente possono portare a poco ma chissà che invece non portino a tanto. E poi mi aspetto di prendere sempre più confidenza con l’insegnamento: i nostri studenti, infatti, arrivano all’Università già con una buona conoscenza di latino e greco e questo ci permette di insegnare ad alto livello dal punto di vista scientifico. Senz’altro avere a che fare con studenti preparati, motivati e numerosi è sicuramente un grande stimolo. L’aspettativa è quella di poter combinare la ricerca con l’insegnamento.

Maiko Favaro

ome descrivebbe il suo progetto a una persona che non sa nulla del suo campo?

Il mio progetto si colloca al crocevia fra filosofia e letteratura. Parto dal concetto filosofico di virtù eroica, teorizzato da Aristotele, e ne esamino le applicazioni nella letteratura del Rinascimento italiano. Utilizzerò nuovi strumenti e database, che hanno permesso di ampliare le nostre conoscenze sulla fortuna di Aristotele nel Rinascimento. Mi concentrerò soprattutto su come la virtù eroica sia presente in ambito epico, con particolare riferimento a Torquato Tasso e alla sua Gerusalemme liberata. Si tratta di capire con quali modalità il concetto di virtù eroica proposto nell’Etica Nicomachea di Aristotele possa influire sulla definizione dell’eroe epico. Spero che il mio progetto possa essere utile anche per gli studiosi di filosofia, storia e storia dell’arte. Infatti, il concetto di virtù eroica è importante in testi celebrativi, biografie, cerimonie pubbliche, dipinti e incisioni. 

Come è cambiata la sua vita scientifica dopo aver vinto la borsa Rita Levi Montalcini?

Negli ultimi cinque anni ho lavorato all’Università di Friburgo, in Svizzera, un ambiente per certi versi vicino all’Italia, in particolare nel campo degli studi di letteratura e filologia italiana. Ma naturalmente il cambiamento è comunque notevole, anche per la differenza del contesto circostante: Roma ha un’altra dimensione rispetto a Friburgo. Sono entusiasta sia di lavorare in un ambiente così prestigioso sia di collaborare con colleghi che hanno interessi di ricerca affini ai miei: molti di loro si dedicano a temi relativi al Medioevo e al Rinascimento. Poi c’è una vivace scuola dottorale che organizza diversi incontri. Vedo che sono in corso molti progetti interessanti, vengono invitati docenti importanti da altre istituzioni, ci sono numerose occasioni di dialogo. Anche la didattica mi sta offrendo soddisfazioni. Sto tenendo un corso di Letteratura italiana per gli studenti di Storia Antropologia Religioni, che partecipano attivamente e pongono domande stimolanti. Posso affermare che la mia esperienza è assai positiva.

Cosa si aspetta per il futuro?

Innanzitutto, mi auguro di poter continuare a lavorare qui a lungo. Sono arrivato da poco, però vedo già che l’ambiente è dinamico e questo è fondamentale. L’anno prossimo organizzerò un convegno legato al progetto che sto svolgendo, con riferimento in particolare alla rappresentazione delle virtù e delle passioni nel Rinascimento. Sarà un convegno focalizzato principalmente sulla letteratura, ma con aperture anche ad altre discipline.

Maria Chiara di Gregorio

Come descriverebbe il suo progetto a un non scienziato?

Il progetto ha l’obiettivo di costruire delle macchine sintetiche colloidali. Vediamo una a una cosa significano queste tre parole. Vogliamo progettare delle macchine, cioè degli strumenti composti da parti diverse, ognuna con la propria funzione, che lavorano sinergicamente per compiere un lavoro, come un’automobile. Il lavoro che compiono queste macchine è descritto dalla seconda parola: sintetiche. Devono essere in grado di fare una sintesi, cioè di apportare delle modifiche alla struttura e alle proprietà di un oggetto. La terza parola indica su quali oggetti le macchine sintetiche compiono il lavoro: i colloidi, cioè oggetti di dimensioni piccolissime (microscopiche o nanoscopiche) in soluzione. Il modo in cui saranno progettate permetterà alle macchine di essere non invasive: raggiungono l’oggetto, fanno il loro lavoro e se ne vanno senza che ci si accorga di nulla. Tali macchine sintetiche colloidali potrebbero essere applicate in ambienti e ambiti anche molto diversi, come ad esempio per la degradazione delle microplastiche che contaminano le acque. Oppure in campo biologico, nel nostro organismo per la modifica degli amiloidi. Gli amiloidi sono degli aggregati proteici che generano patologie neurodegenerative. La sfida più grande è riuscire ad assemblare e programmare queste macchine chimiche con grande versatilità così da avere un’ampia gamma di applicazioni in contesti anche molto diversi.

Quando ho scritto questo progetto ho sicuramente dovuto pensare alla fattibilità e a quello che avrei potuto sviluppare in base alle conoscenze note. Ma è importante anche pensare in maniera originale, lanciare i dadi e sperare che il risultato sia vincente. 

Come è cambiata la sua vita scientifica dopo aver vinto la borsa Rita Levi Montalcini?

Per ora il cambiamento più grande è essere tornata in Italia, a Roma che, anche se non sono nata qui, è la città dove ho studiato, dove mi sono laureata e ho svolto il dottorato. La mia vita da chimica è iniziata qui. Fino a 17 anni volevo diventare giornalista, poi a 19 ho deciso di iscrivermi a chimica alla Sapienza. Durante il dottorato ero stata visiting student in Israele, all’ Università di Tel Aviv. Poi più a sud all’ Università Ben-Gurion, nel deserto. E durante quel periodo ho maturato la decisione di restare lì per svolgere il post dottorato al Weizmann Institute of Science nel dipartimento di chimica organica, pur essendo io una chimica fisica. A Roma studiavo la chimica della materia “soffice”, in Israele ho conosciuto la chimica della materia “dura”, i cristalli. Quello è stato il mio primo cambiamento scientifico, del tutto casuale. Mi sono fidata dei consigli delle persone con cui lavoravo che mi hanno sostenuto e guidato in un percorso di crescita sia professionale che umano. Ho avuto la possibilità di lavorare in un ambiente estremamente stimolante e con cristallografi di fama mondiale che hanno avuto voglia di condividere quello che sapevano. Ho iniziato a giocare a modo mio non essendo una cristallografa. A posteriori, posso dire che il mio approccio privo di preconcetti sull’argomento si è rivelato un punto di forza perché, a un certo punto, abbiamo iniziato a formare dei cristalli strani, paradossali che andavano contro le regole convenzionali della cristallografia. Inizialmente pensavo di stare a sbagliare tutto. Poi ho iniziato a incuriosirmi e la curiosità mi ha spinto a cercare di capire cosa stessi osservando. È qui che la scienza si fa interessante. Questa è l’esperienza e l’approccio che vorrei riportare in Sapienza.

Ora posso fare un passo in avanti, sono più indipendente nello svolgimento della mia ricerca e soprattutto posso farla nel mio Paese: forse la cosa che desideravo di più. 

So che devo imparare tantissimo. Sento una responsabilità per questo premio. Una bella responsabilità, certo, e, anche se non farò tutto da sola, sarà comunque una grande sfida con me stessa.

Cosa si aspetta per il futuro?

Spero di fare bene il mio lavoro, di poter dare un mio contributo alla comunità scientifica, che non vuol dire per forza fare cose grandi, ma anche semplicemente fornire uno spunto, porre la domanda giusta, destabilizzare. Mi piacerebbe trasmettere l’entusiasmo per questo lavoro agli studenti o a ricercatori più giovani. Queste sarebbero già grandi vittorie. Spero inoltre di lavorare bene con i miei nuovi colleghi nel Dipartimento di chimica, con quelli che un tempo erano i miei professori e adesso sono colleghi e, in generale, con la comunità scientifica italiana e internazionale.

Alla fine dei tre anni di finanziamento spero di continuare a lavorare nell’università, fare ricerca, insegnare e vivere la vita universitaria. Credo molto nell’importanza della condivisione del sapere e delle esperienze. Tutti coloro che l’hanno esercitata (e continuano a esercitarla) nel mio percorso hanno dato (e danno) un impulso e un’ispirazione importante alla mia persona. Sono molto grata per questo. E ora, il modo migliore per dimostrare la mia gratitudine è cercare di restituire tanta generosità ricevuta, mettendo a disposizione quanto appreso e vissuto finora, nel mio lavoro quotidiano, nelle forme e con le peculiarità che più mi appartengono. Mi piacerebbe molto essere coinvolta nelle attività della terza missione che sto conoscendo meglio adesso e trovo estremamente stimolanti.

Leonardo Micheli

Come descriverebbe il suo progetto di ricerca ad una persona che non sa nulla del suo campo?

Il mio progetto riguarda l’ottimizzazione della produzione dei pannelli fotovoltaici. Nel mondo dal 3 all’8% della produzione del fotovoltaico si perde perché i pannelli si sporcano e io mi occupo proprio di questo fenomeno chiamato soiling. Analizzo i dati di pannelli esistenti e faccio delle previsioni su come questi si sporcheranno e sulla perdita di produzione di energia. Questo tipo di analisi mi permette di capire se una località è più o meno incline al fenomeno di soiling prima di installare l’impianto fotovoltaico. Credo che questa ricerca faccia un servizio anche alla comunità e all’ambiente perché se riusciamo a ottimizzare la produzione elettrica dei moduli vuol dire che ogni metro quadrato di suolo che occupiamo, ogni metro cubo di materiale che usiamo per produrre un modulo verrà sfruttato per produrre ancora più energia di quanto avrebbe fatto altrimenti. Se riusciamo ad aumentare la produzione del pannello ottimizzando la gestione delle perdite vuol dire che stiamo già aumentando la quota di fotovoltaico e di rinnovabili nella rete. 

Come è cambiata la sua vita scientifica dopo aver vinto la borsa Rita Levi Montalcini?

Vincere questo tipo di borsa è un grande onore e privilegio. La sua durata è di tre anni e questo mi permette sia di concentrarmi sul progetto che ho scritto sia di familiarizzare con un ambiente nuovo. Infatti, come Montalcini siamo ricercatori e ricercatrici che rientrano dall’estero e l’impatto può essere più o meno grande. Nel mio caso rientravo dalla Spagna, una realtà abbastanza simile a quella italiana però immagino che i colleghi e le colleghe che rientrano da centri di ricerca più grandi o da paesi che hanno investimenti maggiori abbiano bisogno di più tempo per ambientarsi.  La borsa Rita Levi Montalcini è legata ad un contratto da ricercatore come Rtd B e per questo devo occuparmi anche di didattica. Sto organizzando un corso in inglese da 9 crediti formativi, una cosa nuova per me che per questo richiede dell’attenzione. Però è un lavoro che faccio volentieri perché mi consente di interagire con gli studenti. Credo che lo scambio di idee con la nuova generazione di studenti darà benefici a entrambi e per me questa è una cosa entusiasmante.

Cosa si aspetta per il futuro?

Mi piacerebbe continuare a sviluppare le mie tematiche di ricerca ma anche spaziare e cercare nuove idee e nuovi colleghi con cui confrontarmi sia all’interno del Dipartimento che in Italia e all’estero. Ho già avuto modo di collaborare con altri docenti e spero che ci saranno sempre più occasioni di coinvolgere il Dipartimento nei miei progetti. Inoltre, anche se nel Dipartimento c’era già una forte attenzione alla sostenibilità, spero di portare avanti il tema del fotovoltaico affinché Sapienza possa diventare sempre più un punto di riferimento per le rinnovabili.

Ilaria Andolfi, Filologa e ricercatrice del Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza Università di Roma

Maiko Favaro,Letterato e ricercatore del Dipartimento di Lettere e Culture Moderne della Sapienza Università di Roma

Maria Chiara di Gregorio, chimica e ricercatrice del Dipartimento di Chimica della Sapienza Università di Roma

Leonardo Micheli, ingegnere energetico e ricercatore del Settore di Fisica Tecnica del Dipartimento di Ingegneria Astronautica, Elettrica ed Energetica della Sapienza Unviersità di Roma.