La scienza che vorremmo

La scienza che vorremmo

Essere Direttori di un Dipartimento grande ed eterogeneo come quello di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” richiede dedizione costante e un’idea precisa di dove andare. In occasione della site visit abbiamo chiesto al Direttore del presente e del futuro.

intervista a Marco Oliverio

di Mattia La Torre e Diego Parini

Quali sono, secondo lei, gli elementi per costruire un Dipartimento scientifico ideale?

Questa è un po’ la domanda che mi sto ponendo da quando ho accettato l’incarico di Direttore. Io cerco di guardare al Dipartimento con gli occhi dei giovani, che guardano al Dipartimento come un obiettivo della loro carriera. Una domanda che mi pongo è se il Dipartimento può essere allo stesso tempo, parafrasando, sia per giovani che per vecchi. Dovendo scegliere, preferirei fosse per giovani e non per vecchi – come me – che ho ancora davanti 12 anni di carriera. È possibile creare questa convivenza? Secondo me sì, si può, ma come si fa? I vecchi devono chiedersi cosa bisogna fare affinché i giovani guardino al Dipartimento come un obiettivo, e non guardino da un’altra parte. Tra le cose principali su cui soffermarci abbiamo il merito, il merito che deve essere premiato, compatibilmente alle richieste. Ad esempio, di un fisico nucleare, anche il fisico nucleare più bravo del mondo, nel Dipartimento non me ne faccio nulla, come per uno zoologo bravissimo, che però studia tematiche o organismi che non affrontiamo, non possiamo creare un laboratorio apposta per lui. Tuttavia, quello che si deve percepire è che è il merito che conta e non quel rapporto clientelare o di particolare fiducia con il docente. Se i giovani percepiscono che nel Dipartimento funziona così, allora un primo tassello è stato messo. Un altro importante fattore è che i giovani devono sentirsi interpellati, devono sentire che la loro opinione viene presa in considerazione e non messa da parte, da un’eventuale classe dirigente, solo perché sono giovani. Così vale anche per tutta la graduatoria dirigenziale, che vede dagli ordinari e via via discendendo prendere le decisioni ascoltandosi tra di loro, senza ascoltare il resto. Se un Dipartimento inizia ad innescare queste dinamiche interne, diventa un posto ideale e allettante per tutti. Perché in questo contesto ci guadagnano tutti, anche i vecchi, trovandosi in una situazione in cui non vengono visti come una controparte, ma tutti partecipanti a questo gioco comune. Quando le cose vanno bene ci guadagnano tutti e quando vanno male pagano tutti. Però lo facciamo tutti insieme, da questo punto di vista le cose funzionano meglio. Un terzo elemento è che questa struttura deve guardare fuori. Può sembrare banale, ma da mettere in pratica non lo è per niente. Noi siamo il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie. Sia la biologia che le biotecnologie stanno correndo a velocità pazzesche intorno a noi. Noi dobbiamo guardare quello che succede, anche il resto del mondo cambia, cambia l’economia, la società, le persone, le esigenze, le condizioni e via dicendo. Guardarsi intorno significa che il Dipartimento non si deve guardare l’ombelico e basta, ma deve guardare cosa succede fuori. Nel Dipartimento, composto da 85 docenti e ricercatori, una quarantina di staff tecnico-amministrativo, una miriade di assegnisti, dottoranti, studenti, non facciamo un lavoro solo per questa comunità, che pur essendo una grande comunità, non è niente in confronto al resto, alla città di Roma o all’Italia. Dobbiamo pensare che quello che facciamo è qualcosa che deve andare fuori, verso l’esterno. Calibrare ciò che facciamo non ogni vent’anni ma continuamente rispetto al mondo attorno che cambia. Questa cosa è complicatissima, in particolare sulla ricerca. La ricerca è un cardine importante, una delle grandi gambe che sorreggono il nostro sistema accademico. Bisogna essere pronti a correrle incontro, senza lasciarsi trasportare dalle mode o dalle emozioni. Guardare alle innovazioni, anche perché siamo un Dipartimento di Biologia e Biotecnologie, quindi l’aspetto tecnologico è importante, ti mantiene al passo sulle scoperte. Se hai le idee giuste e utilizzi le tecnologie all’avanguardia, il risultato scientifico è garantito.

Questa è anche l’idea per la site visit?

Fin dalla fondazione di questo Dipartimento la site visit è stato un must, farci dire da qualcuno al di fuori, neutrale, quello che va o non va. Sentirsi dire che le cose vanno bene fa sempre piacere, e ne siamo contenti, ma è soprattutto importante sapere come siamo visti da fuori e se eventualmente possiamo migliorare, e poi starà a noi trarre delle conclusioni. Questa site visit sarà incentrata sulla ricerca, rimangono quindi degli aspetti, come la didattica, su cui non metteranno l’accento. E toccherà a noi lavorarci. Tra triennali e magistrali abbiamo centinaia di persone, ed è un lavoro molto importante da fare. Come dicevamo prima, anche questo va calibrato nei confronti della società che cambia e chiede cose sempre diverse; quindi, bisogna restare al passo con quello che i nostri stakeholders ci chiedono. In questo ambito, gioca un ruolo importante di connessione con il mondo esterno la terza missione. Un canale di rapporto tra noi che siamo dentro, il nostro ombelico, e il resto del mondo. Nel nostro Dipartimento la stiamo implementando al meglio, e siamo relativamente virtuosi. Questa va mantenuta e magari anche potenziata perché è un canale molto importante.

Se dovesse descrivere il Dipartimento di oggi con una parola quale sarebbe?

In progress

Invece immaginando una parola per il Dipartimento tra cinque anni?

Advanced

Marco Oliverio, Zoologo, Direttore del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza Università di Roma

Guarda l’intervista completa sul canale YouTube di STAR