Tyler Prize

Tyler Prize 2023 per i risultati ambientali

I vincitori del Tyler Prize 2023, principale premio internazionale per le scienze ambientali, sono l’ecologo Daniel Pauly e l’esperto di economia Rashid Sumaila: due colleghi di lunga data ed esperti di pesca oceanica che da anni cercano possibili soluzioni per la pesca eccessiva e il ripristino dell’equilibrio degli oceani.

Il Tyler Prize, spesso ricordato come “Nobel per l’ambiente”, il 22 Febbraio 2023 è stato assegnato a Daniel Pauly e Rashid Sumaila, autori di una ricerca sugli effetti ecologici ed economici del divieto di pesca in alto mare.
Il loro obiettivo? Proteggere i “polmoni del pianeta”, arrestare la pesca eccessiva e interrompere i fondi governativi concessi alle grandi compagnie di pesca. “Vietare la pesca in alto mare ­– ha spiegato Pauly ­­– è il miglior modo per invertire i danni inflitti all’oceano dai decenni di pesca eccessiva”.

Le origini del Tyler Prize

Gli anni ’60 e ’70 sono stati la cornice di un mondo che iniziava a reagire all’inquinamento, ma che ancora non conosceva la sostenibilità.
I fondatori del premio, John e Alice Tyler, si sentirono in dovere di “fare la differenza”. Venuti a conoscenza delle devastazioni che l’inquinamento stava causando, decisero di aiutare il mondo istituendo il Tyler Prize, inaugurato nel ’73 dal presidente Ronald Reagan.

Da quel momento, ogni anno, i migliori scienziati ambientali del mondo vengono selezionati da più settori disciplinari: salute, inquinamento, perdita di biodiversità ed energia. Il loro merito? Offrire grandi benefici per l’umanità.
È un onore per Julia Marton – Lefèvre, presidente del Comitato Esecutivo del Tyler Prize, premiare scienziati che preservano le risorse naturali.

I vincitori 2023

I vincitori Pauly e Sumaila, insegnanti dell’università della British Columbia, il 27 Aprile, in occasione del 50° anniversario del premio, presenteranno i loro studi presso l’università della California del Sud.

Daniel Pauly è il fondatore di Sea around US, una ricerca che valuta l’impatto della pesca sugli ecosistemi marini e offre possibili soluzioni.
Nel 2010 è stato lo scienziato di pesca più citato al mondo per aver studiato ecosistemi acquatici in Africa, Asia, Oceania e Americhe. Inoltre, ha condotto numerose ricerche sulla pesca lungo le reti trofiche e ha sottolineato come lo sfruttamento attuale sia insostenibile.
Ha reso popolare il termine “Shifting Baselines”, che spiega come la conoscenza del declino ambientale diminuisca nel tempo.
Infine, è anche co – fondatore di FishBase.org, un’enciclopedia online di oltre 30.000 specie di pesci.

Rashid Sumaila, invece, studia bioeconomia, costi e benefici di riserve marine in alto mare. Da anni, analizza sussidi per la pesca, aree marine protette, pesca illegale, cambiamenti climatici, inquinamento marino ed emissioni di petrolio.

La ricerca: un’occasione per aprire gli occhi sul mondo

Gli studi sulla pesca hanno avuto un forte impatto sulla sostenibilità marina. Grazie alla loro risonanza a livello globale, circa 190 paesi si sono interessati a proteggere il 30% di terre e acque fino al 2030. Il merito è dell’accordo “30×30”, nato a Dicembre 2022 durante la Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, COP15.

Un esempio da seguire? La chiusura del Mare di Ross, in Antartide: la più grande area marina protetta al mondo. “La creazione di riserve no – take è essenziale. Vietare la pesca oltre le 200 miglia nautiche dei paesi marittimi creerà una banca ittica di cui il mondo ha bisogno”, sostiene Sumaila.

In alcune parti del mondo la situazione è disperata e motivo di migrazioni forzate per cui i rifugiati ambientali sono costretti a cercare speranza in terre lontane.

Una possibile soluzione potrebbe essere la creazione di Zone Economiche Esclusive (ZEE), sulla costa, dove si può pescare e risparmiare carburante. “La pesca eccessiva aumenta le emergenze globali, soprattutto nelle comunità più vulnerabili”, grida Sumaila, concedendosi un ultimo appunto che riassume il fine della ricerca. “Vietarla in alto mare aiuterà la biodiversità, l’economia, la sicurezza alimentare e l’equa distribuzione, permettendo ai paesi più piccoli di trarne sempre più vantaggio”.