Un eroe dimenticato: il cavallo

Un eroe dimenticato: il cavallo

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di Rosamaria Dovizio

Il premio Nobel è da sempre uno dei più importanti riconoscimenti a livello mondiale ed è anche considerato il più prestigioso tra i premi esistenti.

Il Nobel viene assegnato ogni anno a persone che portano “considerevoli benefici all’umanità” tra cui scienziati, scrittori, uomini politici… e che per questo meritano di essere premiati per l’impegno e la dedizione del loro operato. Eppure, nel corso dei secoli non sono stati solo i nostri simili a portare dei “considerevoli benefici” alla nostra specie. Vi è tra le fila della specie dominata dall’uomo per eccellenza, una famiglia di eroi che lo ha sostenuto e aiutato sin dai tempi remoti e a cui oggi solo una minoranza riconosce un qualsiasi merito.

Ma perché un cavallo dovrebbe meritare un premio Nobel? In fondo è solo un comune animale. Potremmo pensarlo ma soffermiamoci a riflettere sul forte impatto del cavallo sull’uomo nel corso della storia e sull’importanza del suo ruolo.

Il rapporto che ci lega ai cavalli è una storia che dura da secoli. I nostri antenati che 20.000 anni fa disegnavano nelle grotte cavalli colpiti da frecce, augurandosi di poterli catturare in quanto prede ambite, hanno tracciato solo l’inizio di questa relazione. Grazie in seguito al suo addomesticamento, il cavallo non fu visto solo come “alimento” ma iniziò ad affiancarci nelle guerre, nel lavoro, negli spostamenti e nel divertimento. Ad esempio, un noto personaggio storico, l’imperatore romano Caligola, nutriva una vera e propria devozione per il suo cavallo Incitatus, tanto da nutrirlo con fiocchi d’avena, frutti di mare e pollo e vestirlo con coperte di porpora e pietre preziose. Un aneddoto racconta persino che Caligola dormisse accanto al suo animale la notte prima di una gara e che l’unica volta che Incitatus perse, egli fece uccidere l’auriga in modo lento e doloroso. Notevole che un uomo di tale potenza e importanza potesse nutrire un simile attaccamento proprio verso un cavallo.

Il poeta decadente Giovanni Pascoli parlò in una sua poesia dedicata al padre defunto di una “cavalla storna” e focosa, apprezzandone il comportamento in occasione dell’assassinio di quest’ultimo. Invece di fuggire imbizzarrita, continuò a passo lento il suo cammino e riportò a casa il corpo agonizzante del padrone e arrivò persino ad umanizzarne i sentimenti. Anche in questo caso è stupefacente che Pascoli, esprimendosi su un tema tanto delicato e drammaticoche, come tutti sanno, lo segnò a vita, abbia deciso di inserire proprio la figura del cavallo del padre.

Persino il capitano di cavalleria Federico Caprilli, ideatore del sistema di equitazione naturale, era convinto che per poter montare bene “non è più il cavallo a doversi adattare al cavaliere ma il cavaliere al cavallo.”

Durante la commemorazione del primo centenario della Grande Guerra in cui abbiamo ricordato il sacrificio di tanti soldati che hanno combattuto e perso la vita per la patria credo pochi abbiamo ricordato che accanto al loro sacrificio c’è stato quello dei cavalli impiegati nei campi di battaglia, i quali sono stati fedeli compagni dei soldati e hanno instaurato con loro un rapporto di solidarietà, recandogli conforto in tale crudele situazione.

Gli animali trascinati a forza in guerra, eroi silenti e ignari, pagarono un tributo di sangue altissimo nella Grande Guerra. Non avevano nome, non avevano grado e tantomeno ricevettero medaglie o un’iscrizione su una lapide. Furono semplicemente truppe al servizio della follia umana per soffrire e morire. Si stima che i cavalli impiegati sui vari fronti di guerra siano stati quasi 10 milioni, adibiti ai traini dei cannoni, dei carri, delle munizioni e dei viveri. Condivisero con gli uomini che se ne occupavano traumi e sofferenze, l’esposizione al fuoco nemico delle mitragliatrici, le insidie del filo spinato e i gas tossici. Sul campo di battaglia i cavalli erano un facile bersaglio, ma anche dietro le prime linee, la loro vita era segnata da fatica, malnutrizione, pandemie e incuria.

L’autore Fabi a tal proposito scrisse: “Il cavallo è stato il primo animale ad accompagnare l’uomo in battaglia, ma è stata proprio la Grande Guerra a decretare la fine del suo utilizzo prettamente militare.”

Abbiamo molto da imparare da questo splendido animale e gli dobbiamo molto. La sua forza, la grazia, l’energia che sprigiona da ogni movimento sono doni inestimabili specialmente per chi riesce ad instaurare un legame profondo con esso. Un cavallo meriterebbe un Nobel anche solo per la capacità che ha di curare l’animo umano. La comunicazione reciproca attraverso il contatto fisico e l’intesa profonda che viene a crearsi è in grado di sviluppare la capacità di ascoltare e di essere empatici. Il cavallo ha sempre migliorato l’uomo e questa cosa non cambierà mai.