Microscopia crioelettronica

Microscopia, dal Nobel all’energia pulita

Per migliorare la produzione di energia verde, i ricercatori dell’Università di Manchester hanno applicato a nanoparticelle metalliche una tecnica di microscopia elettronica vincitrice del premio Nobel per la chimica nel 2017 e usata finora solo in biologia

Si chiama “single particle reconstruction” ed è la tecnica pionieristica di microscopia crioelettronica (Cryo-EM) che nel 2017 ha permesso a Joachim Frank, Richard Henderson e Jacques Dubochet di vincere il premio Nobel per la chimica.  E che ora promette di far diminuire le emissioni dannose dalle automobili tradizionali, nonché di ridurre il costo delle celle a combustibile usate nelle macchine elettriche. L’idea è di un team di ricercatori dell’Università di Manchester che, in collaborazione con i colleghi dell’Università di Oxford e dell’Università di Macquarie, ha deciso di sfruttare le grandi potenzialità della tecnica, usata finora soltanto in campo biologico.

 La microscopia crioelettronica ha prodotto una vera rivoluzione nel mondo della biochimica, permettendo di esplorare la struttura tridimensionale dei virus e delle molecole biologiche. Con questa tecnica, è infatti possibile osservare nel dettaglio le strutture delle proteine e di altre componenti cellulari piccolissime, con un livello di precisione inimmaginabile fino a pochi anni fa. L’approccio crioelettronico, in particolare, prevede di congelare molto velocemente le strutture da studiare, con un metodo che si chiama vetrificazione, un processo fisico attraverso il quale il campione si trasforma in una superficie vetrosa trasparente.

Come spiegato nello studio pubblicato su Nano Letters, la Cryo-EM consente di produrre mappe tridimensionali perfino di sostanze composte solo da poche migliaia di atomi, senza danneggiarle. Una tecnica che, per l’appunto, potrebbe tornare molto utile anche nel campo delle nanoparticelle metalliche, ormai comunemente utilizzate come catalizzatori energeticamente molto efficaci, fondamentali per esempio nelle celle a combustibile delle macchine elettriche. L’efficienza delle nanoparticelle dipende fortemente dalla loro struttura chimica, e al fine di ottenere miglioramenti nell’ambito dell’energia rinnovabile, i ricercatori devono poterla analizzare in dettaglio. Data la dimensione estremamente ridotta della struttura però, sono necessari dei microscopi elettronici ad alta risoluzione per catturarne l’immagine.

Per averne una mappa tridimensionale, generalmente ruotiamo l’oggetto di interesse nelle diverse direzioni e cerchiamo di avere la maggiore quantità di immagini possibili, come una tomografia computerizzata”, ha spiegato Sarah Haigh, co-autrice dell’articolo. “Ma le nanoparticelle sono troppo piccole e si danneggiano velocemente. Per questo abbiamo pensato di applicare lo stesso metodo usato dai biologi nell’acquisizione di immagini 3D, per vedere se con le tecniche spettroscopiche si riuscissero a mappare i diversi elementi interni alle nanoparticelle. Le singole immagini sono poi inserite in un algoritmo, che restituisce come risultato la ricostruzione tridimensionale completa dell’oggetto”.

Il nostro studio”, aggiunge Yi-Chi Wang, autore principale della ricerca, “si è concentrato sulle nanoparticelle di platino-nichel, che sono tra i materiali più diffusi ed efficaci in applicazioni come celle a combustibile e batterie. La nostra innovazione nell’imaging 3D aiuterà i ricercatori a creare nuovi catalizzatori più economici e a più alta efficienza, in modo da ridurre gli sprechi di energia”.