Anatomie Comparate
Il gigantesco scheletro di una balenottera comune, il modello anatomico del cuore di un coccodrillo, un enorme microscopio elettronico a trasmissione degli anni ‘70. Il tutto raccolto in un museo naturalistico della Sapienza che ha più di cent’anni di storia. Parliamo del Museo di Anatomia Comparata, il luogo perfetto per conoscere e apprezzare la disciplina che studia le differenze e le somiglianze nelle strutture anatomiche dei vertebrati per capirne le cause funzionali ed evolutive. Per cogliere come le forme anatomiche del passato possano aiutarci a comprendere il presente abbiamo rivolto alcune domande a Riccardo Castiglia, direttore del museo e professore associato del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza.
intervista a Riccardo Castiglia
di Francesca Stazzonelli, Federica Villa e Alessandra Volpe
Professor Castiglia, qual è stato il suo percorso accademico e come è diventato direttore del museo?
Io ho svolto tutta la mia carriera universitaria qui, alla Sapienza. Mi sono laureato in Scienze biologiche, e ho conseguito il dottorato in Biologia animale. Sono diventato ricercatore, e infine professore. I direttori dei vari musei dell’università cambiano a rotazione e sono scelti tra i docenti che insegnano materie affini ai contenuti culturali di ciascun museo. Ormai è dal 2003 che insegno Anatomia comparata, e sei anni fa sono diventato direttore di questo museo. I miei ricordi di questo posto vanno dagli anni in cui ero studente fino a oggi.
Quali sono le sue linee di ricerca attuali?
L’anatomia comparata si occupa di vertebrati e così anche io. Studio in particolare piccoli mammiferi come i roditori e i soricomorfi, conosciuti come toporagni, e poi mi occupo anche di rettili. Nello specifico, sono interessato alla micro-evoluzione, ovvero lo studio di quei cambiamenti che si osservano tra popolazioni diverse di una stessa specie o tra specie affini. È un’indagine che si basa soprattutto sulla genetica, perché all’interno della stessa specie, di solito, non si assiste a grandi cambiamenti morfologici. Ma è un ambito di ricerca che sconfina un po’ anche nella sistematica e nella tassonomia, per poter definire al meglio i metodi per delimitare le specie.
Nel 2019 il suo gruppo di ricerca ha scoperto una nuova specie di lucertola, ovvero Podarcis latastei. Come siete arrivati a questa scoperta?
È stato grazie a uno dei miei studenti, Gabriele Senczuk. Per il suo dottorato stava studiando la lucertola campestre, Podarcis siculus, e ha poi deciso di proseguire la sua ricerca sulle Isole pontine, per individuare i tempi di divergenza e le relazioni evolutive tra le popolazioni insulari e quelle della terraferma. Questa ricerca ha messo in evidenza che in effetti ci sono delle differenze importanti dal punto di vista genetico ma anche morfologico, per esempio nella colorazione. L’abbiamo poi elevata a rango di specie, chiamandola Podarcis latastei. È stata una scoperta inattesa da un certo punto di vista, ma anche abbastanza ragionevole se si pensa che l’evoluzione agisce proprio quando c’è isolamento geografico, e che questa specie ha vissuto isolata nell’arcipelago pontino per più di due milioni di anni.
Come si sono evoluti nel tempo i metodi di studio dell’anatomia comparata?
La domanda è abbastanza complessa perché le prime immagini che mostrano la comparazione tra vertebrati diversi per individuare gli elementi omologhi sono molto antiche e risalgono addirittura al 1500. All’epoca era una semplice descrizione morfologica delle strutture anatomiche dei vertebrati, per cercare di comprendere come mai si fossero diversificati così tanto e quali funzioni avessero queste diverse morfologie. Poi è arrivata la teoria evoluzionistica che ha trasformato completamente lo studio dell’anatomia comparata. Ci si è cominciato a chiedere come e perché certe strutture si modificano nel tempo. E questi aspetti – lo studio della forma, degli adattamenti e dell’evoluzione – si sono sviluppati nei secoli. Ad esempio, adesso i rapporti filogenetici si studiano soprattutto su base molecolare. E non solo ci aiutano a individuare le relazioni tra gruppi di specie, ma anche a capire come si sono modificate le strutture morfologiche. Negli ultimi decenni sono arrivate poi tecniche più innovative. Penso per esempio allo studio dei fossili tramite la TAC, che permette di vedere dettagli prima impossibili da notare, anche in specie estinte. E poi c’è la nuova frontiera dell’anatomia comparata, la cosiddetta “evo-devo”. Quella disciplina che mette in relazione lo sviluppo embrionale di un determinato organo con la sua storia evolutiva. Nei vertebrati, strutture anatomiche che presentano una elevata variabilità di forme si originano, a livello embrionale, da abbozzi morfologicamente piuttosto simili. Quindi cercare di capire quali geni agiscono nell’embrione per determinare le diverse forme anatomiche, è fondamentale per comprendere come queste si sono modificate durante la loro evoluzione.
A chi è dedicato il museo?
Il museo è dedicato a Giovanni Battista Grassi, il grande zoologo vissuto tra la metà dell’ 800 e i primi del ‘900. È stato anche direttore del museo dal 1894 alla morte. Un personaggio importante, famoso soprattutto per aver identificato la specie di zanzara vettore del plasmodio, dando un contributo fondamentale alla lotta alla malaria. Ha studiato diversi aspetti dell’anatomia comparata e della zoologia dei vertebrati, anche se in realtà è conosciuto soprattutto per i suoi studi sugli insetti. In questo museo sono arrivati tutti i suoi cimeli, le sue onorificenze, la maschera mortuaria e il suo archivio privato. L’archivio Grassi, per l’appunto, con tutti i suoi appunti, i disegni, i manoscritti e la sua corrispondenza.
Come è allestito il museo?
È un museo piuttosto eterogeneo. Anche se piccolo, è molto ricco. C’è la sala storica con l’archivio Grassi, le cartapeste di Jérome Auzoux, e le cere di Friedrich Ziegler. Poi c’è la sala didattica, che è un po’ come un libro dal vivo per gli studenti che devono superare l’esame di Anatomia comparata. E poi la sala dei microscopi, dove si può vedere l’evoluzione di questo importante strumento. Dai primi rudimentali microscopi del 1600 fino al SEM, il microscopio a scansione elettronica e il TEM, a trasmissione elettronica. Ma la più carismatica è sicuramente quella dei cetacei, con gli scheletri di balene e capodogli. Ogni pezzo del museo ha la sua storia da raccontare.
A proposito della sala didattica, come può essere utile questo museo agli studenti?
Per superare il corso di Anatomia comparata o Zoologia dei vertebrati, direi che è utilissimo. Perché guardare le diverse proiezioni di un cranio sul libro è un conto, ma vederlo in forma tridimensionale e poterlo toccare è tutta un’altra cosa. Ci si rende conto molto meglio di come è fatta la morfologia di quella particolare struttura. E poi qui ci si può soffermare sui dettagli, scoprire curiosità che su un libro non si notano.
Che ruolo svolgono per lei i musei nell’ambito della terza missione Sapienza?
Svolgono un ruolo importante perché servono a portare i cittadini in Sapienza. La terza missione si può fare o andando sul territorio oppure attirando le persone qui. Sicuramente il polo museale svolge questa seconda parte. E i musei poi hanno la capacità di accogliere tutte le fasce di età. Qui vengono studenti dalle elementari fino all’università. In quale altro modo un’università potrebbe attirare i più piccoli? Mi viene in mente solo con un museo.
Riccardo Castiglia, biologo Direttore del museo di Anatomia Comparata della Sapienza e Professore Associato del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” presso la Sapienza Università di Roma.
Francesca Stazzonelli, Federica Villa e Alessandra Volpe studentesse del Master La Scienza nella Pratica Giornalistica della Sapienza Università di Roma
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