
Asia e Musica
Di Emilio Giovenale
La musica, insieme alle arti figurative, è stata una della prime forme espressive della cultura umana. La sua nascita e la sua successiva evoluzione sono strettamente collegate ai rituali di carattere mistico religioso che sempre si sono accompagnati alla evoluzione culturale dell’uomo. E dato che la culla originale della cultura umana, per motivi geografici/ambientali può essere indentificata nell’oriente, si può tranquillamente affermare che è da questa area che si sono sviluppate le prime forme di espressione musicale. Oggi chi rappresenta l’evoluzione della musica orientale? La musica occidentale o fenomeni come quello del K-pop?
Le prime testimonianze sulla musica orientale
Ci sono testimonianze di un uso di strumenti elementari nella musica in Egitto, associata a rituali religiosi, già a partire dal neolitico, mentre nel periodo predinastico, nel IV millennio a.C. si ritiene che strumenti come flauti e strumenti a percussione fossero utilizzati, specie per i riti funerari, e nel successivo Antico regno si rileva l’uso di strumenti a corda e a fiato. Per gli Egizi la musica era stata inventata dalla dea Bat/Ator, ed era stata utilizzata dal dio Osiride per civilizzare il mondo. Non a caso la musica era parte importante dei riti funerari, dato che Osiride era il dio della morte e dell’oltretomba.
Per i popoli mesopotamici la musica era collegata alle scienze: astronomia, matematica e astrologia, con strumenti simili a quelli utilizzati in Egitto
La musica riveste un ruolo importante anche nella cultura cinese, le cui radici risalgono circa al 3000 a.C. Anche qui gli viene attribuita un’origine divina, collegandola alla cosmologia ed all’astrologia. L’importanza della musica per i cinesi, come forma di cultura superiore, può essere rilevata dal detto di Confucio: “Volete sapere se un popolo è ben governato e ha buoni costumi? Ascoltate la sua musica”.
In India si trovano le prime testimonianze di una fiorente cultura musicale nei testi sacri dei Veda, in particolare nel Sāmaveda: una raccolta di inni e versi, usati dai sacerdoti per specifiche cerimonie religiose, composto tra il 2000 e il 1000 a.C.
La transizione verso l’occidente
A partire dall’oriente la cultura musicale si è poi diffusa verso la Grecia antica, ove Pitagora ha fornito le basi scientifiche per una sua caratterizzazione, ponendo le basi per la costruzione della musica cosiddetta “occidentale”. Facciamo rilevare anche in questo caso però, l’aspetto “mistico” della musica, come rivelazione di un disegno matematico/geometrico del cosmo, riservato agli adepti del culto pitagorico, un intreccio tra filosofia e religione.
Qui trovate un approfondimento sul contributo di Pitagora allo sviluppo della musica occidentale
La musica classica occidentale e la scala pentatonica
Pitagora aveva diviso la scala in 7 note (corrispondenti più o meno ai tasti bianchi del pianoforte), se torniamo alla musica orientale scopriamo invece che gran parte di questa musica si basa su un diverso tipo di scala, la cosiddetta scala pentatonica, e che è proprio questa caratteristica a dare alla musica un sapore “orientaleggiante”. Per fare una prova provate a suonare qualcosa usando solo i tasti neri di un pianoforte: state lavorando su una scala pentatonica e l’effetto è proprio quello di una melodia che sfugge ai parametri estetico/acustici a cui siamo abituati.
L’uso dei soli tasti neri (e di conseguenza della scala pentatonica, nel caso specifico pentatonica di Sol b maggiore) lo troviamo nello Studio Op. 10 n. 5 in Sol♭ Maggiore – “Sui tasti neri” di Fryderyk Chopin:
L’uso della scala pentatonica fornisce una sensazione “orientaleggiante” allo studio, che Chopin integra magistralmente con la struttura di un brano classico occidentale.
In altri casi, come nella “Madama Butterfly” e nella “Turandot” di Giacomo Puccini c’è invece un riferimento esplicito alle sonorità orientali.
La rivoluzione di Debussy
Nella sua ricerca di alternative ai sistemi armonici in uso nella musica classica occidentale, Debussy introdurrà prepotentemente nelle sue composizioni la scala pentatonica. Questa modifica ha come effetto la riduzione della “importanza” della nota cosiddetta “fondamentale” o “tonica”, fornendo alla musica di Debussy un senso di “sfumato”, una nota di vaghezza che si associa ad una visione quasi onirica del mondo, facendo venir meno le certezze granitiche della armonia classica tonale.
Un esempio è il brano “Pagodes”, tratto da “Estampes”
Questo processo vedrà un’ulteriore evoluzione verso la scala esatonale, dove gli intervalli tra le note sono tutte uguali, e quindi la tonalità perde ulteriormente potere. Un esempio è “Voiles”, tratto dai “Preludes”. Il brano inizia con armonia esatonale, ma improvvisamente (dopo il min. 2:30) esplode in una sequenza di scale pentatoniche. Vi proponiamo qui la esecuzione di Arturo Benedetto Michelangeli:
La pentatonica nel Jazz
La pentatonica poi diventa una delle basi della musica jazz: esempi classici sono la melodia di “I got rhythm” di Gershwin o della parte iniziale di “In a Sentimental Mood” di Duke Ellington.
Qui trovate il primo esempio, nella esecuzione magistrale della regina della musica italiana: Mina!
In questo altro esempio ascoltate il tema del sassofono di John Coltrane…
Se poi alla scala pentatonica minore aggiungiamo una nota, la cosiddetta “blue note”, si ottiene la scala blues. Nel caso della scala pentatonica minore di La, la blue note sarà il Re diesis. La presenza di questa nota accentua il carattere di indefinitezza tonale della scala, rendendo difficile capire “ad orecchio” se si tratti di una scala maggiore o minore, cosa che fornisce alla scala blues quel particolare sapore. Questa indefinitezza legata alla pentatonica è stata molto utilizzata nella cosiddetta “improvvisazione modale” nel Jazz, in particolare da John Coltrane e Miles Davis.
La pentatonica nel Rock
Passando al Rock troviamo molti esempi, in particolare negli assoli. Nell’assolo di “Stairway to Heaven” del Led Zeppelin si alternano pentatoniche minori di La e Re
Vale la pena anche di sentire l’assolo di Chitarra di Guilmor in “Time”, dei Pink Floyd,
Se poi vogliamo trovare una chicca, osserviamo che la melodia di “Let it be” dei Beatles è puramente in scala pentatonica di Do … e usare una scala che ha per caratteristica la “indefinitezza” per una canzone che si chiama “Let it be”, è assolutamente geniale!
Cos’è oggi la musica orientale? Il fenomeno K-pop
Ma per ora abbiamo fatto riferimento alla musica orientale “classica”… cosa dire della sua incarnazione moderna? Vorrei per questo parlarvi di un fenomeno diventato globale, grazie alla diffusione dei mezzi di comunicazione moderni: il K-pop
K-pop è un’abbreviazione per Korean Popular Music, e comprende sotto il suo cappello un gran numero di stili, spesso anche molto differenti tra loro, anche se oggi c’è la tendenza ad identificare il K-pop con la musica dei cosiddetti “idol”. Per comprendere meglio l’evoluzione del fenomeno dobbiamo ricordare che i primi contatti della Corea con la musica occidentale avvengono alla fine del 1800. Una accelerazione di questo processo si verificherà dopo la guerra di Corea e a seguito del crescente contatto con il mondo giovanile americano, in particolare col movimento hippy, nonostante l’opposizione del governo dittatoriale.
Con l’avvento della democrazia, dopo la dittatura di Park, il processo accelerò ulteriormente, anche grazie ai nuovi mezzi di comunicazione (parabole satellitari) e alla revoca delle restrizioni per i viaggi all’estero nel 1988, e gli artisti coreani iniziarono a risentire in maniera notevole degli influssi degli stili musicali provenienti dall’occidente, dal pop al rock, dalla dance all’heavy metal, dall’hip hop al jazz, specie per quanto riguarda lo stile musicale, mantenendo però i contenuti sempre vicini alla mentalità e ai sentimenti coreani.
Le prime band…
È al termine di questo periodo, in cui iniziarono ad emergere le prime band “idol”, orientate come target a un pubblico di adolescenti, che appare il temine K-pop, come “traduzione” del temine “gayo” che tradizionalmente indicava la musica popolare coreana. Ed è negli anni Duemila che il K-pop raggiunge il culmine del successo, con il nascere di molte compagnie dedicate alla promozione e alla commercializzazione del prodotto “K-pop” all’estero, aiutate in questo processo dalla diffusione degli strumenti social e della loro ampia diffusione nel pubblico di riferimento degli adolescenti. La definitiva consacrazione può essere identificata nel successo planetario del video “Gangnam Style” di Psy, del 2012, che divenne il primo video in assoluto a raggiungere il miliardo di visualizzazioni su youtube, rimanendo il più visto per ben 5 anni!
Il fenomeno BTS
Poco posteriore è il debutto del gruppo più famoso del K-pop: i BTS. Il successo di questo gruppo di adolescenti, è stato tale da estendere i suoi effetti anche al di fuori dell’ambito strettamente musicale. Dopo essere stati i primi artisti per volume di vendite a livello mondiale, sia nel 2020 che nel 2021 (superando artisti del calibro di Taylor Swift, Ed Sheeran, Billie Eilish), si è stimato che abbiano generato incassi, tra concerti, vendite e contratti, per oltre 4 miliardi di dollari, contribuendo per uno 0,3% al PIL della Corea!
I BTS nascono come gruppo prevalentemente hip-hop, con testi che parlano dei i risvolti della società coreana e delle difficoltà dei giovani, sensibilizzando i propri fan (la cosiddetta “ARMY”) su temi di grande attualità e rilevanza sociale. Proprio questo sembra essere uno dei motivi del successo dei BTS: essere stati capaci di rappresentare la coscienza sociale del K-pop, riuscendo esprimere onestamente opinioni su argomenti che ritengono importanti, nonostante la cornice della società coreana, di stampo conservatore, esplorando così temi che la maggior parte degli artisti K-pop sceglie di evitare.
L’impegno sociale dei BTS
Questo aspetto è stato sfruttato in maniera positiva per utilizzarli come “ambasciatori” per temi di grande rilevanza: nel 2018 sono stati invitati dall’ONU a tenere un discorso, rivolto ai loro fan e ai giovani di tutto il mondo, e nel 2021 hanno partecipato alla 76ª assemblea generale delle Nazioni Unite, in qualità di inviati speciali del Presidente sudcoreano Moon Jae-in. In questa occasione gireranno, proprio nella sede dell’ONU, una videoclip di uno dei loro pezzi più rappresentativi di questa cifra impegnata e consapevole: il brano “Permission to dance”, che in qualche modo ci ricorda il desiderio di libertà dei ragazzi espresso nel film “Footloose” (a distanza di quasi 40 anni!)
Se volete vedere il video originale della canzone, certamente più esemplificativo del perfezionismo visivo/coreografico del gruppo, lo trovate qui
Nel 2022 vengono ricevuti alla Casa bianca dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, affrontando argomenti come l’inclusione e la diversità, e dibattendo sui crimini d’odio e di discriminazione contro gli asiatici
Non è un caso che tutta l’industria che ruota intorno al K-pop sia andata in crisi quando questi ragazzi sono stati costretti a interrompere le attività per prestare il servizio militare obbligatorio nel 2023!
In realtà, nonostante l’assenza dei BTS sia sicuramente un elemento rilevante, le ragioni della cosiddetta “crisi” del K-pop sono più profonde, e per capirle è necessario fare una analisi del mondo che ruota intorno a questi artisti e della mentalità della popolazione coreana.
Peculiarità del K-pop
Oggi nel K-pop i gruppi sono di fatto “prefabbricati”: al contrario di quanto succede nell’industria discografica occidentale, dove sono le etichette discografiche che mostrano interesse quando qualche giovane artista inizia ad avere successo online, nel mondo del K-pop sono i giovani, che aspirano a diventare “idols”, che inseguono le etichette e si sottopongono ad audizioni.
Se vengono “scelti” entrano a far parte di un meccanismo basato su una vera e propria “costruzione” del personaggio. Si esercitano per mesi, se non per anni, prima di iniziare ad esibirsi: devono risultare “perfetti” sotto tutti i punti di vista, sia musicale che “estetico”. In questo processo non si “plasmano” solo i singoli, ma si formano, in maniera studiata a tavolino, anche i “gruppi”: negli ultimi anni più di 240 gruppi, alcuni anche di grandi dimensioni hanno fatto il loro debutto. Anche i gruppi sono studiati appositamente per il “successo”. Per fare un esempio, ci sono gruppi con un numero elevato di membri, in modo da poter dividere la formazione in due e condurre tour contemporaneamente in due nazioni.
Fan e idols
A fronte di questa pressione sugli artisti, bisogna anche considerare la mentalità dei loro fan, che in determinati casi raggiunge livelli di ossessione morbosa e quasi tossica. In Corea del Sud si dà per scontato che gli “idols” debbano dedicare tutto il proprio tempo e tutte le proprie energie alla carriera e ai loro fan. Ogni “deviazione”, ogni distrazione da questo obiettivo è considerato un tradimento! Al punto che le agenzie che gestiscono gli artisti sconsigliano loro (se addirittura non lo vietano contrattualmente) di intrattenere rapporti sentimentali, perché la cosa verrebbe percepita come un “tradimento” da parte dei fan, cosa accaduta per esempio all’artista Karina, membro del gruppo delle Aespa, che aveva rivelato la sua relazione con l’attore sudcoreano Lee Jae-wook.
La crescente riluttanza degli artisti, entrati a contatto con il mondo occidentale e con la sua maggiore “apertura”, a rinunciare a vivere la propria vita per i fan, è diventato un motivo di disaffezione contribuendo a diminuire la popolarità del K-pop in Corea del Sud.
La crisi del K-pop
In realtà proprio il crescente contatto del K-pop, anche da un punto di vista musicale e delle tematiche, con il mondo occidentale, è probabilmente il primo motivo della crisi degli ultimi anni, che si è concretizzata nella difficoltà, per le nuove band di K-pop, a entrare nelle classifiche nazionali, e nel calo dei rendimenti delle azioni delle principali agenzie del settore, e dei ricavi derivanti dalla vendita dei dischi. C’è chi addirittura inizia a parlare di “bolla del K-pop”, rendendo gli investitori decisamente nervosi!
È proprio l’internazionalizzazione del K-pop ed il suo successo sul mercato internazionale a costituire un’arma a doppio taglio: dopo il successo di Gangnam Style i gruppi K-pop hanno iniziato a scrivere canzoni in inglese, ad ammiccare allo stile musicale occidentale e a programmare tour in occidente, iniziando dagli USA. Questo in qualche modo li ha fatti allontanare dalle proprie radici: paradossalmente gli stessi BTS sono più “visti” (in termini di visualizzazioni youtube) all’estero che in Corea del Sud, che occupa solo la sesta posizione in questa graduatoria, dietro Stati Uniti, Messico, Indonesia, India e Giappone.
L’occidentalizzazione del K-pop
Basta vedere l’evoluzione della musica degli stessi BTS per rendersi conto che a partire dal 2020 la loro immagine è di fatto “internazionale”, avendo perso ogni connotazione specifica sudcoreana.
Questo processo si è accompagnato alla sempre più frequente collaborazione dei gruppi K-pop con musicisti occidentali, oltre che dalla creazione di band K-pop con membri non sudcoreani.
Infine possiamo vedere come alcuni degli artisti più influenti abbiano iniziato ad allontanarsi dal genere, magari intraprendendo carriere soliste. Un esempio è quello di Jungkook, uno dei membri del BTS. Nella sua carriera da solista, si trovano suoni e ambientazioni assai differenti da quelle del K-pop. E senza perdere in qualità (Golden, il suo album di debutto, è stato molto apprezzato dalla critica inglese e americana), l’artista ha saputo trovare il successo anche allontanandosi drasticamente dalle proprie radici.
Siamo veramente in presenza di una “bolla” in procinto di esplodere o l’annunciato ritorno dei BTS nel 2025 rimetterà le cose a posto nell’ambiente del K-pop?
Probabilmente il processo non sarà così radicale: la cultura Sudcoreana inizierà, anche grazie alla occidentalizzazione del K-pop, ad assorbire valori e modelli della cultura occidentale, così come noi in occidente stiamo iniziando a “capire” la cultura orientale, bombardati dalla musica, ma anche dai “K-Drama”, le serie tv coreane, che ci mostrano un modello di società e di comportamenti decisamente diverso dal nostro. Sarà un processo di evoluzione e globalizzazione “reciproco”, che avverrà anche grazie a un linguaggio universale, che non necessita di traduzioni: la musica!
Emilio Giovenale, fisico, ricercatore ENEA e comunicatore della scienza.
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