Pitagora e la musica

Pitagora e la musica

Di Emilio Giovenale    
Tra i meriti di Pitagora c’è il contributo fornito alla costruzione di un sistema scientifico, che costituirà la base della musica occidentale. Pitagora svolge un’opera doppiamente meritoria, attribuendo alla musica quella concezione di elemento creatore , sulla base di una concezione “divina” della matematica. Egli coglie infatti l’aspetto “mistico” della musica, come rivelazione di un disegno matematico/geometrico del cosmo, riservato agli adepti del culto pitagorico, un intreccio tra filosofia e religione.

La leggenda

La leggenda racconta che Pitagora, passando davanti alla bottega di un fabbro, notasse che il suono emesso dai martelli che colpivano un’incudine, era diverso a seconda del martello usato, e che alcuni suoni emessi risultavano in sintonia tra loro, mentre altri stridevano (oggi li diremmo “consonanti” e “dissonanti”). Procedette quindi ad effettuare degli esperimenti con martelli di diverso peso e con corde tese di diversa lunghezza, ottenendo degli stupefacenti risultati in termini dei rapporti matematici tra le lunghezze delle corde o della loro tensione e in relazione alle note emesse. Per esempio scoprì che risultavano piacevoli i suoni emessi da due corde il cui rapporto di lunghezze era 1:2 (che corrisponde a suonare la stessa nota su due “ottave” differenti) e 2:3 (intervallo di quinta), o di 3:4 (intervallo di quarta).

Espandendo questi risultati Pitagora fu in grado di elaborare la cosiddetta “scala pitagorica”, composta dalle sette note che oggi tutti conosciamo, che, con le successive evoluzioni e modificazioni (scala naturale, temperamento…) costituisce la base della musica occidentale.

Armonie e dissonanze

Pitagora ci dice che alcuni suoni sono in un rapporto tale tra loro da risultare piacevoli, e questo fenomeno ha in realtà un base di carattere fisico ed antropologico/evoluzionistico.
L’emissione di un suono in natura avviene sulla base di un trasferimento di energia meccanica da uno strumento emettitore all’aria, come onda di pressione, e la sua percezione segue il percorso inverso, con il nostro orecchio che converte quest’onda in un movimento meccanico, opportunamente amplificato dalle nostre strutture auricolari, per essere infine convertito in un segnale elettrico interpretabile dal nostro cervello.

Gli armonici

Tuttavia l’emissione di un suono “puro”, vale a dire composto da una singola frequenza, di fatto non si realizza mai in natura: ogni strumento, sia esso naturale, come la nostra voce o il canto di un uccello, o artificiale, come una corda tesa che vibra, oltre a emettere una frequenza principale, detta fondamentale, emette, con intensità ridotta, anche un gran numero di “armoniche” (o “armonici”, nel lessico musicale), cioè di frequenze multiple della fondamentale con multiplo n intero.

Per esempio se la nota emessa è un Do (261,6 Hz), la sua armonica con n=2 sarà il Do della ottava superiore (a 523,2 Hz), la successiva armonica per n=3 sarà il Sol subito sopra (a 784,8 Hz), poi per n=4 il Do della ottava successiva, e per n=5 il Mi subito sopra. Di fatto le note emesse sono Do, Mi e Sol, vale a dire le note che compongono l’accordo di Do maggiore, che il nostro cervello interpreta come “consonanti” e piacevoli all’orecchio.
E risultano piacevoli perché sono in un rapporto che è lo stesso per qualunque suono venga emesso in natura, e siamo abituati a sentirle così fin dalla nascita. Quindi in qualche modo sono l’”impronta” della natura (e qui entra in gioco la visione Pitagorica) e noi la “riconosciamo” come piacevole.

Vale la pena di far notare che l’intensità di ogni singolo armonico dipende dalle caratteristiche dello strumento che lo emette, e la loro intensità contribuisce a caratterizzare il “timbro” dello strumento, e ci fa capire perché l’uso di legni e lacche particolari, che esaltano o attenuano specifiche frequenze, rende un violino Stradivari uno strumento migliore di altri di analoga progettazione.

Emilio Giovenale, fisico, ricercatore ENEA e comunicatore della scienza.

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