Infodemia

La comunicazione del Covid nel libro “Pandemia e Infodemia” di Marco Ferrazzoli e Giovanni Maga. Marco Ferrazzoli sui concetti di verità assoluta, polarizzazione e infodemia al tempo della pandemia.

Quello della comunicazione e dei media è un ruolo decisivo per la formazione di una società consapevole e in salute. Lo si è visto in questi due anni di pandemia di Covid-19, nel corso dei quali l’infodemia, ovvero la quantità eccessiva di informazioni non sempre chiare e affidabili, ha prodotto nella popolazione incertezza e soprattutto una polarizzazione amplificata dai social media, dando luogo finanche a forme di fanatismo e complottismo. Le responsabilità sono ovviamente da ripartire anche con la stessa comunità scientifica, che non ha sempre saputo smarcarsi dal gioco delle fazioni. Ce ne parla Marco Ferrazzoli, che insieme a Giovanni Maga, nel loro nuovo libro ripercorrono il connubio pandemia-infodemia cercando al contempo di fornirci utili consigli per una corretta comunicazione e divulgazione della scienza e per far sì che ad avere la meglio sia sempre e comunque il nostro spirito critico. 

Mentre con Giovanni Maga lavoravamo al nostro libro ci aveva sfiorato il dubbio di uscire fuori tempo massimo, con il Covid-19 notizia non più “di apertura”, ma la cronaca ci ha ampiamente smentiti, confermando l’attualità non solo della pandemia, con l’ininterrotta (anche se altalenante) progressione di contagi, ricoveri e decessi, ma soprattutto dell’infodemia, con la confusione e i contrasti che regnano sovrani. Questi due termini, ricordiamo, sono abbinati sia nel titolo che abbiamo concordato con Zanichelli “Pandemia e infodemia. Come il virus viaggia con l’informazione”, sia nelle definizioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che invita a considerare complessivamente la convergenza tra i due fenomeni. Se la conoscenza è il bene primario delle società complesse e globalizzate contemporanee, la comunicazione rappresenta infatti un detonatore potente, capace di far deflagrare criticità, fragilità e svantaggi. Dopo due anni, percepiamo ancora un diffuso sentimento di confusione, sconforto, incertezza, nel quale si inserisce una quota di negazionismo e complottismo ideologici, che però non deve farci stigmatizzare l’intero fronte della perplessità, alla quale va invece riconosciuta comprensione. Una contingenza come questa pandemia imporrebbe un pieno coinvolgimento pubblico e non solo la mera trasmissione di dati e indicazioni. Dovremmo cioè affrancarci dal deficit model che condiziona le relazioni tra media, istituzioni, cittadinanza e comunità scientifica, secondo cui basta enunciare una corretta spiegazione per colmare magicamente l’ignoranza e convincere l’interlocutore della realtà dei fatti. Le cose non sono così semplici. Pensiamo solo ai dubbi sull’origine di questa pandemia. Quella naturale è sicuramente la più probabile. Lo spillover, il salto di specie degli agenti patogeni da animali immunizzati all’essere umano, con insorgenza di malattie anche molto gravi, va anzi considerato una ricorrenza sempre più prevedibile, a causa della globalizzazione e dell’antropizzazione crescenti. Così sarebbe bene ricordare la prelazione e la prevalenza che i microrganismi vantano come abitanti del nostro pianeta e l’incidenza che hanno assunto nella storia umana, incluse le tracce disseminate nella nostra letteratura: dall’Iliade a Manzoni e Boccaccio, fino al Novecento con Mann, Camus, Malaparte. Detto ciò, dobbiamo però ricordare che le autorità cinesi non hanno offerto alla commissione dell’Oms tutto il supporto necessario per fugare qualunque dubbio riguardo alle ipotesi più fantasiose sulle modalità e le finalità dell’inizio del contagio. Se vogliamo convincere – nel senso etimologico e profondo di affrontare e superare tutti assieme il nemico comune – scettici ed esitanti, bisogna cambiare le relazioni tra i soggetti coinvolti dalla pandemia. La costrizione, purtroppo talvolta indispensabile come extrema ratio, è sempre il segno di un fallimento: qualunque norma imposta top down, aggravata da sanzioni, non fa che attestare la presenza di un illecito e l’incapacità di prevenirlo. Molto più facile a dirsi che a farsi, ovviamente, proviamo però ad abbozzare qualche suggerimento. La quantità di informazioni circolanti è ingestibile per chiunque e troppo spalmata in orizzontale: occorrerebbe ridurle, senza coartare la sacrosanta libertà di espressione del pensiero, e gerarchizzarle come accade per le pubblicazioni scientifiche e per i loro autori, di cui chiunque può misurare l’autorevolezza. Per esempio, mettendo più e meglio a disposizione dei cittadini i cluster ufficiali dei dati disponibili, evitando un “day by day” che non ha utilità scientifica né logistica, e invitando i giornalisti a usare i ranking degli scienziati prima di invitare e presentare un “esperto” sul tema. Il problema più evidente è poi forse la polarizzazione. Contrapponendo verità apodittiche si ottiene solo l’effetto di sollevare ondate emotive sinusoidali, tra ottimismo e catastrofismo. Dopo due anni, l’ottica dovrebbe mutare, consentirci di traguardare l’uscita dall’“emergenza”, come strategia e come lessico, per diffondere una migliore consapevolezza della necessaria convivenza con questo tipo di problematiche sanitarie. Le responsabilità dell’infodemia sono ovviamente distribuite. A partire da quelle della comunità scientifica, che si è prestata al gioco degli opposti estremismi, persino a forme comunicative polarizzate e rissose, che naturalmente compromettono la corretta comprensione dei fatti. I media hanno privilegiato queste contrapposizioni manichee, in nome di una malintesa par condicio, rispetto all’articolazione della realtà basata sui dati di fatto, contribuendo a quell’infodemia di cui i social media sono sempre l’amplificatore. Sono poi stati insufficienti, da subito e ancora oggi, l’esercizio del dubbio e la trasparente ammissione dell’insufficienza delle conoscenze su questo fenomeno virale. Pensiamo a un tema molto diverso, la produzione di energia nucleare. Un’opzione tornata di attualità nonostante il mood non favorevole e, in Italia, due bocciature referendarie, giunte sotto la spinta emotiva degli incidenti di Chernobyl e Fukushima. Gli obiettivi di decarbonizzazione posti a livello nazionale e globale per contenere e contrastare i cambiamenti climatici comportano infatti problematiche energetiche tali da riprendere in considerazione anche questa fonte. L’esempio aiuta a capire come, su argomenti tanto complessi, il contributo della conoscenza tecnico-scientifica alle decisioni di istituzioni e cittadini è relativo allo scenario nel quale ci si muove. Il nucleare è una scelta con benefici e costi, vantaggi e rischi: sono i mutamenti delle condizioni a spostare l’ago della bilancia. Anche per la pandemia l’expertise scientifica va proposta nel suo valore relativo e progressivo, non come verità assoluta o assertiva, se vogliamo aiutare i pubblici ad affrontare il pericolo del contagio, le restrizioni che esso impone e la politica vaccinale. La conoscenza, per quanto faticosa, va assunta quale base di una cittadinanza democratica consapevole, al passo con tempi che conoscono evoluzioni repentine e profonde. In questo le pandemie, con la loro ricorrenza quasi ciclica, sono un catalizzatore e un monito a considerare la globalizzazione di beni e persone: se in precedenti occasioni la parte fortunata di mondo che abitiamo non era stata travolta, ora la Covid-19 ci ricorda che l’“occidente avanzato” non gode di alcuna esenzione. Non esistono ricette miracolose né sono utili pagelle con bocciature o promozioni, ma rispetto a ciò che si è fatto dobbiamo riflettere e costruire un pensiero più riflessivo, ragionevole, dubitativo. Nel processo a rete della comunicazione, i media dovrebbero traguardare un feedback che non sia il numero di like o l’audience ma il “bene comune”, che però nel caso della pandemia consiste nel “male minore” rispetto alle infinite implicazioni sanitarie, economiche, occupazionali, relazionali, sociali. Soltanto un rigoroso e faticoso esercizio critico ci può orientare in questo dedalo. Si pensi alle persone sofferenti di altre patologie e fragilità, che ottengono risposte minori perché il sistema sanitario è travolto dallo “tsunami pandemico”. Oppure alla didattica a distanza, dove sono giuste entrambe le posizioni, quella attenta all’interazione diretta quale fondamento della didattica e quella attenta all’inserimento nei modelli scolastici e universitari di tecnologie che possono arricchire l’offerta formativa.

Con Giovanni Maga proponiamo nel libro, molto sommessamente, un modello di relazione. Un dialogo tra uno scienziato esperto del tema, con una spiccata sensibilità verso la divulgazione, e un giornalista di formazione non scientifica che svolge il mestiere di mediatore tra ricercatori e mass media, colleghi al Cnr rispettivamente come direttore dell’Istituto di genetica molecolare e capo Ufficio stampa.

Marco Ferrazzoli, Giornalista e Capo ufficio stampa Consiglio Nazionale delle Ricerche Cnr

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