kramer contro kramer

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Enrico Alleva, già direttore del centro Iss “scienze comportamentali e salute mentale”, ripercorre cinquant’anni di vita all’istituto di genetica della Sapienza università di Roma: l’ammissione, l’ambiente culturale, il rapporto con i professori e in particolare con il professor Giuseppe Montalenti

Entrare nel 1973 interno all’Istituto di genetica non era in fondo così facile. La trafila, oserei dire quasi “sentimentale”, era quella di seguire con diligenza alcuni dei corsi soprattutto quello dell’allora direttore dell’Istituto, il professore Giuseppe Montalenti: che teneva uno splendido corso di genetica dove la storia della disciplina e financo i ritratti degli scienziati integravano una spiegazione dei principi della genetica di quegli anni, ancora scevri di tanta genetica molecolare, degli anni successivi. Il testo di genetica di Montalenti edito dalla UTET era ed è ancora un libro magnifico, da leggere o almeno da sfogliare, con la sua elegantissima iconografia sabauda e una prosa tanto asciutta quanto didatticamente efficace. 

per essere ammessi all’internato all’Istituto di genetica esistevano alcune sottaciute golden rules di cui si bisbigliava nei corridoi

Per essere ammessi all’internato esistevano alcune sottaciute golden rules di cui si bisbigliava nei corridoi. Bisognava inserire nel curriculum di studi l’esame o di storia o di filosofia della scienza. Era un pleasant duty, un obbligo a cui tutti quanti soggiacevamo volentieri. Molti di noi hanno così sostenuto l’esame di filosofia della scienza con il prof. Vittori Somenzi, fisico nonché già  direttore dei servizi meteorologici dell’aeronautica militare, poi captato  a Sapienza da Mario Ageno, Giuseppe Montalenti e altri docenti della Sapienza. Altra storica figura, e capostipite di una scuola di rango.

In quegli anni con me interni entrarono Elisabetta Visalberghi, Paola Salvini e Pietro Comba; stava uscendo Margherita Bignami. I senior borsisti erano Loreto Rossi e la già attivissima Anna Elisa Fano, poi a lungo all’università di Ferrara dopo uno stage alla idrobiologia  Pollenzo, sotto la ferrea guida di  colei che era detta “la Golda Meir dell’ecologia” in quegli anni primigenii della materia.

«ma questo Montalenti, che vuole assolutamente insegnare genetica. La genetica è una moda americana, che passerà»

Guido Modiano e Luciano Terrenato erano i docenti che più interagivano con noi giovani appena entrati studenti, intrisi di glorioso sessantottismo. Ovviamente per l’internato avere una media elevata era un requisito essenziale, ça va sans dire.

Montalenti l’ho frequentato fin quando è stato ricoverato per un grave enfisema al policlinico Gemelli, poco prima che ci lasciasse. Passavo nella sua bella casa di via Asmara, parlavamo delle lamprede nel Tevere, di conservazione di specie vertebrate. Ho raccolto quindi alcune storie che mi ha chiesto esplicitamente, davanti a Elisabetta Visalberghi, che mi accompagnava in queste visite ospedaliere, di raccontare. “Lei lo deve dire Alleva, quando proposi di insegnare genetica c’è chi disse, ma io sinceramente non ricordo i nomi, che la genetica non meritava di essere un insegnamento separato essendo visibilmente una parte della Zoologia”. Qualcun altro sogghignò: “Ma questo Montalenti, che vuole assolutamente insegnare genetica. La genetica è una moda americana, che passerà”. “Non è passata vero, Alleva?” mi diceva, con quel suo fare burbero ma estremamente convincente. Sorridendo, mai sogghignando. Un giorno mi regalò il suo retino, cimelio entomologico che mi scaldò il cuore a lungo.

In quegli anni si profilava un’ombra che veniva considerata malvagia all’Istituto di genetica, cioè che Amintore Fanfani diventasse presidente della Repubblica. Fanfani nelle sue schiere di scienziati, anche valenti, annoverava alcuni anti-darwinisti pervicaci. Era quindi un timore non casuale per Montalenti, alfiere del darwinismo in Italia, e anche questo mi diceva: “si ricordi Alleva, che non sono solamente i preti contrari al darwinismo, bisogna stare anche attenti ai fisici…”. 

«si ricordi Alleva, che non sono solamente i preti contrari al darwinismo, bisogna stare anche attenti ai fisici…»

Ricordo una ultima visita a Montalenti malato, insieme a noi c’era un noto zoologo, caposcuola, accademicamente molto potente, si lamentava dei danni che gli studenti avevano fatto durante una occupazione. Montalenti aveva la mascherina per l’ossigeno ma conoscendolo da tanti anni, vidi che i suoi occhi si iniettavano di sangue. Era un uomo molto elegante e molto sobrio ma altrettanto capace di furie contenute ma non per questo di minore intensità. Si strappò la mascherina e disse: “fanno benissimo a protestare per quel poco che noi gli diamo”. 

Un altro ritornello di Montalenti era “si ricordi Alleva che il ministro Gui faceva sul serio”. Ci tengo a ricordare che Montalenti lo vedeva come un riformista attento e sollecito nei confronti della comunità scientifica che Montalenti rappresentava. E Montalenti scriveva su L’Unità.

Montalenti fu candidato rettore a Sapienza delle “sinistre”, perennemente sconfitto da candidati centristi, quando non apertamente destrorsi

Montalenti fu candidato rettore a Sapienza dalle “sinistre”, perennemente sconfitto da candidati centristi, quando non apertamente destrorsi. Poi miracolosamente, così raccontano gli accademici dei lincei più anziani, socialisti e comunisti si misero d’accordo e a Siena votarono in coro rettore Luigi Berlinguer, giurista. Poi questo stesso accordo venne “esportato” a Roma e Antonio Ruberti diventò il magnifico rettore che poi è stato, secondo alcuni ancora memorabile per capacità riformista e ingegneristica sagacia nella riorganizzazione del più grande ateneo d’Europa.  Poi ministro che separò università da ricerca, con grande gaudio e ancora celebrata efficacia.

Enrico Alleva, neuroscienziato comportamentale, già direttore del Centro Iss “scienze comportamentali e salute mentale” SCIC, presso l’istituto superiore di sanità