microplasticamente

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Gli incontri “Nature and Politics” organizzati dal master “la scienza nella pratica giornalistica” della Sapienza università di Roma e promossi dal National Biodiversity Future Center sono stati l’occasione per discutere della crisi della biodiversità insieme a Elena Casetta, filosofa morale, ricercatrice a tempo determinato di tipo B dell’università di Torino. Scopriamo così che le attività umane hanno un impatto profondo sulle alterazioni degli habitat marini e delle specie che li popolano, in particolare nel contribuire alla creazione di nuovi ecosistemi antropici caratterizzati dalla presenza di plastica

C’è un certo consenso scientifico sul fatto che ci sia una crisi della biodiversità”. Così ha esordito Elena Casetta, filosofa morale all’università di Torino, nel suo intervento sulla storia della biodiversità in occasione degli incontri “Nature and Politics” organizzati dal master “la scienza nella pratica giornalistica” dalla Sapienza università di Roma e promossi dal National Biodiversity Future Center. Il concetto di biodiversità compare per la prima volta nel 1985 come contrazione dell’espressione biological diversity. Padre del termine è Walter Rosen, che coniò l’espressione durante la preparazione della conferenza The National Forum on BioDiversity, tenutasi nel 1986 a Washington con l’obiettivo di mettere in evidenza il problema della perdita delle specie. La definizione ufficiale compare invece soltanto nel 1992 in occasione della Conferenza dell’ONU su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro. Come si legge nel testo, la biodiversità consiste in “ogni tipo di variabilità tra gli organismi viventi, compresi, tra gli altri, gli ecosistemi terrestri, marini e altri acquatici e i complessi ecologici di cui essi sono parte; essa comprende la diversità entro specie, tra specie e tra ecosistemi”. Oggi, nonostante il mondo scientifico non condivida una definizione univoca di biodiversità, una cosa è certa: è in crisi.

il concetto di biodiversità compare per la prima volta nel 1985 come contrazione dell’espressione biological diversity

“Nel rapporto IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform for Biodiversity and Ecosystem Services) troviamo che la maggior parte degli indicatori che analizzano ecosistemi e biodiversità mostrano un rapido declino, e che il tasso globale di estinzione delle specie è centinaia di volte superiore al tasso medio degli ultimi 10 milioni di anni”. Con queste parole, Casetta descrive il problema che affligge la biodiversità. Ma quali sono le cause di questa crisi? “[Esse] sono descritte dall’acronimo HIPPO (Habitat, Invasive, Pollution, Population, Overuse) –  ippopotamo (NdR non a caso una specie vulnerabile) – distruzione degli habitat, specie invasive, inquinamento, aumento della popolazione umana, sovrasfruttamento delle risorse. Le cause, quindi, sono prevalentemente antropiche, connesse al comportamento umano e alla rapida crescita della nostra specie”.

l’impatto delle attività umane è diventato sempre più preponderante. Questo ha contribuito alla creazione di nuovi ecosistemi antropici, spesso caratterizzati dalla presenza predominante della plastica

La biodiversità è importante per la regolazione della vita sulla Terra, rappresentando la varietà di tutte le forme di vita che la popolano. Tuttavia, negli ultimi decenni, l’impatto delle attività umane è diventato sempre più preponderante. L’espansione delle capacità industriali, insieme all’uso indiscriminato di risorse naturali e alla diffusione di sostanze inquinanti, ha avuto un effetto considerevole sugli ecosistemi globali. Questo impatto ha anche contribuito alla creazione di nuovi ecosistemi antropici, spesso caratterizzati dalla presenza predominante della plastica. Ogni anno vengono infatti prodotte più di 400 milioni di tonnellate di plastica di cui almeno 14 milioni di tonnellate finiscono negli oceani sotto forma di detriti. 

Tutta la plastica prodotta fino a oggi è ancora presente. Molta arriva sulle coste e in mare tramite il deflusso delle acque, gli straripamenti, la gestione inadeguata dei rifiuti urbani e industriali, ma anche dalla pesca e da tutte le attività nautiche. Ad oggi questo materiale rappresenta l’80% di tutti i detriti marini. Già nel 2016, il report della Fondazione Ellen MacArthur presentato anche al World Economic Forum dello stesso anno, aveva mostrato come entro il 2050 il mare potrebbe contenere più plastica che pesci (in termini di peso). Inoltre, sotto l’influenza degli agenti geo-fisici e meteorologici come le radiazioni UV, la plastica si degrada in microplastiche e nanoplastiche che possono essere ingerite accidentalmente dalla fauna marina.

ogni anno vengono prodotte più di 400 milioni di tonnellate di plastica di cui almeno 14 milioni di tonnellate finiscono negli oceani sotto forma di detriti

Negli ultimi anni il problema dell’alterazione degli ecosistemi e della biodiversità è stato oggetto di numerosi studi scientifici volti a comprendere quanto l’azione umana stia contribuendo a questo processo e con quali risultati. A tal proposito, un recente studio pubblicato su Nature Ecology & Evolution ha portato alla luce un risultato inaspettato. Analizzando 105 pezzi di plastica raccolti nel Great Pacific Garbage Patch (un enorme accumulo di spazzatura galleggiante situato nell’oceano Pacifico), il gruppo di ricercatori che ha condotto lo studio ha individuato 484 organismi marini invertebrati appartenenti a 46 specie diverse. 

La presenza di un numero così elevato di specie in un habitat così poco ospitale fornirebbe già di per sé dati di studio interessanti. Ma c’è di più: l’80% degli organismi identificati appartiene a specie marine solitamente rinvenute in zone costiere e non in oceano aperto. In che modo gli organismi non autoctoni hanno raggiunto l’oceano e come sono sopravvissuti rimane un aspetto da chiarire. Ciò che è evidente, invece, è che l’impatto delle azioni umane sta alterando radicalmente gli habitat marini e le specie che li abitano.

Enrica Pia Bellotti, Lucia Bucciarelli, Viviana Couto Sayalero, Luciano Massobrio, Celeste Ottaviani, student* del master “la scienza nella pratica giornalistica” presso il dipartimento  di biologia e biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza https://web.uniroma1.it/mastersgp/