Resolution Revolution

di Diego Parini e Mattia La Torre

Quanto riusciamo a vedere piccolo? Un viaggio alla scoperta del CNIS, Centro di ricerca per le Nanotecnologie applicate all’Ingegneria di Sapienza, dalla struttura ai microscopi in un dialogo con Antonio D’Alessandro e Luciana Dini.

Sapienza, CNIS, gennaio 2022. Accompagnati da Antonio D’Alessandro, Direttore del Centro di Nanotecnologie applicate all’Ingegneria di Sapienza, Luciana Dini ed esperti di microscopia, entriamo all’interno del centro, alla scoperta dei microscopi e delle nanotecnologie.

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Antonio D’Alessandro

1. Direttore, ci spieghi perché Sapienza necessitava di un centro di ricerca sulle nanotecnologie? Da dove si è partiti? 

Il CNIS, Centro di Nanotecnologie applicate all’Ingegneria di Sapienza, è nato nel 2006 da un gruppo di docenti, guidato dall’attuale Prorettrice alla Ricerca Sabrina Sarto, prima direttrice del centro. Sono dieci anni che esiste il laboratorio di nanotecnologie e nanoscienze (SNN). Nel 2011 infatti, il già Rettore Frati ha assegnato questi spazi per creare il laboratorio, che man mano sono stati riempiti con strumentazioni, grazie a progetti finanziati dall’Ateneo. All’inizio si faceva rete tra docenti e laboratori per collegare i gruppi che si occupavano di nanotecnologie, per fare massa critica. Da questa comunità è nato successivamente anche il corso di laurea magistrale in Ingegneria delle nanotecnologie, di cui è presidente il Prof. Rossi. Un lavoro interdisciplinare che mancava, ma mancava soprattutto una struttura come il centro. Sapienza ha voluto potenziare queste collaborazioni, e quindi noi abbiamo onere o onore di gestire questa struttura dove fisicamente si possono realizzare diverse linee di ricerca. Nel corso degli anni, sono stati fatti diversi lavori in questi locali che facevano parte di un edificio del Policlinico, con il fine di realizzare una struttura progettata e adattata per poter ospitare queste attrezzature. Sia il centro, sia la tecnologia, sono in continua evoluzione. Sono presenti anche altri locali che verranno acquisiti dal CNIS, con una possibile evoluzione del laboratorio. Non c’è un limite all’evoluzione, ma lo sforzo principale è riuscire a rimanere al passo e produrre ricerca, utilizzando questi strumenti.

2. A chi è rivolto questo centro? Che impatto ha il CNIS sulle ricerche Sapienza?

Questa struttura coinvolge ben 16 Dipartimenti e appartiene ad una facility condivisa di Sapienza, affidata al CNIS, sempre con un approccio di condivisione. La gestione comporta, ad esempio, la regolamentazione dell’uso dei macchinari a disposizioni dei ricercatori di Sapienza. Siamo organizzati attraverso un comitato direttivo e tecnico. All’interno del centro ci sono diversi “sotto laboratori” coordinati ciascuno da un piccolo gruppo di responsabili scientifici. La partecipazione avviene tramite una membership dipartimentale, ovvero si acquisisce un monte ore per l’utilizzo della strumentazione. Il pagamento della membership è al tempo stesso una fonte di finanziamento del laboratorio, per la manutenzione e l’aggiornamento di questi macchinari. Bisogna sottolineare che sono molteplici le aree a cui il centro fa riferimento. Lo zoccolo duro è ingegneria, sono infatti presenti quasi tutti i Dipartimenti di ingegneria, ma anche l’area scientifica, fisica, chimica, archeologica (si fanno indagini sui reperti archeologici dei materiali depositati sui reperti), medicina (diagnosi e terapie della somministrazione dei farmaci, alcuni dispositivi si basano proprio su proprietà nanometriche dei materiali). L’insieme delle aree mette in luce il carattere interdisciplinare delle nanotecnologie e nanoscienze.

3. Perché è importante studiare le nanotecnologie e che sviluppi hanno sulla vita normale “a grandezza uomo”?

Ci si è resi conto che diverse proprietà macroscopiche dei materiali, proprietà ottiche, meccaniche ma anche elettriche, dipendono, alla fine, dalla struttura alla nanoscala dei materiali stessi. Per questo motivo siamo spinti a studiare le nanostrutture e quindi utilizzare la nanotecnologia. Un esempio ce lo porta direttamente la natura, per certi versi, sebbene le nanostrutture siano artificiali. Infatti, noi le ricreiamo ma prendendo proprio spunto dalla natura. Il colore delle ali delle farfalle, spiccatamente acceso e vivo, è dovuto alla diffrazione della luce attraverso le nanostrutture che compongono la superficie dell’ala stessa. Oppure, il camaleonte che cambia colore, dipende da come riesce a modificare a livello nanometrico la superficie della sua pelle. Molti tessuti moderni, come le cosiddette microfibre, per esempio, hanno delle proprietà specifiche legate alla struttura nanometrica dei materiali che le compongono. Ormai le nanotecnologie sono un percorso obbligato per la creazione di nuovi materiali. Un’altra applicazione, sono tutte le strutture in grado di accumulare energia con la tecnica dell’harvesting energy, basate anch’esse su strutture nanometriche. Qui, lavoriamo molto con il grafene che viene utilizzato per schermare le apparecchiature elettroniche, ad esempio, viene utilizzato per creare vernici speciali per aerei, per non essere inquinati dalle radiazioni elettromagnetiche, che, sono presenti ovunque e ne siamo immersi.

Luciana Dini

Professoressa Dini, lei è Professoressa Ordinaria di Anatomia Comparata e Citologia in Sapienza, e da anni si occupa di microscopia. Ci può spiegare perché il CNIS può essere importante per la biologia? 

Tutta questa strumentazione, presente in questo centro e altamente tecnologica, può essere sfruttata nel modo migliore anche per la biologia. Qui al CNIS, gli strumenti prettamente dedicati alla biologia sono l’APOTOME, e l’ultramicrotomo, che vedremo più avanti. Ma la presenza di strumenti così diversi anche nel tipo di applicazioni rende entusiasmante il progetto CNIS, e utile anche per la biologia. È chiaro che esistono delle limitazioni. Chi fa ricerca biologica, avendo a che fare con un materiale più delicato e più complesso, soprattutto perché legato al concetto di vita e di acqua, si trova di fronte al “problema acqua”. In effetti, c’è una parte preparativa per la parte biologica estremamente complessa. Tuttavia, lo sforzo e la pazienza nel mettere insieme due approcci differenti per riuscire a trovare la soluzione ideale a quesiti di tipo biologico, sta portando degli ottimi risultati. Stiamo infatti cercando di integrare la AFM con la Microtomografia per le applicazioni biologiche – vedi l’approfondimento sui microscopi più avanti (ndr). Mentre, più semplice, non perché più semplice tecnicamente, ma perché le applicazioni sono ormai consolidate nel tempo, è l’utilizzo del SEM o dello STEM per attività biologiche, di routine, o meno. 

Andiamo a fondo con la visita e, accompagnati dal Direttore e da esperti di microscopia, scopriamo i diversi microscopi presenti all’interno del CNIS. 

AURIGA e STEM

Il primo strumento che vi mostro – spiega D’Alessandro – è l’Auriga, uno dei pochi che è nato all’interno del centro, intorno ai progetti finanziati da Sapienza e con il contributo dei fondi della Regione Lazio, che ci hanno dato la possibilità di assemblare questo microscopio. Questo è più di un microscopio elettronico. Si vedono campioni alla scala del nanometro, sia di nanostrutture inorganiche che organiche. Oltretutto è provvisto di moduli esterni, dei sottosistemi, che permettono la realizzazione di svariate analisi di tipo strutturale. Sono presenti dei nano-manipolatori e si possono, limitatamente, fare delle nano fabbricazioni. Inoltre, è presente anche il modulo Focused Ion Beam (fascio ionico focalizzato), ma per i dettagli più specifici, il tipo di applicazioni biologiche e non, rimando a Francesco Mura. 

Lavorare su scala nanometrica – ci spiega Francesco Mura, Ingegnere dei Materiali e delle Materie Prime e responsabile dell’Area Microscopi CNIS – significa riuscire a vedere l’ultrastruttura cellulare in dettaglio fino al nanometro, permettendo di indagare fino in fondo quello che succede all’interno delle cellule, dei batteri, e via dicendo. La tecnologia può essere applicata in tanti ambiti, ad esempio quello medico oppure quello dei semiconduttori, e si sta spingendo sull’analisi di strutture sempre più piccole. All’interno dell’Auriga è presente il modulo Focused Ion Beam che serve a creare delle sezioni trasversali dell’interno del campione, mentre nelle immagini ottenute con microscopi tradizionali si vede solo l’esterno. Parlando ancora dei microscopi del CNIS. Un altro strumento che utilizziamo è lo STEM (microscopio elettronico a scansione e a trasmissione) che, “vede” attraverso, ovviamente su un campione molto sottile, che in ambito biologico funziona molto bene. In questo ambito le analisi sono un po’ diverse. Quasi tutti i microscopi elettronici lavorano in alto vuoto, ciò si fa per evitare che le molecole di aria vadano ad interporsi con il movimento degli elettroni, che sono quelli che poi ti danno l’immagine finale. Quindi, un tessuto biologico deve subire una serie di preparazioni, perché non può essere inserito tale e quale. Nella parte biologica è presente l’acqua, componente strutturale che in qualche modo bisogna sostituire. Per ottenere ciò si possono applicare svariate tecniche e, qualche anno fa è stato dato anche il premio Nobel al cosiddetto CRYO TEM, perché il cryo ti permette di eliminare parte della preparativa: congeli in maniera amorfa tutto quello presente nel campione e lo analizzi così com’è. 

Il Direttore D’Alessandro prima ha parlato di nano-manipolatori. Cosa permettono di fare? 

Nel nostro centro – continua Mura – li usiamo principalmente in due modi: la prima è la misura dei contatti elettrici, con le classiche misure ad infrarossi. Poiché non basta più un microscopio ottico per vedere il circuito ma bisogna avere microscopi elettronici a scansione SEM, oppure addirittura anche a trasmissione TEM (che dovrebbe arrivare in primavera) che hanno una maggiore risoluzione. Il secondo utilizzo, è la preparazione dei campioni per la microscopia a trasmissione elettronica, perché si lavora su spessori non superiori ai 100 nanometri e quindi servono sezioni estremamente sottili. In ambito biologico si fanno con l’ultramicrotomo, mentre, nella scienza dei materiali si fa con il Focused Ion Beam, che con una tecnica chiamata “lift off”, permette di usare il nano-manipolatore per fare delle saldature, estrarre la lamella, posizionarla sui porta-campioni del TEM e poi andarli a osservare al TEM.

Diffrattometro e microscopio a forza atomica

Il diffrattometro – spiega D’Alessandro – permette di vedere la struttura reticolare di cui sono costituiti i materiali, attraverso la diffrazione a raggi x, una tecnica tradizionale che con dei fotorilevatori cattura il segnale che attraversa il campione, riesce a risalire alla struttura reticolare o anche ordinata su scala atomica dei materiali. Mentre, il microscopio a forza atomica AFM (Atomic Force Microscopy), contrariamente al SEM che riesce ad entrare all’interno del campione, si utilizza per studiare la struttura morfologica della superficie dei campioni. Il concetto è semplice, una nano-punta scorre sul campione, come la puntina di un giradischi, montata su un cantilever su cui incide un fascio laser, che collimato, viene riflesso dalla superficie del cantilever. Oscillando il cantilever, man mano che il campione scorre sotto la puntina, sposta il fascio riflesso del laser, e vengono registrate le variazioni del fascio di riflessione. Infine, vengono decodificati i segnali per determinare la morfologia della superficie.  Sono presenti due AFM, uno dei quali è inglobato in una camera dove si può creare un’atmosfera controllata.

Tomografo a raggi X

Questa è l’ultima acquisizione del centro, esattamente un anno fa – Mura introduce il tomografo a raggi X, di cui vedete un dettaglio nella prima pagina di questo articolo. Banalmente, possiamo definirla una “tac per materiali”. Il campione, posto su una base, viene fatto girare e, per ogni piccolo grado di movimento, vengono mandati dei raggi x che vengono raccolti. Raccogliendo tutte le immagini viene ricostruito il campione in tridimensionale. Con l’analisi successiva al computer è possibile analizzare l’interno del materiale, le porosità, evidenziare alcune parti per studiarle in dettaglio. In pratica si può osservare ciò che è presente al centro del materiale senza romperlo. 

TERS (Tip-enhanced Raman spectroscopy) 

La macchina TERS è una strumentazione composta da due elementi – spiega Giancarlo La Penna, dottorando in Modelli Matematici per l’ingegneria, l’elettromagnetismo e nanoscienze, Sapienza. Una è la spettroscopia Raman mentre l’altra è un AFM. Si basa sull’utilizzo di queste due macchine insieme, permettendo un potenziamento dell’effetto Raman. È una macchina molto performante e una tecnologia molto innovativa. Quello Raman è un effetto derivante dall’interazione luce e materia – interviene Chiara Mancini, anche lei dottoranda in Modelli Matematici per l’ingegneria, l’elettromagnetismo e nanoscienze, Sapienza. È un effetto estremamente raro perché è un’interazione anelastica. Viene inviato un fascio laser a determinate lunghezze d’onda sul campione, il quale lo assorbe e riemette, normalmente, ciò che viene assorbito. Nel caso dell’effetto Raman viene ri-emesso dal campione ad una lunghezza d’onda parzialmente diversa da quella di origine, quindi anelastica. L’AFM, concentrando il laser su una punta estremamente piccola, permette di aumentare il campo elettro-magnetico inviato dalla spettroscopia Raman; quindi, localmente si ha una risposta molto più forte rispetto alla Raman tradizionale. Questo è l’unico strumento in questo laboratorio che permette questa tipologia di analisi: una caratterizzazione chimica a temperatura ambiente senza condizioni di vuoto. Basta conoscere il tipo di materiale di partenza o la lunghezza d’onda, perché la risposta dei materiali a quella lunghezza d’onda è sempre la stessa. La risposta dipende dal materiale stesso, così la caratterizzazione è immediata.

APOTOME 

Questo è un microscopio a fluorescenza con un piccolo upgrade – spiega Marco Fidaleo, Ricercatore in Sapienza. Infatti, ha montato quella che viene definita “slitta”, che proietta sull’immagine una griglia che vibra. Questa è molto utile perché elimina tutto il rumore di fondo di un possibile segnale di fluorescenza. È importante perché: immaginate due oggetti nello spazio ma non si capisce se stanno sullo stesso livello o se uno è retrocesso rispetto all’altro. Ecco, in biologia è importante, perché se vediamo due elementi che stanno sullo stesso livello, questi interagiscono, contrariamente, quando i due elementi sono spostati su due livelli diversi questa interazione non sussiste. E questa macchina ci permette di eseguire questo tipo di analisi. 

Microscopio custom 

Questa è una macchina per la deposizione di materiali per vapori chimici – ultimo strumento ad essere presentato dal Direttore. Nasce per depositare nanofili di silicio, ma ci sarà anche una seconda camera dedicata alle nanostrutture in carbonio. Con i nanofili di silicio andiamo a modificare le strutture di gap dei transistor, la cui risposta elettrica cambia in base alla capacità di questi nanofili di catturare gli atomi o le sostanze. Questo è l’unica apparecchiatura in grado di creare campioni. Di solito, noi li caratterizziamo, perché ce li portano, mentre questa li produce. 

Antonio D’Alessandro, Ingegnere elettronico presso Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Elettronica e Telecomunicazioni della Sapienza Università di Roma 

Luciana Dini, Biologa presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza Università di Roma 

Francesco Mura, Chimico fisico e Dottore di ricerca in ingegneria dei materiali e delle materie prime, Responsabile microscopi Cnis presso Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria della Sapienza Università di Roma

Chiara Mancini e Giancarlo La Penna, Studenti della scuola di dottorato presso il Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria della Sapienza Università di Roma 

Marco Fidaleo, Biologo presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza Università di Roma

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