Visitare le scienze della Terra

di Diego Parini e Mattia La Torre

Luoghi della Sapienza da vedere per imparare. Il Museo Universitario di Scienze della Terra della Sapienza (MUST) attraverso le parole di Michele Macrì.

Il progetto del nuovo museo MUST, Museo Universitario Scienze della Terra, della Sapienza, è stato avviato nel 2015 con la fusione dei tre musei romani di mineralogia, di geologia e di paleontologia con l’obiettivo di valorizzare le loro straordinarie collezioni in un unico luogo che fosse accessibile a tutta la cittadinanza, facilmente raggiungibile e che favorisse la ricerca universitaria. Ne abbiamo parlato con Andrea Macrì, che ci svela anche il valore storico e l’importanza dei reperti contenuti nel museo.

1. La storia dei tre musei che sono stati uniti per formare il MUST è antichissima. Il museo di mineralogia, istituito da Papa Pio VII nel 1804, il museo di geologia fondato da Giuseppe Ponzi nel 1873 e il più “recente” quello di paleontologi del 1928; come mai si è deciso di racchiudere insieme questi tre musei? Ci può raccontare come sono stati riuniti insieme e se il museo è ancora in evoluzione?

Il progetto della creazione del nuovo museo MUST, Museo Universitario Scienze della Terra, nasce dall’unione di questi tre musei che, pur avendo collezioni straordinarie, avevano dei problemi di visibilità e accessibilità. Nel 2015 è arrivato il finanziamento per realizzare un nuovo museo; capace di soddisfare le esigenze di ogni tipo di pubblico, di essere facilmente raggiungibile e accessibile alla cittadinanza e che favorisca la ricerca, parte fondamentale dei musei universitari. Il progetto del museo è iniziato ufficialmente nel 2016 con la ristrutturazione dei locali e la riorganizzazione dei musei preesistenti. Le collezioni sono state organizzate in un deposito per facilitare anche il lavoro di studio e di ricerca dei nostri reperti. Il nuovo museo prevede una sala d’ingresso, chiamata Atrium, dove sarà possibile realizzare mostre temporanee, per raggiungere la cittadinanza con i nuovi contenuti che andranno a collegarsi con le esposizioni permanenti. Il museo sarà composto da quattro sale distribuite su tre piani, d’altronde per una città come Roma – ultima capitale europea ancora priva di un museo di scienze della Terra – era necessario uno spazio così grande. 

2. Riallacciandomi a questa domanda, le chiedo: cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Che novità ci saranno? Sono in programma nuove attività o mostre? Come avete intenzione di pubblicizzarle?

I prossimi passi del nostro museo sono, appunto, l’apertura e l’inaugurazione. Al momento abbiamo inaugurato il museo solamente con la mostra temporanea “Terra: che sorpresa!”. Questa mostra è dedicata al Pianeta Terra ma rappresenta un riassunto di quello che sarà il futuro museo. L’obiettivo principale sarà quindi l’inaugurazione del nuovo museo. Puntiamo a farla nel 2023, una grossa inaugurazione come merita questo museo. Le modalità di promozione saranno molteplici, ma ancora in fase di elaborazione.  La promozione per quanto riguarda la parte social è in collaborazione con il Polo museale Sapienza che sta implementando notevolmente questa parte dedicata ai social. Ovviamente, un evento di tale portata sarà pubblicizzato anche sui grandi media, abbiamo infatti contatti con la Rai e le principali testate giornalistiche, che aspettano solo il momento dell’inaugurazione per promuoverlo. Tuttavia, noi pensiamo che sarà sufficiente il passaparola. Abbiamo già provato in passato a fare grosse mostre, ad esempio una nel 2015 dedicata ai dinosauri. Basandoci solamente sul passaparola è stato un successo, abbiamo avuto il massimo di visitatori che potevamo accogliere durante tutta la durata della mostra temporanea. Immaginiamo un museo di questa importanza, nel centro di Roma e dove sarà possibile entrare con la macchina il sabato e la domenica, non abbiamo paura di non avere visibilità. Sarà una delle tappe fondamentali delle scolaresche e delle famiglie con bambini ma, puntiamo senza dubbio anche al turismo nazionale e internazionale. Il sogno sarebbe quello di cambiare il nome della fermata metro e dedicarla al museo, magari aggiungendola a quella Policlinico.

3. Nel museo sono contenuti circa: 34mila campioni mineralogici, 6mila campioni geologici e 100mila campioni paleontologici; qual è il valore storico e quale importanza hanno i reperti contenuti nel museo? Quali sono i reperti che vengono mostrati con più orgoglio?

Tra le collezioni più importanti abbiamo una dactyliotheca, la collezione di pietre donata da Papa Leone XII, l’ultima dactyliotheca ancora rimasta e probabilmente la collezione più importante presente in sapienza. La dactyliotheca è una collezione di 388 pietre preziose ed ornamentali spesso montate su lamine di agata intercambiabili su due anelli, anch’essi inclusi nella raccolta [ndr]. Una straordinaria collezione di rocce e minerali. La più importante collezione di meteoriti in Italia, con anche un meteorite proveniente da Marte. I resti fossili di grandi vertebrati che raccontano la storia paleontologica del nostro Paese.

I reperti presenti hanno vari tipi di valore. Sono l’unione di tre musei storici della città di Roma, tra le numerose collezioni abbiamo donazioni di papi, di imperatori, i recuperi del periodo fascista. Questi campioni non hanno solo un’importanza scientifica o estetica, perché parliamo di campioni di primissimo livello nel panorama mondiale, ma hanno anche un’importanza storica perché rappresentano diversi momenti della storia della nostra nazione. Oltretutto, gran parte dei campioni sono stati recuperati da spedizioni organizzate proprio da Sapienza. Sono la testimonianza del grande lavoro fatto negli anni da parte dei diversi dipartimenti.

4. Nella nuova sala Atrium è presente la mostra “Terra: che sorpresa!”. Abbiamo visto con piacere la mostra virtuale comodamente dal nostro pc. Questa è stata una necessità dovuta alla pandemia, oppure, era un progetto già pensato? Quanto il digitale è diventato importante per un museo e quali sono i suoi vantaggi?

Durante la pandemia abbiamo realizzato dei contenuti visivi multimediali del museo. In particolare, in questa fase ci siamo concentrati sulla sala Atrium – anche perché in questo momento è l’unica visitabile e allestita –. Il fatto di poter visitare il museo non in presenza è qualcosa che al giorno d’oggi tutti i musei stanno cercando di realizzare. Il vantaggio di avere questi contenuti multimediali è la possibilità per un visitatore che non riesce ad andare di persona al museo, per diversi motivi, di osservare quello che si trova al suo interno, quindi, per questo motivo, anche noi ci siamo adeguati e ci stiamo adeguando tutt’ora a realizzare contenuti che possano essere di ausilio alla visita del MUST. Anche se a mio parere un contenuto multimediale non potrà mai sostituire la vera e propria esperienza diretta ma, magari, in futuro realizzeranno qualcosa che sarà ancora meglio dell’esperienza diretta.

MUST i Polifemi

Il nanismo insulare è un processo evolutivo ben noto nei grandi mammiferi di ambiente insulare. Questo processo fa parte della regola dell’isola, per cui, sulle isole, i grandi mammiferi evolvono in dimensioni minori mentre i piccoli mammiferi, al contrario, evolvono in dimensioni maggiori. Gli elefanti nani del Pleistocene mediterraneo della specie sicula-maltese Palaeoloxodon falconeri, rappresentano, in modo estremo, il nanismo insulare. Con grande vanto nel MUST sono conservati i resti di una famiglia di elefanti nani siciliani. “Sicuramente i reperti paleontologici che più ci caratterizzano sono gli elefanti nani, una famiglia di elefanti della specie Palaeoloxodon falconeri composta da un maschio, una femmina e due piccoli, rinvenuti nella grotta di Spinagallo in Sicilia”, ha commentato Linda Riti, assistente museale del MUST. 
La leggenda del mito di Polifemo è legata a questi elefanti nani. Omero, nell’Odissea, sosteneva che in Sicilia abitavano i Ciclopi, mostruosi giganti che vivevano nelle grotte, la cui caratteristica principale era quella di avere un solo occhio. Come ci ha spiegato Linda Riti: “Gli elefanti erano scomparsi molto prima che i greci arrivassero sull’isola. Il cranio dell’elefante nano presenta un grosso foro al centro, ma non è un foro oculare, bensì è il foro nel quale si innesta la proboscide. I primi ritrovamenti di questi crani hanno fatto nascere questa leggenda: un cranio umano con un grosso occhio al centro, proprio come ciclope”.

Michele Macrì, Gemmologo presso il Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza Università di Roma, Curatore del Museo Universitario di Scienze della Terra “MUST” della Sapienza Università di Roma

Linda Riti, Assistente museale “MUST” della Sapienza Università di Roma

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