Doherty

Peter Charles Doherty: un veterinario, un Nobel e l’immunità

Il mondo è alle prese con la pandemia e l’infosfera bombarda con termini medici. Tra questi, spicca la parola “immunità”, su cui Doherty vinceva il Nobel nel 1996

Dobbiamo continuare a spingere al massimo sia la nostra immaginazione che la nostra conoscenza”. Così, Peter Charles Doherty invita il lettore della sua Guida per vincere il Premio Nobel a sfidare i confini del sapere. E mai come in questo momento, che vede il mondo scientifico alle prese con l’imprevedibilità pandemica del Sars-CoV-2, può essere attuale rispolverare la figura audace di questo veterinario australiano, che nel 1996 vince il Nobel per la medicinainsieme al biochimico svizzero Rolf Martin Zinkernagel, “per le scoperte sulla specificità della difesa immunitaria cellulo-mediata”.

Eimmunità è una delle parole più cliccate dell’era Covid-19: il 21 febbraio 2020 viene identificato nel comune lombardo di Codogno il paziente zero italiano e dopo due giorni Google Trends, strumento che individua la frequenza delle ricerche sul web, registra un picco di questo termine.

Peter Doherty nasce nel Queensland nel 1940 e cresce in periferia con il fratellino Ian, leggendo Huxley, Sartre ed Hemingway. Il padre Eric lo incoraggia a studiare più di quanto non abbia potuto fare lui e la madre Linda, che insegna pianoforte e coltiva rose, gli trasmette l’amore per Chopin, Beethoven e Debussy. Eccole qui, la conoscenza e l’immaginazione che è ancora possibile rintracciare tra le righe della sua Guida. Si laurea in medicina veterinaria nel ’63, con una tesi sul carcinoma oculare a cellule squamose, indotto dai raggi UV, nei bovini Hereford.

Doherty e Zinkernagel chiariscono, dunque, il meccanismo di base dell’immunità cellulo-mediata: i linfociti T devono riconoscere simultaneamente l’antigene estraneo e specifiche molecole self del Mhc. Una scoperta non solo teorica, bensì punto di snodo anche per altre patologie, quali neoplastiche e autoimmuni. Una scoperta fatta sui linfociti T di topo, in risposta all’inoculazione del virus della coriomeningite linfocitaria. Oggi al “principio delle 3R”, volto a proteggere gli animali di laboratorio, manca la terza R della loro sostituzione (replacement) con metodi alternativi ritenuti universalmente efficaci. Che la scienza riesca ad aggiungerla? Servono altri studi, nonché immaginazione. Quella che, come ci insegna Doherty, dobbiamo far correre sempre accanto alla conoscenza.

A poco più di trent’anni, per Doherty arriva una cattedra al Wistar di Filadelfia e, dal 1988 a oggi, la direzione del Saint Jude children’s research hospital di Memphis. Un esempio di coraggio dell’intelligenza, il suo, che solleva anche una riflessione sulla Veterinaria e sul ruolo che ricopre nella salute one health, quella che interconnette uomo, animali e ambiente. Mai come ora ce lo ricorda la presenza mediatica di Ilaria Capua, illustre virologa e veterinaria che dirige, non a caso, proprio un Centro di Eccellenza One health dell’università della Florida. Anche Albert Bourla e Pascal Soriot, rispettivamente alla guida di Pfizer e AstraZeneca, medici veterinari. Proprio come Doherty.

Credits immagine: Ulysses Medal