Penicillium glaucum, immagine del 1854 credits: www.commons.wikimedia.org (licenza CC)

Vincenzo Tiberio, il medico che studiò gli “antibiotici” prima di Fleming ma non vinse il Nobel

Tiberio osservò l’“effetto di alcune muffe” alcuni anni prima di Fleming, Chain e Florey, ma non arrivò a Stoccolma. Interessante capirne il motivo

“Per la scoperta della penicillina e il suo effetto curativo in diverse malattie infettive”: questa la motivazione del premio Nobel per la medicina del 1945, che venne assegnato congiuntamente a Sir Alexander Fleming, Ernst Boris Chain e Sir Howard Walter Florey.

Oggi, nel 2021, è ancora automatico associare il nome di Fleming all’avvento degli antibiotici. Il medico scozzese, di stanza al Saint Mary’s Hospital di Londra osservò casualmente, in una piastra di coltura contenente il batterio Staphylococcus aureus, una muffa intorno alla quale la crescita batterica si era arrestata. Il fungo era il Penicillium notatum e ulteriori studi dimostrarono che la muffa scoperta da Fleming, anche diluita fino a 800 volte, inibiva la crescita batterica. Ecco il primo antibiotico della storia, la penicillina. La ricerca, pubblicata nel 1929 sull’importante rivista scientifica British Journal of Experimental Pathology, fece il giro del mondo e nel 1945 finì a Stoccolma, la città del Nobel. È storia.

Altra storia, invece, è quella di Vincenzo Tiberio. Un medico molisano che non è mai arrivato a ritirare un Nobel. Eppure, e questo lo sanno in pochi, Tiberio aveva anticipato la scoperta di Fleming di oltre trent’anni. Nato nel 1869 a Sepino, in provincia di Campobasso, era un ufficiale del Corpo sanitario della Marina Militare italiana. Di famiglia borghese, si laurea in medicina all’Università di Napoli nel 1893, un anno prima rispetto al piano di studi. Nell’ateneo partenopeo quelli erano anni di rilevanti pubblicazioni, come la ricerca sulla concorrenza vitale fra i batteridi Eugenio Fazio.

Intanto Tiberio osservava, nel pozzo di una casa di famiglia ad Arzano, il comportamento di alcune muffe come verosimile fenomeno di antibiosi, come la definì nel 1889 Paul Vuillemin. Da questa osservazione casuale derivò lo scritto Sugli estratti di alcune muffe – Ricerche del dottor Vincenzo Tiberio. Dodici pagine, in tutto: conciso e concettoso, come si dice. Eppure, Tiberio aveva elaborato un disegno sperimentale ardito e moderno, passando per valutazioni in vitro e in vivo e identificando al microscopio tre diverse specie di muffe, tra quelle prelevate dal pozzo: Aspergillus flavescens, Penicillium glaucum e Mucor mucedo.

 “Il solo liquido avuto dall’Aspergillus flavescens”, concluse il medico molisano, “esercita un’azione positiva nelle infezioni sperimentali da bacillo del tifo e vibrione del colera”. Tiberio valutò anche dosi efficaci e durata dell’effetto antibiotico, con tanto di controllo e onesto riconoscimento delle limitazioni del disegno. Approccio avveniristico, per l’epoca. Perché, allora, Tiberio non vinse il Nobel? Anche se allora l’impact factor delle riviste scientifiche indicizzate non esisteva, la sede di pubblicazione già faceva la differenza. Perciò, non bastò un’apparizione fugace e solo in lingua italiana sugli Annali d’igiene sperimentale del 1895.

In più Fleming – questo va detto – predisse il rischio di antibiotico-resistenza a causa di impropri sottodosaggi del farmaco, ben prima che diventasse il problema globale che è adesso. Oggi un terzo delle infezioni umane è dovuto a batteri resistenti e l’antibiotico-resistenza è una preoccupante questione one health che coinvolge salute umana, dell’ambiente e quella animale, con impatto sulla sicurezza alimentare.

Questo, no, Tiberio non lo aveva previsto. Per il resto, non è azzardato dire che il suo contributo avrebbe avuto il diritto di arrivare a Stoccolma. Non è andata così.

Immagine in evidenza (modificata): Penicillium glaucum, su licenza CC. Credits: www.commons.wikimedia.org