Navigli Erc

Un esperanto di concetti per collegare 500 lingue

Roberto Navigli, professore del Dipartimento di Ingegneria informatica, automatica e gestionale di Sapienza, fa parte della top 15 dei progetti finanziati dall’Erc che hanno rivoluzionato la scienza. Ci racconta la sua passione, la sua dedizione e l’attaccamento al suo paese

Sono le 7.30 e i rumori della metro di una Roma già frenetica disturbano un po’.

“Mi scuso per l’orario, ma sa, alle 8.30 ho lezione in Sapienza e in questi giorni lavoro almeno 12-13 ore. Da domani vado cinque giorni a Gaeta però, staccherò da tutto e finalmente sparirò per un po’ dal mondo”

È questo, dunque, l’unico orario in cui siamo riusciti a raggiungere Roberto Navigli, professore al Dipartimento di Ingegneria informatica, automatica e gestionale dell’università in cui lui stesso ha studiato e si è dottorato, e annoverato fra i 15 progetti finanziati dallo European research council (Erc) che hanno rivoluzionato la ricerca. Di finanziamenti Erc, Navigli ne ha vinti due, uno ancora in corso ed entrambi nell’ambito della traduzione automatica – un’area della linguistica computazionale che studia come tradurre in modo automatico il linguaggio naturale espresso in una lingua, in un’altra. Al termine del primo dei due finanziamenti è nata Babelscape, uno spin-off al servizio di aziende che vogliano far crescere i loro prodotti e il loro mercato in un’ottica multilingue.

Quel rumore e quella frenesia, ora, sembrano la cornice perfetta per questa chiacchierata.

Se l’aspettava questo riconoscimento?

“Nient’affatto: quando ho letto la mail sono letteralmente saltato sulla sedia dalla felicità. Avevo capito di essere sotto la lente di ingrandimento perché mi avevano contattato alcune settimane prima per farmi domande specifiche circa l’andamento dei miei progetti, ma non sospettavo quale fosse la ragione.”

Quali aspetti del suo lavoro, secondo lei, hanno meritato questa nomina?

“Quando mi hanno chiamato ho parlato loro dell’azienda, e questo aspetto li ha colpiti molto perché mostra come un progetto Erc possa avere una ricaduta quasi immediata sul mercato. A questo aggiungerei il successo scientifico del nostro lavoro e i due finanziamenti Erc ottenuti in sequenza. Questa nomina mi dà una grande soddisfazione, soprattutto perché rappresenta un successo tutto italiano.”

Ci parli della sua azienda, che sembra aver avuto un ruolo determinante.

“L’azienda è nata dopo il primo progetto Erc (dal 2011 al 2016), nel quale abbiamo sviluppato un dizionario multilingue che si chiama BabelNet. La cosa ha attirato l’attenzione dell’Ue che mi ha invitato a presentare il nostro lavoro a Lussemburgo – nella sede storica del Parlamento Europeo – aprendo la strada alla nascita della nostra azienda. Fondare Babelscape ha aperto scenari nuovi e inattesi, mi ha fatto vedere la ricerca da un altro punto di vista e scoprire l’importanza di aspetti che da ricercatore sottovalutavo. Mi ha dato una nuova freschezza, a 40 anni, una nuova prospettiva che si coniuga in modo perfetto con la ricerca scientifica.”

Come si è avvicinato alla traduzione automatica?

“Devo dire che la traduzione automatica non è il primo obiettivo, che invece è quello di abilitare l’IA alla comprensione del linguaggio. Nelle attuali tecnologie di traduzione automatica non c’è una vera comprensione semantica del testo, un’esplicitazione del significato delle parole nel contesto. È quello che noi chiamiamo disambiguazione.”

Può fare un esempio?

“È come se le chiedessi di scegliere il significato più appropriato di una parola in una frase. Se dico “Bollani suona il piano” o “il piano del governo è di approvare il decreto” o ancora “devo andare al terzo piano”, devo inserire la parola ‘piano’ nel contesto, prima di tradurla. Ogni parola, nei nostri algoritmi, diventa un concetto. Non solo, il ragionamento è estensibile a diverse lingue, che si connettono fra loro attraverso questi concetti dando vita a una vera e propria interlingua. Questo è ciò che abbiamo fatto con BabelNet, con più di 20 milioni di voci in 500 lingue.”

Lei si è formato in Italia, giusto?

“Sì, ne vado fiero. Dico sempre ai miei studenti che siamo fortunati perché la scuola pubblica funziona bene ed è aperta a tutti. Io sono un esempio vivente del fatto che una qualunque scuola di periferia può fornire gli strumenti per raggiungere i vertici. Lo stesso vale per l’università, il cui costo è molto inferiore rispetto ad altri paesi. Durante il dottorato, comunque, ho trascorso alcuni periodi in Uk e – devo dire la verità – è stato lì che ho respirato l’atmosfera della ricerca internazionale e ho capito cosa volevo fare da grande. Poi però, ho voluto farlo a Roma. E ci sono riuscito subito, prendendo un posto all’università dopo il dottorato. Infine, grazie al primo Erc, ho cambiato completamente prospettiva di carriera.”

Ha sempre voluto fare informatica?

“Certamente. A quattro anni chiedevo ai miei genitori il Commodore 64. Lo volevo soprattutto per programmare, oltre che per giocarci come gli altri bambini. A 10 anni già copiavo i codici dai libri dell’epoca. Per me è come un’altra lingua – diciamo una madrelingua. Sono nato programmatore, poi nel tempo ho deciso di fare il passo successivo diventando ricercatore.”

In che senso?

“Pensavo che sarei diventato un ingegnere del software. Poi mi sono convinto a fare il dottorato – cosa per nulla scontata nell’ambito – e ho capito che ideare nuovi algoritmi e modelli per progredire a livello tecnologico mi piaceva ancora di più. Oggi rivedo nei miei studenti quella mia esitazione iniziale, e ci tengo a raccontare loro quali possibilità si aprono, nella ricerca e nel lavoro, con un dottorato in mano.”

Pensa che la possibilità di restare a Roma abbia influito nella sua scelta di far ricerca?


“Grazie, apprezzo moltissimo questa domanda perché tocca delle corde molto sensibili. Roma è la mia città e io sento di stare bene qui. Non voglio citare i soliti stereotipi – il cibo, il clima – perché non è solo quello: è come spostare un leone dalla savana. Io devo restare nella savana. Fin da piccolo ho vissuto seguendo la passione, amo il mio lavoro e la mia città e non penso potrei stare meglio altrove. Riconosco però di aver avuto una gran fortuna a rimanere in Italia trovando subito il lavoro perfetto. Quando una persona acquisisce visibilità, però, si trova a valutare se spostarsi all’estero. Ricevo spessissimo offerte di lavoro e molte di esse sono irrinunciabili, tanto che a volte mi vergogno di rifiutare. In questo momento, poi, sono talmente coinvolto nella mia vita lavorativa qui – gli studenti, la ricerca, l’azienda: tutte cose in crescita – che proprio non potrei andarmene. È tutto bellissimo.”

Tenterà la tripletta, con l’Erc?

“Assolutamente sì. Intendo seguire questa scia di semafori verdi.”