Tra fisica e taekwondo: intervista a Elena Blundo

Tra fisica e taekwondo: intervista a Elena Blundo

Nata a Roma, classe ’95, si laurea con un percorso eccellente in fisica triennale e in fisica della materia alla magistrale. Poi una borsa di dottorato in fisica e un posto nella Nazionale Italiana Poomsae, specialità taekwondo

Iniziamo con una domanda sulle Poomsae: che rapporto c’è fra sport e studio? Si “parlano”?

Diciamo che l’uno è un po’ una forma di distacco e di svago dall’altro, ma sono due attività per me importanti, che hanno contribuito in modo decisivo alla mia formazione e che procedono in parallelo. Entrambe mi hanno aiutata a definire dei valori per me fondamentali, come il rispetto per l’altro e lo spirito di collaborazione.

Sono contenta di aver potuto proseguire la mia attività di studio e di ricerca con il dottorato in Sapienza, così come sono contenta delle opportunità che il taekwondo – tramite anche la federazione italiana di questo sport – mi ha dato.

Perché hai scelto fisica?

In realtà al liceo mi piacevano molte materie, quindi non è stata una scelta scontata. Fisica, paradossalmente, è una di quelle che a scuola era stata affrontata sbrigativamente, per vari motivi, nonostante fosse un liceo scientifico. 

Quindi la trovavo una materia che mi incuriosiva, anche difficile, e per questo mi attirava. Le cose difficili tendenzialmente mi attirano (sorride, nda).

Alla fine ho deciso di provare. 

E per la magistrale?

Anche in quel caso non sapevo bene cosa scegliere, ero un po’ indecisa e ho valutato anche se cambiare, puntando verso la matematica, perché analisi mi era piaciuta molto. Mi sentivo più orientata per la teoria e per questo, per controbilanciare, ho deciso di fare una tesi sperimentale, ispirata dal corso di ottica. Ho fatto la dissertazione nel gruppo del professore di questo corso e mi è piaciuta moltissimo, quindi alla fine in magistrale mi sono iscritta a fisica della materia e poi ho continuato lo studio nello stesso gruppo.

Ed è quello di cui ti occupi attualmente?

Sì, ho continuato lì, ho anche iniziato la tesi in anticipo e mi sono laureata in anticipo, poi ho iniziato il dottorato e ora sono al secondo anno.

Che tipo di ricerche fai?

Prevalentemente studio materiali bidimensionali, come il grafene, di cui oggi si sente parlare un po’…

Cosa sono i materiali bidimensionali e che cos’è il grafene?

Be’ l’idea è che la maggior parte dei materiali con cui abbiamo a che fare sono caratterizzati da legami forti, quindi non se ne possono ridurre le dimensioni più di tanto. Si può “tagliare” il materiale, ma diventa difficile ottenere strati ultrasottili. Invece ci sono delle classi di cristalli, che hanno una struttura stratificata, in cui diversi strati sono tenuti insieme da forze deboli. Un po’ come la grafite, no? Se si pensa alla mina della matita, è un materiale morbido. E il fatto che questi legami siano deboli permette di ottenere strati molto fini, nel caso della grafite si riesce a ottenere un singolo strato di atomi, che è il grafene. Esistono tanti materiali simili alla grafite, che essendo metallica può essere interessante per alcune applicazioni ma non per altre.

Io, invece, mi occupo di materiali semiconduttori, che sono interessanti perché, in quanto semiconduttori, emettono luce e sono materiali molto efficienti. Studio le loro proprietà ottiche e come modificarle, cambiando morfologicamente il cristallo.

Quali sono le principali applicazioni di questi materiali?

Sono materiali relativamente nuovi, la ricerca è ancora prevalentemente al livello di studi fondamentali. Però, per esempio, al giorno d’oggi si tende verso la miniaturizzazione dell’elettronica. Un tempo i computer erano enormi, ora abbiamo i telefonini che fungono praticamente da computer, quindi in generale si cerca di ridurre le dimensioni delle componenti elettroniche. In questo i materiali bidimensionali sono ottimi e sono anche molto flessibili, quindi possono essere interessanti anche per l’elettronica flessibile. Quelli che studio io emettono luce, quindi possono essere applicati per generazione di luce in ogni forma, come per esempio nei led.

Com’è fare ricerca ?

Dipende dai gusti, a me piace! L’importante, ovviamente, è fare ricerca in un campo di proprio gusto. Nel mio gruppo mi trovo molto bene sia scientificamente che umanamente. Mi piace anche perché ho abbastanza autonomia, quindi posso pensare io a cosa fare e cercare di sviluppare le mie idee. Dal punto di vista scientifico è molto interessante e stimolante. L’unico aspetto negativo è che purtroppo in Italia ci sono spesso problemi legati alla burocrazia, che rende tutto meno fluido e quindi gradevole, speriamo pian piano si possa migliorare.

Sei stata relatrice in diverse conferenze, vincendo anche il premio “miglior comunicazione”, su cosa ti concentri maggiormente quando parli delle tue ricerche?

Dipende dal tipo di pubblico, ma in generale il mio obiettivo è cercare di parlare a un pubblico più ampio possibile. Ci sono ricercatori bravissimi che tengono dei talk ultra-specifici, ma che sono impossibili da comprendere per chi non si occupa esattamente di quegli argomenti e questa è una cosa che detesto. Quindi cerco di fare l’opposto, valuto quale sarà il pubblico e cerco di impostare la discussione di conseguenza, partendo dal generale per poi approfondire alcuni punti. È importante anche la scelta delle immagini, per attirare l’attenzione dal punto visivo e fissare alcuni concetti.

Ci sono altri materiali che ti interessano o qualche argomento che vorresti approfondire?

I materiali che studio mi piacciono, più che altro mi piacerebbe imparare altre tecniche. Nel mio ambito ci sono diverse possibilità, io faccio fabbricazione e ottica, ma mi piacerebbe imparare anche altre cose, ad esempio qualcosa sul trasporto. Vorrei anche sfruttare il terzo anno di dottorato per viaggiare prima della conclusione del percorso, per poter scegliere meglio dove andare in seguito. Mi piace imparare sempre cose nuove.

Immagine in evidenza: Grafene {Wikipedia}